EUGENIO MIRONE | “L’ultima luna. La vide solo un bimbo appena nato” cantava un maestro della musica italiana chiamato Lucio Dalla. Quel bambino, venuto al mondo un giorno d’estate del 1997, ha compiuto venticinque anni e porta il nome di L’ultima Luna d’Estate. Da un quarto di secolo prendendoci per mano questo festival ci porta alla scoperta degli incantevoli luoghi immersi nel verde delle province di Lecco e Monza Brianza, illuminati dalle ultime luci estive. Grazie all’organizzazione della compagnia Teatro Invito in collaborazione con il Consorzio Brianteo Villa Greppi, per dieci giorni, dal 26 agosto al 4 settembre, la magia del teatro anima cascine, parchi, chiostri e ville del Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone prima che l’atmosfera sospesa dell’estate si dissolva e il ritmo della quotidianità riprenda il suo cammino.
La direzione artistica, curata da Luca Radaelli, quest’anno pone l’attenzione sul tema della libertà, declinato in varie forme all’interno del ricco cartellone di un festival dalla forte anima popolare ma che ha la capacità di condurre “fuori dalle mura” anche gli abitanti della città – come il sottoscritto – che si trovano a vestire le inusuali vesti di forestieri.
Qui il resoconto di una giornata del festival. È sottinteso: l’invito è quello di alzarsi dal divano e godere degli ultimi attimi d’estate nell’incanto del teatro.
Mentre l’estate volge al termine, nel cortile della meravigliosa Villa Greppi, un’ospite d’eccezione sistema i fogli sul leggío posto in un angolo del giardino. È Maria Paiato, attrice di cinema e teatro tra i volti più importanti della scena artistica italiana, che si appresta a leggere il primo dei due racconti contenuti in Una e una notte di Ennio Flaiano.
Capita che Graziano, un cronista-praticante svogliato e recalcitrante nei confronti dei frenetici ritmi da città, completamente disinteressato a ogni forma di vita che abiti il pianeta a meno che non si tratti di una bella signorina, in altre parole un autentico vitellone, venga incaricato dal suo direttore di indagare su un misterioso corpo celeste atterrato nei pressi di Fiumicino.
Il compito è vissuto con duplice stizza da parte del giornalista, profondamente convinto che l’esistenza di altre forme di vita nell’universo sia solo un’allucinazione collettiva creata dalla paura per l’inconoscibile; ma soprattutto perché al momento della ricezione dell’incarico si trovava in ferie non godute.
Succede però che l’alieno esista. Niente tentacoli o enormi testoni verdi: l’extraterrestre ha le sembianze di una giovane ragazza dal volto angelico (da pervertita, secondo Graziano, che non riesce a immaginarsi una donna se non nei suoi atteggiamenti “notturni”). Dice di chiamarsi Marta e di venire dalla Danimarca. Subito si lascia vincere dai rozzi e primitivi tentativi di seduzione del cronista, restando impassibile (che altra educazione, i danesi!). Se non fosse che finirà per prendere sul serio le frasi amorose pronunciate da Graziano, tanto da decidere di portarsi l’uomo sulla sua astronave in giro per l’universo. È l’occasione che ognuno attende, il Kairos da afferrare per cambiare vita. Sarà, ma Graziano forse per pigrizia o addirittura per noia, rimpiange la sua misera esistenza sulla Terra. E così, con il suo animo da italiano festaiolo ed estroverso, Graziano riesce perfino a corrompere gli extraterrestri e a coinvolgerli in una festa orgiastica che provoca quasi il collasso dell’astronave.
Dopo questo episodio, tutto terrestre, riesce a convincere Marta a farsi riportare a casa.
