GIORGIO FRANCHI | Un tempo c’era il foyer, luogo prediletto dagli spettatori più incalliti per le chiacchiere pre e post spettacolo. Oggi, ad Arzo e Meride, ex comuni svizzeri ora quartieri di Mendrisio, l’efficienza elvetica adatta a luogo di simposio i mezzi pubblici.
Del Festival di Narrazione, alla sua ventiduesima edizione dal titolo Che basta un colpo di vento per (18-22 agosto), ne parlano quasi tutti i passeggeri che incontro sull’autobus che parte dalla stazione. Quasi fossero comparse pagate di un improbabile Truman Show. O più probabilmente segnale del successo nel coinvolgimento della cittadinanza: arrivati nei borghi si respira aria di festival, oltre che di montagna, qui a cinquecento metri. Fa gioco la disposizione strategica delle corti adattate a teatro, in entrambi i quartieri, dislocate a pochi metri su un percorso quasi rettilineo. Per passare da Arzo e Meride e viceversa, invece, basta il biglietto dello spettacolo per salire gratuitamente sui mezzi di tutto il cantone.
Che le cose si sono fatte in grande si capisce dalla prima località di spettacolo: un enorme tendone bianco, icona per eccellenza del circo, portata dalla compagnia Nicole e Martin; i padroni di casa, che aprono le danze il sabato mattina, lasceranno poi lo stesso spazio ad altre compagnie. Lo spettacolo, Wassilissa, riprende l’omonima fiaba russa, alternando prosa e arte circense. Il duo, coadiuvato da altri quattro performer che suonano vari strumenti e introducono i personaggi con brevi lazzi, si cimenta nel modulo “uno e tutti”: lei, Nicole Gubler Schranz, tiene perlopiù il personaggio della protagonista (con qualche breve incursione nella sorellastra), mentre lui, Martin Gubler, interpreta tutto il pantheon di caratteri comici che orbita attorno a lei; lo spettacolo fa il pieno di risate quando, messi i panni della strega, si cimenta in una sequenza alla Charlie Chaplin in cima a una scala. Il pubblico apprezza, accusando forse solo un finale troppo dilatato e qualche snodo di trama passato in sordina. Ma al momento di applaudire, tutti presenti.
La selezione per l’infanzia, che il festival affianca alle proposte per i più grandi (Irene Serini, i Maniaci d’Amore, Usine Baug, Alessandro Sesti, Laura Curino, Grazia Capraro, Daniele Paoloni) continua con Scoiattolo e Leo, la storia di un’amicizia tra umani e animali scritta e interpretata da Roberto Capaldo. Una sedia, un attore, qualche migliaio di voci, vocine e vocione, tra cui quella dello scoiattolo protagonista chiaramente ispirata al bradipo Sid. I giovani spettatori, tuttavia, non se ne curano: del resto, L’Era Glaciale è uscito vent’anni fa. Sì, sono esattamente vent’anni, scusate per questo momento di sconforto. La forma del “teatro ragazzi di narrazione” (di cui abbiamo parlato già per il riuscito Pesche Miracolose a Vimercate) assieme alla trama semplice e lineare, spiana la strada all’interpretazione di Capaldo, che non ha problemi a entrare nei cuori degli spettatori.
Rimaniamo sull’onda della narrazione. Ma, prima di parlare de Di che storia hai bisogno?, sostituiamo mentalmente l’immagine di Papà Castoro e il suo libro di fiabe con il David Lee Roth dei primi Van Halen: l’energia di Luca Chieregato, grosso modo, è quella. L’attore, sfoderando un arsenale di trucchi da palcoscenico, cattura l’attenzione dei piccoli spettatori e la mantiene altissima per quasi un’ora. Il pubblico partecipa così attivamente alle storie, una selezione, diversa ogni giorno, del vasto repertorio dell’attore. Il genere letterario, per Chieregato, è un confine labilissimo: spazia dal racconto cavalleresco in rima, riproposto per le vicende del goffo Drago a Rotelle, a una tempesta di giochi linguistici quando narra la ribellione delle vocali, passando per canzoni, imitazioni, botta e risposta col pubblico da stand-up comedian, cimentandosi perfino nel corsivo, lo slang più in voga del momento su Tik Tok. Lo spettacolo si chiude con un toccante momento di poesia dedicato alla luna, ispirato a un’idea della figlia dell’attore.
