CHIARA AMATO | La Sala AcomeA del Franco Parenti di Milano propone fino al 16 ottobre lo spettacolo L’appuntamento ossia la storia di un cazzo ebreo, tratto dal bestseller d’esordio della scrittrice tedesca Katharina Volckmer, per la regia di Fabio Cherstich.
L’opera ha riscosso molto successo già al Festival di Spoleto ed è basata sul testo, provocatorio, fin dal titolo, adattato dall’autrice stessa in collaborazione con il regista.
Cherstich ha collaborato con numerosi teatri italiani ed esteri facendo emergere la passione per l’arte visiva, il design e i linguaggi artistici contemporanei, che bene si fondono col tratto marcatamente postpunk del romanzo della Volckmer.
La scena, composta da pochi oggetti, è costruita dal laboratorio del Teatro Franco Parenti.
Il fondale è diviso da tre rettangoli in metallo, rivestiti da una tela lattiginosa, dal cui retro viene emessa una luce fioca. Al centro si trova la nostra protagonista di schiena, a cavalcioni su una sedia; alle sue spalle e davanti a lei, due strutture circolari in acciaio la incorniciano.
A lato un uomo è seduto, rivolto come uno spettatore verso la scena. Completano il tutto sei stivali da guerra e due poggiapiedi da studio ginecologico.
Una musica tedesca anni ’30 rompe il silenzio, portandoci in epoca nazista con Marta Pizzigallo, che interpreta la protagonista della vicenda, intenta a sfogliare una rivista piena di immagini con corpi statuari, di divinità classiche e body builder contemporanei. Il costume pensato per lei dalla sartoria del Teatro Franco Parenti, diretta da Simona Dondoni, si compone di un bustier color carne che presenta un foro sulla vagina e parte del fondoschiena.
Lo spettacolo è un flusso di coscienza vero e proprio indirizzato al dottor Seligman (interpretato da Riccardo Centimeri), in cui la protagonista parte dalla descrizione di un sogno in cui emergevano sue pulsioni erotiche nei confronti di Hitler, dissacrando qualsiasi opinione politically correct sull’olocausto: “pensa che ci sia qualcosa più stimolante di un genocidio?”.
In un’intervista al The Guardian la Volckmer afferma “si tratta di una confessione, e il dottor Seligman è “il confessore perfetto”, anche perché è ebreo”.
Ma l’olocausto e il senso di colpa nei confronti delle vittime sono in realtà solo una cornice, dove ciò che predomina è una fisicità sensuale, contraddittoria e sofferta di una donna che non sente di dover assecondare ciò che “coloro che hanno il cazzo” si aspettano dalla sua vita.
Mentre scorre il fiume di parole masticate, sia con la bocca che con i movimenti nevrotici e contratti del corpo viene accennato allo spettatore che sta per accadere qualcosa con il suo muto interlocutore.
È un climax che mischia rabbia, passione, ma anche ironia e debolezze dell’essere umano, a prescindere dal genere che lo intrappola.
In questo contesto si incastona la conoscenza con K, un uomo di cui sappiamo poco, ma del cui legame con la giovane donna sappiamo invece molto.
“Le uniche conversazioni vere sono quelle fra estranei, di notte”, quelle in cui non c’è bisogno di nascondere pulsioni istintive. Quelle in cui si può piangere e ci si può sculacciare. Quelle in cui non bisogna scambiarsi necessariamente piacere, ma anche fermarsi prima dell’orgasmo dovuto all’altro.
In questo racconto dei loro incontri, sullo sfondo schizzano i colori di un live painting di Francesco Maisetti, nascosto dietro le quinte, che ricordano le macchie di Rorschach o le opere di Pollock, e che diventano essi stessi parola.
L’utilizzo dei colori si fa narrazione anche nelle luci di Oscar Frosio, che gioca con le musiche e con lo sfondo mutevole in perfetta sincronia. Comunicano fra di loro e con la loro narratrice che, dopo la prima metà dello spettacolo, è un fiume in piena irrefrenabile.
Nulla viene risparmiato dalla protagonista che, al di là di ogni luogo comune, vuole urlare il suo diritto all’infelicità, la ribellione a un patriarcato che la vuole madre e in armonia con il suo corpo.
Pizzigallo riesce a trasmettere, in un singulto di tic e movimenti dei piedi, che non trovano pace in ogni singolo passo, il tormento del personaggio cui dà vita, il bisogno di abbandonare quella vecchia immagine di sé stessa che le sta solo stringendo la gola.
La vagina non è più ciò che riesce a farla sentire nel corpo giusto. Proprio il grande lavoro interpretativo sulla fisicità fa percepire la grande fatica allo spettatore, fatica nel trovare un’identità, fatica nell’accettarla.
Il tema del corpo trasuda nel ritmo delle parole che scivolano come in un romanzo di Joyce, nella contraddizione incolmabile di tutta l’esistenza della protagonista, nel senso di inadeguatezza anche nei confronti poi dell’esperienza sessuale vissuta con K.
La scena si chiude quando l’impassibile dottor Seligman, indossando i guanti con un fare quasi da carnefice assassino, dà inizio alla transizione da giovane ariana a uomo circonciso.
Per tutta la rappresentazione l’ironia del testo e del registro interpretativo spingono la platea fino alle risa fragorose e in particolare il parterre femminile annuisce col capo in molti momenti, a dimostrazione del fatto che molte delle tematiche rappresentate vanno affrontate decisamente.
Al termine, si perde il conto del numero di applausi riservati all’interprete che lascia letteralmente il pubblico attaccato alla poltrona, ognuno toccato in punti nevralgici dell’esistenza.
Lo scossone dato da questo testo e dalla Pizzigallo è impossibile da non portare con sé fuori dalla sala.
L’APPUNTAMENTO OSSIA LA STORIA DI UN CAZZO EBREO
testo di Katharina Volckmer, Éditions Grasset & Fasquelle, 2021
adattamento Fabio Cherstich, Katharina Volckmer
da un’idea di Andrée Ruth Shammah
regia, spazio scenico Fabio Cherstich
con Marta Pizzigallo, Riccardo Centimeri e Francesco Maisetti
luci Oscar Frosio
musiche originali Luca Maria Baldini
assistente alla regia Diletta Ferruzzi
macchinista Marco Pirola
fonico Emanuele Martina
elettricista Luca Asioli
sarto Giacomo Pietro Viganò
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati presso la sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni
si ringrazia Artemide per la luce, nel ricordo di Ernesto Gismondi
produzione Teatro Franco Parenti
21 settembre 2022