Foto di Roberto Del bo
La penna di Ennio Flaiano ci regala un affresco agrodolce di una Roma degli anni sessanta in un testo sornione e dall’alto grado di godibilità. Il pubblico di Villa Greppi ne è la conferma, sciolto e divertito sin dalle prime righe. Il merito è senz’altro di un’eclettica Paiato in grado di insaporire ogni personaggio del racconto con una spezia caratteristica, dal romanaccio direttore di testata alla nordica Marta. Sobria, mai una caricatura di troppo, eppure estremamente efficace e divertente. Ottima anche la gestione del ritmo: se la tendenza del testo è quella di assecondare la pigrizia del suo protagonista, Paiato si è fatta sempre trovare pronta a ridestare con accenti squillanti ogni nuova sezione del testo.
Sia chiaro: non si tratta un difetto di scrittura, al contrario Flaiano è così bravo che si è portati naturalmente a immedesimarsi in Graziano, un bambinone appartenente a quella generazione che resiste all’età adulta e che non avrebbe problemi ad affiancare Alberto Sordi come sesto dei Vitelloni nell’omonimo film di Fellini, al quale Flaiano collaborò in veste di sceneggiatore.
E come accadeva ad Alberto in una celebre scena, anche Graziano riesce a mettere a fuoco la sua condizione di infelicità solamente da ubriaco, a conclusione dei festeggiamenti sulla navicella. Tanto l’astronave quanto Roma, infatti, non gli appartengono. E se nemmeno un alieno è riuscito a scuotere dalla sonnolenza uno come Graziano, tanto desideroso di cambiare vita a parole ma con un’enorme paura di perdere le proprie certezze e di smarrirsi, resta da chiedersi che cosa dovrebbe accadere per trovare la forza di lasciarsi alle spalle l’infelicità e cominciare a vivere per davvero.
Urge una risposta perché, come Graziano, masse di giovani sempre più numerose si trovano in un abisso di smarrimento e i banali palliativi che avevano effetto sui vitelloni – una bella donna, il girovagare con gli amici e fare festa – alla lunga non sembrano più sufficienti.
Ci spostiamo di qualche chilometro nello spazio e di qualche anno indietro nel tempo. Intorno alle 21 il suggestivo chiostro della parrocchia di San Giovanni a Perego si trasforma nella Palermo del 1982. L’estate è finita, l’Italia ha appena vinto il suo terzo mondiale e, si sa, l’euforia nazionale generata da eventi come questo sembra far dimenticare qualsiasi difetto del nostro paese. Ma c’è una piaga che allora teneva in ostaggio il bel paese, in particolare la Trinacria: la mafia.
Purtroppo, la questione può dirsi tutt’altro che conclusa, e forse proprio per questo motivo Chiara Gambino e Alba Sofia Vella hanno deciso di portare Nel nome di Maria alla luce dei riflettori. Alle due attrici, vincitrici del bando Luna Crescente per artisti under 30 della scorsa edizione del festival, è stata data la possibilità di realizzare lo spettacolo nella sua interezza in una delle serate dell’edizione 2022, a dimostrazione dell’attenzione riservata dalla direzione del festival alle nuove generazioni. Il binomio è meraviglioso, nel chiostro della parrocchia di un paesino della Brianza il dialetto siciliano delle attrici risuona forte e libero. Il pubblico è stregato.
La storia è quella di Maria Lo Bello, giovane ed energica ragazza palermitana. È il 14 novembre, e come ogni sera Maria se ne sta sotto casa in attesa del suo fidanzato, Calogero Zucchetto detto Lillo, poliziotto presso la squadra Mobile della Questura di Palermo nonché suo futuro sposo. Come migliaia di giovani coppie, i due sono diretti al cinema.
Diciamolo subito, Calogero a quell’appuntamento non ci arriverà mai. Quella stessa sera verrà freddato con cinque colpi di pistola all’uscita del bar “Collica”, in pieno centro a Palermo. Gli esecutori del brutale assassinio verranno riconosciuti in seguito in Pino Greco e Mario Prestifilippo, due di quei mafiosi che Lillo un tempo era quasi riuscito ad arrestare in una delle sue ronde in motorino per le borgate periferiche del capoluogo.
