LILIANA TANGORRA | #NOFEAR – Nessuna paura è stato il tema della XXVI edizione del Festival internazionale Castel dei Mondi tenutosi ad Andria, Castel del Monte e Trani dal 26 agosto al 4 settembre.
Tante le compagnie ospitate e gli eventi promossi, che hanno coinvolto un largo pubblico che da anni, però, attende la possibilità di avere un accesso più immediato all’acquisto dei biglietti. Non si può negare che Castel dei Mondi è un festival noto, una kermesse molto attesa nel territorio pugliese, un evento storicizzato che non deve aver paura di rinnovarsi.
Ce lo insegna Ugo Dehaes della compagnia di danza belga Kwaad Bloed in uno degli spettacoli più interessanti ospitati durante il Festival: Simple Machines, andato in scena il 3 e il 4 settembre presso il seminario Vescovile di Andria.
Simple Machines riporta alla tradizione teorica del teatro di Gordon Craig, o di Enrico Prampolini e Fortunato Depero nelle cui sperimentazioni il performer doveva essere sostituito da una Marionetta, dalle luci o da una macchina. In una splendida lezione-spettacolo, lo spettatore si ritrova ad essere seduto a un desco, circondato da un’atmosfera quasi intima e conviviale, mentre assiste alla decisione di Ugo Dehaes di eliminare il danzatore dalla scena per puntare ad arricchirsi. Ci si domanda, come Ugo può diventare milionario per il tramite di un robot? Non pagando il performer e sostituendolo, come succede nelle attività a produzione industriale, con macchine e arduini.
Ugo mostra con sarcasmo – a un pubblico divertito – la nascita del robot, la sua evoluzione fisica, la sua adolescenza, la sua ribellione ed effettivamente la sua poca propensione alla danza. Movimenti sincopati, improvvisazione, un Lago dei cigni meccanico e indefinibile portano lo spettatore a una considerazione: può l’uomo avere paura di una macchina? E nonostante la fascinazione legata a bracci meccanici, luci led, meccanismi a scomparsa e suoni psichedelici, può la macchina sostituire definitivamente l’uomo? Dubbio amletico sul quale da cent’anni i teorici si arrovellano e al quale sembra che il coreografo abbia dato un’univoca risposta. A concludere la riflessione sul tema indotta da Ugo Dehaes, basta parafrasare Calvino nel suo Marcovaldo: Marcovaldo confrontò la luna e il semaforo. La luna col suo pallore misterioso, giallo anch’esso, ma in fondo anche verde e azzurro, e il semaforo con quel suo gialletto volgare. E la luna, tutta calma, irradiante la sua luce senza fretta, venata ogni tanto di sottili resti di nubi, che lei con maestà si lasciava cadere alle spalle; e il semaforo intanto sempre lì accendi e spegni, affannoso, falsamente vivace, stanco e schiavo.
Il ciclo della vita è il tema dello spettacolo Vida – ospitato presso l’Officina San Domenico di Andria nei giorni 3 e 4 – dell’artista spagnolo Javier Aranda, che con il suo approccio poetico al teatro ragazzi ha restituito con un cestino, due fari da lui stesso comandati un racconto universale che parla di umanità. Dalle sue mani prendono vita prima un uomo e poi, come in una sorta di laica nascita dell’universo, una donna, i quali familiarizzano pian piano con il proprio corpo. Il ciclo vitale ha il suo compimento nella nascita di un figlio, il quale scopre, parla, cresce e abbandona il nido lasciando gli anziani genitori al loro ultimo viaggio. Un palloncino come iconico simbolo di libertà si libra sulle note di Volare. Uno spettacolo suggestivo che ha catturato con semplici gesti – eccezionale la ricerca di Javier Aranda sulla puppetry realizzata con le dita – e pochissime parole, il pubblico, complice delle avventure e delle trasformazioni dei protagonisti.
Ancora di paure si è parlato nello spettacolo The Jokerman di Elsinor Centro di produzione teatrale con Michele Maccagno, messo in scena il 28 agosto presso il Palazzo ducale di Andria. Il personaggio sul palco rimarca uno dei cattivi più noti nell’immaginario comune: lo psicopatico e triste Joker, nemesi di Batman della DC Comics. Jokerman è un uomo mascherato – appena uscito da una festa – il quale, osservando la realtà, si interroga sull’esistenza. Sente paurosamente il peso e la stretta del vivere nel presente e, allora, tra sconquassate e inconcludenti riflessioni tenta di attuare la sua ribellione con un tentato suicidio – atto anarchico vicino a quello del personaggio della DC – che possa scaravoltare il corso della sua esistenza.