Prisca Mornaghini e Antonello Cecchinato portano invece in scena L’Usignolo, produzione Collettivo Minimo. Due turisti inglesi in visita in Cina, con tanto di accento alla Stanlio e Ollio, raccontano dal loro punto di vista la fiaba di Andersen. Il duo, applaudito dall’inizio alla fine da un pubblico molto caldo, schiaccia sul pedale della psichedelia: la comicità diventa presto metanarrativa, si intreccia alla cornice narrativa, fa un breve tuffo nel nonsense per poi spiaggiarsi sulle rive del “so bad it’s so good” (battute così squallide e forzate che fanno il giro e diventano esilaranti). Efficace la drammaturgia, che dosa battute per i più piccoli con quelle per gli adulti, peccando un po’ di ingenuità nel credere che i giovani spettatori non le colgano (l’ottenne medio di oggi è ben più smaliziato di quanto spesso crediamo, ahimè). Al netto di qualche sbavatura nella recitazione, perlopiù dato dalla difficoltà di mantenere l’accento british, e qualche ripetizione di troppo, lo spettacolo conquista il pubblico e fa il pieno di applausi.
Non mancano le proposte per i piccolissimi, ovvero la fascia fino ai quattro anni. I colori dell’acqua (regia di Andrea Buzzetti, con Giada Ciccolini e Sara Lanzi) è un viaggio nello stupore della scoperta del mondo a partire dai suoi colori. In scena due alberi e varie sacche riempite di acqua, inizialmente trasparenti, ma pronte a ricreare tutte le sfumature dell’arcobaleno grazie a qualche goccia di colorante. A ogni colore è associato un momento di scoperta, dalla prima corsa in un campo di biondo grano al blu delle onde del mare. In questo tipo di spettacoli, il grado di coinvolgimento dei più piccoli (probabilmente il pubblico più esigente di tutti) è la misura del successo: per trenta minuti non vola una mosca, soprattutto nei momenti in cui vengono introdotti i colori e gli oggetti di scena. Situazioni sceniche da approfondire, più efficaci per il pubblico rispetto alle sezioni di dialogo fisico tra le attrici, che pure si dimostrano brave e in ascolto tra loro. L’unica vera critica la suggerisce ad alta voce una spettatrice sui 6 anni: le attrici, in scena, condividono un’arancia e una foglia di lattuga e, nonostante ci sia acqua ovunque, <<non si lavano le mani prima di mangiare!>>. Errore, manco a dirlo, gravissimo.
Tra le proposte per adulti abbiamo visto Vasi Comunicanti, restituzione finale dell’epopea quadriennale dei varesotti Karakorum Teatro. La compagnia, con il sostegno della Città di Mendrisio e della RSI, ha girato le zone di frontiera tra Lombardia e Canton Ticino in cerca di storie dei locali, riproponendole in scena in forma drammatizzata, oltre che in un libro e un podcast. Quattro attori-narratori interpretano le pietre di Arzo, che nel comune svizzero ci sono da prima degli umani e che delle umane vicende sono testimoni. Lo spunto litico – drammaturgico, su cui varrebbe la pena di insistere, si fa invece evanescente per lasciare spazio alle storie di paese. Sebbene sia difficile per un forestiero appassionarsi alle vicende di Osvaldo alla fiera di Meride, il pubblico locale apprezza visibilmente, e un buon lavoro sui testi (Stefano Beghi, Allegra de Mandato, Marco di Stefano, Stefano Panzeri, supervisione di Chiara Boscaro) e la recitazione (Stefano Beghi, Susanna Miotto, Stefano Panzeri, Alice Pavan) colma la distanza con il pubblico “di fuori”. Rimane spazio di manovra per la regia (del tuttofare Stefano Beghi), che si intravede soprattutto nei momenti corali, che portano vivacità e imprevedibilità allo spettacolo.
FESTIVAL DI NARRAZIONE
Mendrisio, 18-22 agosto 2022