ELENA SCOLARI | Gli imprevisti, in quanto tali, sono dietro l’angolo e tutti ci siamo trovati ad affrontarli negli ultimi due anni, senza sosta, in Italia e nel mondo: dalla pandemia alla guerra, dal vaiolo delle scimmie alla siccità, alla caduta del governo. Giusta e attuale è quindi stata la scelta di Giacomo Pedini, direttore artistico del Mittelfest 2022 (qui la prima puntata del reportage di PAC), che ha dedicato proprio agli imprevisti l’edizione del festival multidisciplinare appena conclusasi a Cividale del Friuli, ampiamente seguita dal cosiddetto pubblico ‘vero’, che sente il festival anche tra le strade, nell’hashtag #imprevisti fatto di polistirolo esposto in tutte le vetrine di questa cittadina di confine.
Il programma ha voluto ragionare, tramite spettacoli, incontri e dibattiti sul tempo che stiamo vivendo, cercando di offrire chiavi di lettura del presente – e sperabilmente del futuro – attraverso l’arte e attraverso gli occhi di chi lavora osservando l’arte in tante delle sue forme. Nel cartellone sono stati inseriti anche due appuntamenti del gruppo Rete Critica (di cui PAC fa parte): il primo, Paesaggi teatrali, incentrato sulla presentazione di nove soggetti teatrali – alcuni emergenti altri più noti – con l’obiettivo di indagare la direzione della ricerca scenica di oggi; il secondo, La giusta distanza, sede di un dibattito aperto e franco sulla situazione della critica che ha regalato al pubblico presente una nuova prospettiva con cui guardare a chi dell’osservazione delle scene ha fatto un mestiere, imprevisti compresi.
Nella puntata #1 abbiamo parlato di diverse forme di esplorazione artistica, e in quest’ottica di riflessione sullo stato odierno di un settore composto da artisti, operatori, critici e studiosi proseguiamo il racconto di viaggio friulano dando conto degli elementi principali di Vizijos, spettacolo notturno itinerante con attori lituani e diretto da Roberto Magro; Death and birth in my life di Mats Staub, confidenziale riflessione su vita e morte nell’esperienza di persone comuni; The Handke project (co-produzione Qendra Multimedia/Teatro della Pergola/Mittelfest2022), esplicita invettiva contro lo scrittore austriaco vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 2019.
Vizijos (Visioni) trae spunto da un poema di Vytautas Mačernis, autore fondativo per il popolo lituano e accompagna il racconto con le musiche del compositore Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, anch’egli lituano. Gli spettatori si allontanano a piedi dal centro del borgo longobardo e arrivano al limitare del bosco, scendendo poi verso il lungo fiume, raggiungendo le rive del Natisone.
Lo spettacolo si svolge a stazioni, si tratta di quadri ispirati alle visioni notturne del protagonista del poema, messe in scena tramite tecniche diverse: dal teatro di figura alle acrobazie circensi, dalla danza alla musica. Il percorso è affascinante soprattutto per il contesto naturale in cui è calato: il bosco di notte è pieno di suoni (e per una volta siamo liberi da cuffie e li possiamo ascoltare), si cammina sentendo scricchiolare le foglie secche sotto i piedi, una folata di venticello fa frusciare le fronde, un animale invisibile corre tra gli alberi e dietro gli arbusti scorgiamo i mobili di una camera, colori a contrasto, luci che accentuano le sfumature di foglie e tronchi. I costumi sono sgargianti e gli interpreti spiccano nella cornice scura del buio come figurine irreali, creature che esistono solo al nostro passaggio per poi tornare dentro al loro poema.
Dal punto di vista narrativo, senza conoscere il testo originario, non sempre si seguono i fatti ma poco importa, quello che conta è la suggestione visiva, a volte ingenua e complessivamente naïve ma certo ben amalgamata con l’ambiente come nella bella sequenza musicale in cui un pianista in gilet verde – lo vediamo solo di spalle – suona un brano di Čiurlionis alla tastiera di un pianofortino verticale rosso, sullo sfondo il fiume, al di là il profilo di montagnole e fumo che sale dalle acque come i vapori dello Stige. Effettone.
Senza alcun effetto aggiunto è invece l’intimo ascolto di Death and birth in my life: in una sala del Museo Archeologico Nazionale di Cividale il pubblico, diviso in piccoli gruppi, viene prima invitato a scegliere una delle nove coppie di cittadini intervistati sul posto (in ogni piazza la compagnia di Staub fa un lavoro con gli abitanti del luogo) e poi fatto accomodare su poltrone sdraio disposte intorno a due schermi verticali, ogni poltrona ha la sua cuffia e ogni spettatore ascolta – in solitudine ma anche in comunione con i compagni di ascolto – le voci delle due persone che, con estrema discrezione, condividono le loro esperienze personali di incontro con vita e morte: la sensazione di ‘adultità’ davanti alla nascita del primo figlio della migliore amica, compagna di scorribande fino a poco prima, lo sgomento di fronte all’incidente di un compagno di scuola, la scomparsa improvvisa di una cugina…
La condivisione è prima tra i due raccontatori, ognuno dalla propria cornice si apre all’altro e lo ascolta, noi siamo nello spazio in mezzo, ci frapponiamo non visti (ma pre-visti) formando un terzo polo silenzioso che assorbe impressioni e segna, dentro di sé, risonanze e distanze con ciò che gli viene confidato. La regia c’è, ed è nei tempi del dialogo e nelle inquadrature, che guidano non solo le parole degli intervistati ma anche l’atteggiamento di chi le sente.