Un’ora e venticinque minuti, dalle 19.10 alle 20.35. Questo il tempo d’attesa in cui spensieratezza, rabbia, ansia e paura si prendono la scena. Maria è un fiume di parole. Mentre aspetta l’arrivo del fidanzato racconta dell’incontro e dell’amore sbocciato tra lei e Calogero ma anche del ritardo cronico di lui e delle sentenze proverbiali della madre. Maria parla, forse troppo; lo fa per scacciare i brutti pensieri che ogni sera la perseguitano. A quei tempi avere come compagno un poliziotto non era semplice.
Sul palco non è sola, una donna seduta tra il pubblico viene catapultata nel mondo di Maria alla scoperta della Palermo martoriata dalla guerra mafiosa e dell’amore di due giovani che vorrebbero costruirsi un futuro insieme. Proprio la donna, sebbene rinchiusa nella sua dimensione, cercherà di stare vicino a Maria fino alla tragica scoperta finale.
Gambino restituisce con vigore un personaggio vivo, di carattere, che in poco più di un’ora attraversa una girandola di emozioni. Quando la scena è nelle sue mani si sprigiona un’energia travolgente. E forse, la pièce avrebbe acquisito maggior efficacia comunicativa se fosse stata presentata in forma di monologo.
A causa di alcune sovrapposizioni e di una prossemica sovrabbondante, infatti, il gioco tra i due personaggi risulta a tratti impastato e rischia la confusione, a scapito dell’intensità emotiva della vicenda. Il personaggio di Alba Sofia Vella, che ne veste i panni in maniera efficace, irrompe violentemente nella scena senza riservare al pubblico il tempo di metabolizzarne la presenza. La funzione di questo personaggio non è abbastanza chiara per giustificarne appieno la presenza (si tratta della coscienza delle nuove generazioni? Di una specie di angelo custode? Di una donna dei giorni nostri?).
Al netto di ciò, la prova delle due giovani attrici risulta convincente. Nel nome di Maria ha tutte le carte in regola per poter camminare sulle proprie gambe. Lo spettacolo ha il merito di portare alla luce con coraggio una piaga della nostra società, attraverso una storia emozionante narrata con un tono leggero ma profondo, e mai retorico. La scelta drammaturgica di non raccontare un tema così frequentato attraverso una narrazione cronachistica in terza persona denota originalità. Il delitto di Lillo non viene annunciato, il pubblico lo scopre insieme a Maria e, come lei, viene travolto da una carica di emozioni improvvise.
Maria ci ricorda che è bello vivere fino a quando lo decidi tu, che è bello sentirsi liberi di andare al cinema, di uscire con il proprio moroso, di rimanere in fila dal fruttivendolo senza pensare che il tuo vicino possa essere un mafioso o un assassino.
Lo stesso vale oggi. Crediamo di essere liberi ma, per esempio, quanti paesi siamo impossibilitati a visitare a causa di motivi politici o di sicurezza? Quanto ci vorrà prima di poter tornare a visitare Mosca, San Pietroburgo o Kiev come un tempo? Dall’altra parte in Europa si discute sulla proposta di negare i visti turistici ai cittadini russi. Tutti si schierano sotto il vessillo della libertà; ma cosa sia davvero questa libertà è difficile capirlo.
Grazie al Festival Ultima Luna per risvegliare le coscienze e grazie ai meravigliosi scorci naturali del lecchese e della Brianza per rasserenare il cuore. Non ci resta che attendere l’anno che verrà sulle note del caro Lucio.
UNA E UNA NOTTE
testo di Ennio Flaiano
interprete Maria Paiato
Monticello Brianza, 27 agosto 2022
NEL NOME DI MARIA
di e con Chiara Gambino
e Alba Sofia Vella
musiche di Domenico Gargano
La Valletta Brianza, 27 agosto 2022
L’ULTIMA LUNA D’ESTATE
26 AGOSTO – 4 SETTEMBRE 2022