RENZO FRANCABANDERA | È senza dubbio un luogo di pratica e resistenza creativa il Teatro Studio del Lemming a Rovigo. Una struttura nella periferia del capoluogo veneto, che negli anni ha garantito un presidio importante per la biodiversità culturale in questo territorio.
Da molti anni, 20 quasi, il Teatro del Lemming, con la guida di Massimo Munaro, sviluppa le riflessioni portandole ancora più visibilmente all’attenzione della comunità, attraverso il Festival Opera Prima, che giunge quest’anno appunto alla 28esima edizione.
Il festival ha un modulo originale, che abbina la presenza di maestri della scena a quella di nuove realtà che a volte vengono suggeriti dagli stessi maestri coinvolti, cui si è aggiunto negli anni un bando internazionale, sempre più partecipato, che porta qui artisti che spesso non sono mai stati in Italia e che arrivano da zone a volte davvero lontane.
Al bando 2022 hanno partecipato 700 gruppi da tutto il mondo, e con una non facile selezione, la direzione artistica ha scelto la compagnia greca Zero Point, il danzatore libanese Bassam Abou Diab, con un lavoro che racconta la reazione del suo corpo ai bombardamenti su Beirut, l’israeliano Gil Kerer che coniuga la danza contemporanea alla classicità barocca della musica di Vivaldi e infine Maria Luisa Usai, che si esibirà nella giornata odierna, con un lavoro capace di coinvolgere la città in una fitta rete di “corrispondenze”, basato sullo scambio di lettere tra sconosciuti.
L’artista sassarese, da quasi un decennio lavora negli spazi urbani con esperimenti relazionali/comunitari, site specific e creazioni sceniche multidisciplinari. Nel 2021 è stata tra i finalisti della Biennale di Venezia College Performer e vincitrice, come autrice audiovisiva, del bando Avisa (Antropologia Visuale in Sardegna) dell’Isre. In questa creazione, in particolare, negli spazi della Gran Guardia, il pubblico siede allo stesso tavolo dell’autrice/performer che, attraverso la narrazione e l’utilizzo del video, racconta la propria esperienza e invita poi il pubblico a scrivere di proprio pugno una nuova lettera, continuando ad alimentare una sorta di catena di moltiplicazione di scritture e grafie che oscillano fra biografia, fantasia e memoria.
Sono le stesse questioni che in forma espansa dentro la natura, e senza che mai abbandonino la levità della rivelazione, dell’apparizione quasi onirica, connotano il lavoro di Azul Teatro, sodalizio artistico diretto da Serena Gatti e Raffaele Natale, che si muove dentro un sistema creativo polisemico che comprende performance, body e land art, danza e composizione musicale.
Da diversi anni il gruppo, che ha sede a Viareggio, presso lo Spazio Azul, un grande atelier, ex granaio immerso nel verde, vicino al mare, dove si tengono seminari, prove e residenze, porta avanti una ricerca interdisciplinare a stretto contatto col paesaggio e in particolare con la pratica del camminare, dando vita a performance itineranti site-specific in luoghi da riscoprire (luoghi abbandonati, chiusi, dimenticati). Qui a Rovigo è stata la volta del piccolo bosco ai bordi della città intitolato ad Alexander Langer, da sempre peraltro minacciato di essere abbattuto per far spazio a questa o quella bretella del traffico cittadino. Fortunatamente, alcune tenaci associazioni lo hanno salvato e se ne prendono cura, dopo che la vegetazione ha inglobato il vecchio poligono di tiro di Rovigo, poi abbandonato e divorato dalle piante. Nel bosco vivono numerose specie di animali, tra cui una rarissima specie di rana. Un’area preziosa, dunque, dal punto di vista storico e naturalistico. È in questo ambiente così suggestivo e peculiare che ogni giorno, verso l’imbrunire, quando il taglio della luce si fa obliquo e attraversa le fronde in modo da creare effetti davvero magici tra la vegetazione, che la attrice Paola Senatore guida il gruppo di spettatori dentro questo luogo suggestivo e che viene qui abitato da Sentieri un’azione poetica in cammino, affidata all’interpretazione di Serena Gatti, Raffaele Natale, Fabio Pagano, Sophie Thirion.
I quattro, ora in forma mimetizzata e impalpabile, che assume le sembianze di un riflesso di luce sui ruderi, o di un fruscio di foglie tra la vegetazione, ora in forma più visibile, come ninfe silvestri o figure dell’inconscio, abitano il luogo mentre lo spettatore si addentra nel bosco fra i grovigli di piante e le antiche strutture che ancora restano in qualche modo in piedi, avvolte dalla vegetazione, che paiono rovine di una civiltà dimenticata.