Per niente discreto e anzi smaccatamente espressionista, è The Handke project – or, justice for Peter stupidities, spettacolo denuncia (o meglio accusa senza possibilità di replica) ai danni dello scrittore austriaco Peter Handke, colpevole di aver tenuto posizioni di approvazione per l’ex presidente serbo Slobodan Milošević con conseguente negazione dei crimini di guerra perpetrati durante la guerra in Jugoslavia degli anni ’90 contro croati e musulmani, in particolare a Srebrenica. Ma soprattutto colpevole di aver partecipato ai funerali del dittatore leggendo un’orazione funebre. (Qui un’interessante ricostruzione della polemica). Poi, ahilui, ha pure vinto il Nobel, prova, secondo l’autore del testo Jeton Neziraj, della disprezzabilità di tutta l’Accademia di Svezia che glielo ha assegnato e – ça va sans dire – dell’Europa in generale.
Scontro tra verità letteraria e verità storica. La faccenda ha due corni: quello specifico e deplorevole delle dichiarazioni filoserbe di Handke e quello generale della libertà di un’artista nell’esprimere opinioni, discutibili se non odiose. Questo scalfisce il valore delle sue opere poetiche e letterarie? È da Caravaggio in giù che se ne discute, passando per Céline e Polanskij. Qui ci limiteremo a fare alcune osservazioni ‘estetiche’ sullo spettacolo, con una coda inevitabilmente etica, il lettore ce lo consentirà.
The handke project è in pieno stile balcanico: eccessivo, pesante, greve, carico. Sette attori con costumi bianchi, neri e rossi, saturi, come le scene e le luci, frustini, dominatrici, stivaloni, scodelle di sangue versato in faccia, kalashnikov imbracciati, roba così. Compaiono l’angelo alato interpretato da Bruno Ganz ne Il cielo sopra Berlino (Handke partecipò alla stesura della sceneggiatura), e l’artista serba Marina Abramović, in una mescolanza aggressiva che parte con l’assunto rabbioso contro Handke e il Premio assegnatogli e finisce ancora lì, senza aggiungere nulla, senza alcun tentativo di problematizzazione, contando sulla scontata solidarietà del pubblico. Perdipiù lo spettacolo inizia con una scenetta di dubbia riuscita in cui una delle attrici si finge in polemica dalla platea per poi salire “a sorpresa” sul palco. Più scorretto è, però (e qui è la coda etica) che gli attori, nel finale, passino ad alcuni spettatori bigliettini in inglese da leggere ad alta voce contenenti ancora invettive. Spettatore organico e embedded? Reclutare il pubblico nelle proprie fila, senza porsi il dubbio che non lo voglia fare è una forzatura. Quasi come incitare la platea a gridare tutti insieme “Fuck Peter Handke! Fuck The Academy!”.
Quando si dice audience engagement.
VIZIJOS
regia Roberto Magro
assistente alla regia Lukas Alsys
scenografie e land art Paolo Primon
artisti Liam Carmody, Pauline Camille Talon, Eugenijus Slavinskas, Džiugas Kunsmanas, Motiejus Bazaras, Agnietė Lisičkinaitė
costumi Aušrinė Jokubauskaitė
produzione Kaunas 2022 – European Capital of Culture – Public Institution Kaunas
DEATH AND BIRTH IN MY LIFE
idea, concept, regia Mats Staub
camera Matthias Stickel e Benno Seidel
scenografie Monika Schori
associati alla drammaturgia Simone von Büren e Elisabeth Schac
direzione tecnica Hanno Sons e Stefan Göbel
produzione zwischen_produktionen
THE HANDKE PROJECT – OR, JUSTICE FOR PETER’S STUPIDITIES
autore Jeton Neziraj
regia Blerta Neziraj
dramaturg Biljana Srbljanović
collaboratrice artistica Alida Bremer
scenografia Marija Kalabic
composizioni Gabriele Marangoni
coreografia Gjergj Prevazi
costumi Blagoj Micevski
disegno luci Yann Perregaux
suono Leonardo Rubboli Tempo Reale
direttore di produzione Aurela Kadriu
assistente di produzione Flaka Rrustemi
assistente alla regia Sovran Ndrecaj
con Arben Bajraktaraj (FR), Adrian Morina (RKS), Ejla Bavćić (BiH), Klaus Martini (IT), Verona Koxha (RKS), Anja Drljevic (MNE)
co-produzione Qendra Multimedia/Teatro della Pergola – Firenze/Mittelfest2022 in associazione con Theater Dortmund National Theater of Sarajevo International Theater Festival MESS – Scene MESS
Mittelfest, Cividale del Friuli | 22/23 luglio 2022