Maccagno in una messa in scena molto stanca né prossima al Joker del regista Romero, né troppo profonda come quella del Joker di Nolan, avvicina lo spettatore a una riflessione sui mali della società – violenze, stupri, abbandono – in un turbinio confuso ed estraniante di parole dettate dalla penna di Francesco Maria Asselta. Solo un blocco verticale in scena a simulare un grattacielo dal quale Jokerman spesso tenta di gettarsi. Discutibile la scelta delle musiche di scena – tra le quali Felicità di Albano & Romina – che sottolineano una ilarità forzata, e troppo didascalico il costume che ha previsto una maglia con la stampa del volto di Haeth Ledger nel Joker di Nolan.
Il Festival ha ospitato alcuni spettacoli nella magnifica cornice di Castel del Monte, edificio medievale patrimonio dell’Unesco.
Si è assistito alla messa in scena Shakespearology di Teatro Sotterraneo. Una chitarra, una cassa, una sedia e Shakespeare in persona – interpretato da un convincente e alquanto somigliante all’originale Woody Neri – a narrare la storia del più famoso drammaturgo di tutti i tempi. Due studiosi dell’opera di Shakespeare hanno un desiderio, quello di dialogare con il Bardo. Leggendo Salinger il quale diceva quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono, i due speaker hanno un’intuizione, quella di interrogare il loro nume tutelare per il teatro e iniziano un dialogo con il ‘risorto’ Shakespeare. Tutto il mondo è un palcoscenico per lo scrittore inglese il quale innesta i suoi dati biografici – o per lo meno quelli noti alla critica – alle vicende comiche o tragiche dei personaggi nati dalla sua penna. Uno spettacolo che fa scoprire uno Shakespeare cinquantenne che ai nostri tempi avrebbe ascoltato e cantato Bob Dylan, Elvis Presley, i Radiohead e Domenico Modugno e che avrebbe visto The Rocky Horror Picture Show e Romeo+Juliet. Le vicende di Shakespeare nell’immaginario del drammaturgo Daniele Villa, lì dove la storia non ci aiuta con dati certi, si intrecciano alle parole di Cervantes, Melville e Salinger, in un ben riuscito intreccio tra vicende passate e suggestioni contemporanee.
Non altrettanto felice è stata la visione dell’esito laboratoriale M/OTHER del collettivo Ø SPECIE. Infastidito da un ritardo di un’ora e trenta, che ha visto alcuni spettatori andare via, il pubblico ha assistito a una performance ancora in fase di studio. Una donna vestita con un imponente abito bianco e rosso, una musica assordante e monocorde, una scenografia fatta in ferro e stoffa rossa dalla quale, come se fossimo di fronte a un parto metafisico, fuoriescono due creature agghindate con calzamaglia bianca e accessori in ferro. Urla, percosse, paure, suoni reboanti e inquietanti storie hanno definito il lavoro. La splendida cornice di Castel del Monte ha mitigato l’incompiutezza del messa in scena che a tratti è risultata poco curata – i due performer non sapevano ben gestire gli oggetti di scena – e ancora lontano dal restituire al ruolo della madre, intesa come generatrice di altri corpi, quella dimensione di fecondazione attraverso l’utero della mente, come definito nella sinossi.
Il festival si è concluso con la catartica performance Transfiguration dell’artista francese Olivier De Sagazan, della quale Renzo Francabandera ha scritto un’accurata recensione e curato su invito del direttore artistico del Festival Riccardo Carbutti un dialogo Post-Show coadiuvato dall’artista Dario Agrimi.
Tante le iniziative realizzate a latere delle messe in scena: presentazioni di libri, dialoghi sullo stato dell’arte, laboratori e non per ultimo l’installazioni di due opere dell’artista pugliese Dario Agrimi in piazza Vittorio Emanuele II, Voli Pindarici e Sofisma, sculture antropomorfe realizzate in finitura iperrealista, che riflettono sullo stato di precario equilibrio dell’uomo tra paure e speranze, tra finte certezze e rassegnazione.
Qualche errore grossolano nell’organizzazione del festival tra ritardi e mancata possibilità di acquistare i biglietti da remoto. Gap che sono ‘giustificati’ dal tema del festival che sarebbe stato più corretto intitolare FEAR, per rimarcare la peculiarità insita nell’uomo che seppur nella sua sacralità d’essere è definibile nella sua fragilità. Nella fragilità umana risiede la ‘paura’ del cambiamento e del rinnovamento. L’auspicio è quello di superare queste difficoltà negli anni a venire in quanto non si può nasconde che l’attenta polifonia di spettacoli scelti, hanno definito ancora il Festival Castel dei Mondi uno spazio aperto a varie sperimentazioni e, dunque, una delle manifestazioni più attese in Puglia.
FESTIVAL CASTEL DEI MONDI
Andria – Trani
26 agosto-04 settembre 2022