Ora suoni, ora voci, ora libri che volano e abiti appesi fra le piante, ora corpi nudi ma talvolta quasi irriconoscibili nel loro muoversi o apparire, che richiamano antiche specie viventi, portano il viandante a interrogarsi sul senso delle cose. Farlo in una dimensione immersiva, in cui il tempo delle frenesie si allontana, è un’occasione potente per permettere alla mente di donarsi qualche forma di rivelazione.
Poco prima del lungo viale che avvia lo spettatore verso il ritorno, un chitarrista in abito da concerto, di spalle, davanti ad un cancello, suona alle macchine che sfrecciano, a qualche viandante ignaro. I casermoni di edilizia popolare da lontano si affacciano a far perdere la verginità allo sguardo immerso nella natura, e così la voce di Pasolini ci riporta alla domanda su cosa conti, e ci risponde che solo l’esperienza conta, e lo fa mentre diventiamo noi stessi paesaggio, rovina progressiva della nostra esistenza, delle nostre accumulazioni, dei nostri tronchi cresciuti faticosamente e che poi hanno dovuto cedere alla tempesta di vento.
L’edizione 2022 di Opera Prima ha portato a Rovigo alcuni maestri della danza come Roberto Castello, con un lavoro sulle culture dell’Africa e la sua colonizzazione e Marigia Maggipinto con il suo racconto ideato insieme a Chiara Frigo, del suo incontro di vita e arte con Pina Bausch. Fra le creazioni di danza proposte, è stata assi partecipata, sotto la torre del giardino comunale, la visione dello spettacolo del danzatore libanese Bassam Abou Diab accompagnato alle percussioni da Ayman Sharaf el Dine, con il suo Under the Flesh. Lo spettacolo, fra narrazione e azione danzata al ritmo dei tamburi e dei ritmi arabi del ballo tradizionale, affronta il tema del corpo in situazioni di guerra. Un botto iniziale, inatteso, ci fa spaventare, ci procura un sussulto, chiaro rimando alla prima bomba udita.
Come può il corpo, reagendo ad una minaccia di morte che viene percepita dal nostro istinto di sopravvivenza, trasformare tutto questo in una danza?
Abou Diab è attore, ballerino e coreografo specializzato in danza contemporanea e folklore. Da diversi anni è un danzatore della Maqamat Dance Company.
Fra narrazione iperbolica della guerra, ironia sulle dinamiche “di aiuto” del mondo occidentale, capriole, frammenti di danze popolari rilette in codice contemporaneo, il danzatore con questo lavoro ci vuole portare in un paese lontano, tormentato con cadenza frequentissima da guerre e bombe, e ci racconta di come ci si abitui, a come addirittura si arrivi a trasformare il suono delle bombe in pretesto creativo, nella disperazione di vedere i conoscenti e i parenti morire.
Ma nel finale il ballerino ci ricorda l’incubo esserci molto più vicino di quanto si possa immaginare.
Di bomba in bomba, di guerra in guerra, fino all’atomica: si difende con un piccolo ed evidentemente ironico scudo da antico guerriero africano, il danzatore, dalla bomba atomica, ci suggerisce di cedere alla forza d’urta, di assecondarla, rotolando nel prato come sospinto da un vuoto d’aria improvviso.
Il racconto ha un potenziale ma si perde in una traduzione live purtroppo lenta e inefficace (che l’artista avrebbe potuto sicuramente curare di più nel raccordo con l’interprete), sia in un indulgere troppo sulla parte più facile di ingaggio del pubblico, fra battimani ritmati, domande che però non sviluppano interazione. Si tratta di un modulo creativo che abbisogna di significative elaborazioni per darsi struttura e diventare spettacolo.
SENTIERI #9_PARCO LANGER
di Azul Teatro – Serena Gatti, Raffaele Natale
con Serena Gatti, Raffaele Natale, Fabio Pagano, Sophie Thirion
musica Raffaele Natale – versi Serena Gatti
una produzione Festival Opera Prima
con il supporto di Teatro del Lemming – residenze per la ricerca teatrale 2022
UNDER THE FLESH
regia e coreografia Bassam Abou Diab
con Bassam Abou Diab, Ayman Sharaf el Dine
traduzione dal vivo a cura di Suliman Abu Jalbush
musica Samah Tarabay, Ayman Sharaf el Dine