ELENA SCOLARI | Si è appena chiusa la XXIII edizione del Festival dei Tacchi organizzato in Ogliastra da Cada die teatro per la direzione artistica di Giancarlo Biffi, dove abbiamo avuto modo di vedere alcuni spettacoli recenti e importanti, che hanno girato con le prime repliche nella Stagione 2021/22 (ne abbiamo dato conto nella prima puntata del reportage), tra questi uno degli appuntamenti più attesi è stato senz’altro Museo Pasolini di Ascanio Celestini, prodotto da Fabbrica Srl e Teatro Carcano (e disponibile anche su Raiplay) in occasione del centenario della nascita del controverso intellettuale italiano.
Il lavoro è frutto di una approfondita ricerca filologica sulla vita dello scrittore (nonché giornalista, poeta e cineasta) operata seguendo l’affermazione di Vincenzo Cerami: “Se noi prendiamo tutta l’opera di Pasolini dalla prima poesia fino al film Salò, l’ultimo suo lavoro, avremo il ritratto della storia italiana dalla fine del fascismo fino alla metà degli anni Settanta. Pier Paolo Pasolini ha raccontato cosa è successo nel nostro Paese in tutti questi anni”.
Questo è il dettame che ha guidato Celestini nella stesura del testo di Museo Pasolini, in cui si traccia effettivamente la storia – per sommi capi – di quella porzione di anni italiani. Lo spettacolo non è però un freddo bigino storico ma anzi un percorso dai contorni ben definiti che – nell’ampia eredità che Pasolini ha lasciato – compie uno slalom tra le tante sfaccettature di un uomo complesso, che ha esplorato più discipline artistiche in maniera assolutamente originale, è stato contestato e osannato (molto anche post mortem), si è esposto su alcuni dei fatti più neri del nostro paese – da Valle Giulia alla bomba di Piazza Fontana) attirandosi strali e attacchi anche molto duri.
Celestini è in elegante completo nero, seduto, alle spalle una porta bianca, presumibilmente l’ingresso del Museo, accoglie gli spettatori come visitatori e comincia l’esposizione con una precisa cronologia dalla nascita di PPP e toccando le tappe bolognesi, la passione per il calcio, gli anni friulani, la prima poesia scritta in friulano dopo la folgorazione sonora della parola ruzada (rugiada in dialetto), poi il trasferimento a Roma.
L’ago della narrazione si sposta con l’arrivo nella capitale perché Roma è anche la città di Ascanio Celestini, e infatti da qui il racconto si allarga a lunghi inserti sul quartiere del Quadraro e altre zone dell’urbe, abitati dai personaggi che il drammaturgo sa disegnare tanto bene con accenti sempre a metà tra il cinico e il popolare.
Roma e l’autobus sotto casa diventano lo sfondo per la parte “sognante” del testo: incontri alla fermata del bus tra un operaio e il Poeta, l’uno va verso la fabbrica e l’altro verso la scuola di periferia dove insegna; queste conversazioni sono lo spunto per riportare in modo diretto alcuni dei pensieri di Pasolini, calati in un paesaggio urbano familiare a entrambi.
Nelle due ore abbondanti di spettacolo si ripercorrono l’inizio del Ventennio, Mussolini Presidente del consiglio, l’eccidio del Porzûs del 1945 in cui 17 partigiani della Brigata Osoppo furono uccisi da altri partigiani, fino all’attentato alla Banca dell’Agricoltura di Milano e poi la morte violenta del poeta su una spiaggia di Ostia nel 1975. Nello svilupparsi di questo viaggio storico si può però rilevare una certa parzialità (l’episodio del Porzus è descritto in un modo che si potrebbe discutere), in generale lo slalom omette alcune delle forti contraddizioni che Pasolini ha incarnato, in una vita che lo ha visto anche cambiare posizione su tanti argomenti.
Nello spettacolo viene detta una cosa assai significativa, espressione di chi intravedeva già in vita il ruolo profetico futuro: “Finché Pasolini è vivo dice quello che vuole, quando sarà morto gli faremo dire quello che vogliamo noi”. Ecco, siamo certi che Celestini sia stato fedele agli scritti e alle opere dell’autore nativo bolognese e che non abbia manipolato alcunché ma c’è comunque modo e modo di allestire un museo: il curatore segna sempre una linea personale, gli oggetti vengono esposti sotto una certa luce, si posizionano al centro della sala o in un angolo, si scelgono i pezzi della collezione. E questo succede nello spettacolo, che in vari momenti si allontana dal soggetto Pasolini per farlo quasi diventare un appiglio laterale per raccontare le parti di storia che più si confanno alla guida di questo museo letterario/teatrale.
