LILIANA TANGORRA | Cenerentola, definizione da vocabolario: “Umile donna addetta alla casa e al focolare”; oppure “tipo di scarpe da donna molto scollate, flessibili, senza tacco e leggerissime“. Il lettore non si faccia intimidire da queste definizioni che lo riportano a un’ancestrale concezione della fiaba di Perrault, pertanto si invita a continuare nella lettura per declinare un nuovo significato del termine “Cenerentola” determinato dalla visione dell’omonima opera lirica diretta da Emma Dante.
Parlare, discutere e analizzare un’opera lirica non è semplice, e gli amatori o conoscitori del genere lo sanno benissimo, perché Rossini, Verdi, Wagner, Puccini da decenni vengono reinterpretati, defraudati, arricchiti; ancor più quando la direzione è affidata a un regista di teatro le perplessità potrebbero inficiare il giudizio iniziale. Pertanto alcuni spettacoli di lirica si ricordano per le magistrali interpretazioni, altri per l’imponente messa in scena (scenografie e costumi), la Cenerentola di Emma Dante – produzione del 2016 rivisitata e messa in scena al Teatro Petruzzelli di Bari – rimane sicuramente impressa nella memoria per le scelte registiche.
Indubbiamente ardita, ma sicuramente curiosa e ben architettata, è stata la scelta di sdoppiare la serva Cenerentola con bambole meccaniche e di moltiplicare il principe Ramiro con soldatini caricati a corda.
La messa in scena è una sorta di quadro neo-vittoriano e tim-burtiano che siamo abituati a riconoscere nelle illustrazioni di Ray Caesar o di Benjamin Lacombe. Il primo riporta nelle sue opere situazioni di violenza decantate da soffici colori pastelli screziati di elementi rossi e neri – che nella Cenerentola di Emma Dante si traducono in guantini rossi per i servi di Ramiro e palloncini cremisi alla IT e nei costumi neri del ballo di Ramiro stesso e Cenerentola – il secondo, noto per aver illustrato la copertina de La meccanica del cuore di Matthieu, riconosce nella tricotomico linguaggio uomo-macchina-natura un insieme inscindibile – deducibile nello spettacolo negli automi e nei movimenti sincopati.
Le scene di Carmine Maringola, caratterizzate da paraventi che mascheravano e smascheravano gli intenti di Don Ramiro e da fondali ‘ad armadio’ e i costumi di Vanessa Sannino, caratterizzati da colori polverosi che virano al celeste e fortemente interessati dalla visione di Caesar, hanno contribuito a creare l’atmosfera apparentemente frivola e divertente della nota fiaba. Emma Dante, grazie anche all’apporto di un’attenta macchinazione luminotecnica di Cristian Zucaro, ha trasformato in riflessione la violenza fisica e psicologica subita dalla protagonista.
Dunque può una fiaba ‘antica’ parlare allo spettatore moderno? Cenerentola da ‘umile donna addetta alla casa’ può tramutarsi in forte interprete del proprio destino? E la scarpetta di cristallo può essere il mezzo per agire sul destino piuttosto che rivelarlo?
La storia è nota, Angelina – alias Cenerentola – è serva delle sorellastre Clorinda e Tisbe, figlie di Don Magnifico. La giovane, più che generosa e dedita all’amore, viene ripagata dal destino sposando il principe Ramiro, dopo un ballo in maschera, grazie all’intervento del precettore del principe Alidoro – Davide Giangregorio. Le violenze subite da Cenerentola, una bellissima Lamia Beuque, si trasformano allora in un temporale di calci e pugni, causati dal perfido trio, interpretato dai convincenti Giuseppe Esposito (don Magnifico), Michela Guarrera (Clorinda) e Antonella Colaianni (Tisbe).
Diversamente dall’epilogo noto (Nacqui all’affanno), dopo il perdono di Cenerentola, i ‘cattivi’ vengono puniti da un poco convincente Don Ramiro (Juan de Dios Mateos): una chiave simile a quella delle serve e dei servi dei protagonisti viene applicata sulle loro schiene, rendendoli personaggi meccanici e privi di sentimenti, destinati a essere dimenticati se nessuno li ricarica.
Seppur non priva di elementi funerei e senza speranza, come nel momento in cui legata Angelina non riesce per sua volontà ad andare al ballo o quando durante il ballo i gelosi astanti attentano alla vita della fanciulla con pistole e kalaschnicov («ho paura che il mio sogno vada in fumo a dileguar!»), quella di Emma Dante rimane un’opera comica.
Infatti la regista mette in gioco i difetti e i lati bizzarri dei personaggi: come l’esasperata antipatia di Tisbe e Clorinda – di una comicità esilarante quasi incredibile per due cantanti liriche – o nel momento di mascheramento del servo Dandini (Andrea Vincenzo Bonsignore) un pessimo camuffatore di stile.
L’orologio ben visibile sul ventre di Angelina che scandisce il tempo che passa, lo scoccare della mezzanotte, la caducità delle cose terrene, riverbera il suo suono nelle note registiche di Emma Dante – sillabate anche dalle note dirette con precisione dal Maestro Francesco Quattrocchi – la quale muove le fila dell’opera di Rossini facendo un salto temporale ai nostri giorni.
Altri riferimenti artistici disseminano l’opera di Rossini che all’occorrenza diventa un musical di Broadway con tanto di ombrelli viola e immagini alla Mary Poppins, o carrozze e panche che rimarcano i quadri di Antoine-Jean Gros cantore di Napoleone.
La riflessione, dunque, cade sul variegato mondo che costella l’immaginario di Emma Dante, che con ironia riesce a riflettere sui soprusi a carico del genere femminile, rendendo perciò la visione dello spettacolo immensamente contemporanea e restituendo un nuovo significato al termine ‘Cenerentola’: Faber est suae quisque fortunae, contro ogni tipo di discriminazione e violenza.
CENERENTOLA
direttore Francesco Quattrocchi
regia Emma Dante
regia ripresa da Federico Gagliardi
scene Carmine Maringola
costumi Vanessa Sannino
costumi ripresi da Concetta Nappi
disegno luci Cristian Zucaro
movimenti coreografici Manuela Lo Sicco
maestro del coro Fabrizio Cassi
maestro al cembalo Dario Tondelli
Orchestra del coro del Petruzzelli
Produzione Teatro dell’Opera di Roma
24-30 giugno – Teatro Petruzzelli Bari