Ancora dell’Italia e soprattutto degli italiani affezionati anche ai loro difetti si parla nel reading Gola e altri pezzi brevi, un insieme di racconti di Mattia Torre (autore della fortunata serie tv Boris) letti con grande mestiere da Valerio Aprea, noto anche per i suoi passaggi a Propaganda live. L’affresco di Torre è un inno salace ai costumi italici: in Gola si mette alle berlina la fame infinita, retaggio dei patimenti di guerra, che spinge le nonne a mettere all’ingrasso i nipoti e che provoca offese irreparabili quando si rifiuta un arancio di Sorrento per sofferta sazietà.
Negli altri racconti – letti con un sapiente controllo dei battiti emotivo/narrativi dati da intonazione, gestualità e saliscendi di ritmo – si deridono sogni di agiatezza inizialmente modesti e poi senza freni che sfociano in immaginarie auto di super lusso rivestite di visone abitate da modelle più che top; oppure ci si diverte a ripercorrere quanti di noi hanno sentito dire all’idraulico “Ma questo impianto chi lo ha montato?!” o al dentista o al meccanico nell’inveterata abitudine di scaricare il barile delle grane su chi è venuto prima.
I testi sono scritti con brillantezza, in una lingua mai banale (anche se gli argomenti a volte lo sono) e l’interpretazione di Aprea, arguta e con un tot di maniera, ottiene le risate piene di una platea che si riconosce nell’identikit disegnato.
Decisamente meno sorridente è il contesto di Cattivo, tratto dall’omonimo romanzo di Maurizio Torchio, adattato e interpretato da Tommaso Banfi e diretto da Giuliana Musso. Cattivo è un detenuto, in carcere per il rapimento di una donna, tenuta prigioniera e in catene per mesi.
L’uomo è in scena solo, con una triste tuta grigia, si porta appresso un telone di plastica verde, è l’unico oggetto (oltre a uno sgabello), è difficile da manipolare e crocchia sonoramente, piegato il protagonista lo sfoglia come un album di ricordi del passato e svolto lo mette in forma precaria a suggerire sagome umane. Banfi è una presenza discreta, sul palco, è “compresso” dall’esperienza che racconta, il suo corpo è come schiacciato dalla prigionia e così i passi sono brevi, la schiena un poco curva.
Le parole del monologo sono misurate, scelte dall’autore con la nitida intenzione di essere appuntito ma non crudele, il bell’adattamento scenico dal romanzo è ‘indossato’ da Banfi con altrettanta cura, la sua interpretazione è sfumata e lucida insieme, come la strana parlata. La mano della regista G. Musso è molto leggera, ha scelto di focalizzarsi sull’attore e sul suo stare in scena più che sulla costruzione di altri segni. (Da dire che lo spettacolo è stato programmato in orario diurno quindi privo di piano luci).
Si ascolta una riflessione acuta sulle conseguenze della detenzione, che nel caso di Cattivo lo porteranno a sfogare la repressione uccidendo un secondino. Ecco perché si trova in isolamento. Non si dà pace per non essere stato fermato. Hanno volutamente lasciato che lo facesse?
Quest’uomo è dotato di ironia, oltre che di capacità introspettiva, e il pubblico segue i suoi pensieri come se fosse a colloquio con lui, qua e là si sorride ma soprattutto ci si avvicina a capire un po’ di più cosa possa significare privare una persona della libertà e – in sostanza – appropriarsi della sua vita, quasi certamente considerandola ‘a perdere’.
I fatti che fanno la Storia, mai univoca, di un Paese ondivago per natura, la parodia bonaria, l’invito a non girare la testa quando si tratta di questioni spinose. Tre modi di guardare all’Italia, presentati da un festival che l’Italia continentale la guarda da un’isola.
MUSEO PASOLINI
di e con Ascanio Celestini
voci Grazia Napoletano e Luigi Celidonio
musiche Gianluca Casadei
suono Andrea Pesce
produzione Fabbrica Srl e Teatro Carcano
GOLA E ALTRI PEZZI BREVI
omaggio a Mattia Torre
con Valerio Aprea
di Mattia Torre
produzione Associazione Culturale Nutrimenti Terrestri
CATTIVO
progetto, adattamento testo e interpretazione di Tommaso Banfi
regia di Giuliana Musso
musiche, progetto sonoro e disegno luci Claudio Parrino
scene Francesco Fassone
coproduzione Compagnia Aria Teatro/La Piccionaia
dall’omonimo romanzo di Maurizio Torchio (Ed. Einaudi)