RENZO FRANCABANDERA | Sembra sempre in bilico, sempre in bilico, ma alla fine si fa.
Tenacemente, sempre legato al territorio, anche quest’anno Totem Scene Urbane festival di arte e comunità, si è svolto a Pontelagoscuro, frazione della zona nord di Ferrara, promosso e organizzato da Teatro Nucleo con il sostegno del Comune di Ferrara, della Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, della Regione Emilia Romagna e con la collaborazione dell’associazione CARPA (Centro artistico periferie attive), Biblioteca Popolare Giardino e di tutte le realtà che aderiscono al progetto “Ponte Verde”, patto di comunità per la cura e la valorizzazione del Parco Tito Salomoni, antistante il Teatro Cortazar dove ha sede la cooperativa Teatro Nucleo.
Quest’anno, poi, una ricorrenza, perchè Totem è nato 10 anni fa, nel 2012, proprio dall’idea di condividere con la comunità e il territorio il pensiero che caratterizza il lavoro artistico di Teatro Nucleo da oltre quarant’anni, aprendosi ai non-spettatori resi spettatori, le persone che abitano il quartiere, rendendole partecipi della progettualità della compagnia, residenze artistiche multidisciplinari, progetti europei, laboratori teatrali per tutte le età, per contrastare l’isolamento culturale che contraddistingue questa periferia. L’evento ha una dimensione locale, grazie alla collaborazione con le associazioni e scuole del territorio (Comune di Ferrara, Istituto Cosmè Tura, Comitato Vivere Insieme, Biblioteca Bassani), ma anche una regionale (Tramite il progetto di residenze Artistiche Cose Nuove), nazionale e europea (artisti e formatori dall’Italia e dall’estero).
Fra gli artisti intervenuti in questa edizione, di particolare pregio è risultata la proposta di Teatringestazione con Chorea Vacui una produzione dell’anno scorso per la regia e cura della visione di Gesualdi | Trono che vede protagonista dal vivo Giovanni Trono.
Quella di Trono è una presenza che lo spettatore avverte ma non vede, come d’altronde accade per tutto ciò che accade nello spettacolo, in senso ampio. Teatringestazione è una compagnia multidisciplinare con base a Napoli, fondata nel 2006 da Anna Gesualdi e Giovanni Trono, artisti, ricercatori e curatori indipendenti, che lavorano da anni nell’ambito del teatro e delle arti dal vivo, cui si è unita fin dal 2007, in una collaborazione continuativa, Loretta Mesiti in qualità di dramaturg. La compagnia coinvolge diversi artisti e performer che prendono parte alle produzioni e ai progetti culturali, lavorando in contesti nazionali e internazionali, sia indipendenti che istituzionali, alla creazione di opere d’arte, dispositivi partecipativi e multiformi, programmi di formazione ed educazione, concentrandosi sui processi di condivisione.
Chorea Vacui è un dispositivo di provocazione sul concetto del visibile che nasce come costola concettuale di Bestiale Copernicana, un lavoro del 2014 che già affrontava le questioni legate alla relazione fra lo spazio fisico, il percepibile e l’immaginario.
Quel lavoro partiva descrivendo in modo geometrico e asettico una gara di ballo, in una radiocronaca dei movimenti compiuti dai danzatori, che però non erano fisicamente presenti, e che quindi dovevano essere immaginati dallo spettatore ascoltatore.
Quell’incipit è stato ripreso in Chorea Vacui per arrivare, dalla piccola immaginazione della gara di danza sull’argine del Po, con il fiume non concesso allo sguardo dello spettatore, fino all’immaginazione delle profondità celesti.
Il movimento dei danzatori immaginati diventa pian piano quello degli astri e dei primi elementi che hanno dato vita alla nascita del nostro Universo, in una radiocronaca che si perde fra infinitamente grande e infinitamente piccolo, dentro la mente di ciascun ascoltatore. La telecronaca diventa una poetica descrizione dei primi attimi dell’esistere assoluto, per quello che oggi noi umani riusciamo a concepire, del Big Bang, in un’immersione immaginifico filosofica che sa di pensieri leopardiani.
La creazione si esalta nello spazio aperto, dove lo sguardo è costretto a perdersi in una dimensione che non è più, o non più solo, quella delimitata dai quattro angoli del palcoscenico, ma si perde verso la città, e poi ancora verso il cielo, che si popola piano piano di stelle al farsi della sera, che avvolge nel buio gli spettatori, e poi a tuffarsi nell’immaginazione profonda, quasi onirica, per interrogarsi sull’esistere nella relazione fra tempo e spazio, essere e non essere, materia e antimateria, visibile e invisibile.
Tanto che lo spettacolo si può tranquillamente vedere a occhi chiusi.
Interrogativi e pratiche mai banali, che da sempre alimentano le creazioni di Teatringestazione, e che ambiscono sempre ad aprire cassetti di pensiero laterali, eventualità, occorrenze nella fenomenologia della percezione, incidenti dentro campi d’azione intersoggettivi, che ammettono qualsiasi tipo di reazione, dall’accoglienza entusiastica al rigetto: le fruizioni non sono mai scontate. Non lasciano mai indifferenti, si muovono sistematicamente nello spazio dell’inatteso. Mai un loro spettacolo, anche lo stesso spettacolo, è uguale a se stesso. E questa è una qualità rara per chi fa arte dal vivo.
A conclusione del festival abbiamo incontrato poi Natasha Czertok, di Teatro Nucleo, cui abbiamo rivolto alcune domande su questa decima edizione del festival.
Natasha come è andata questa edizione di Totem, che bilancio è possibile fare?
Questa decima edizione è andata molto bene, ci sono stati alcuni imprevisti che ci hanno costretti a reinventare il programma giornaliero ma l’improvvisazione fa parte del mestiere e tutto sommato l’andamento generale del festival non ne ha risentito . Il programma era molto ricco e fitto ma questo non sembra aver spaventato il pubblico che in alcuni casi è stato con noi fin dal mattino per vedere 4-5 spettacoli di fila!
Il nostro è un pubblico interregionale: arrivano dall’Abruzzo, da Verona, da Bologna, dalla Campania per sostare un paio di giorni e vivere il festival nel suo complesso; abbiamo poi il pubblico di Ferrara, che arriva in genere per vedere i singoli spettacoli. Poi ci sono loro, gli abitanti di Pontelagoscuro che solitamente si accorgono del festival all’ultimo momento e si avvicinano con stupore per vedere questi artisti giunti qui da ogni dove, quasi senza capacitarsi che tanta bellezza possa arrivare proprio sotto le loro case. A volte non escono nemmeno: finestre e balconi si popolano di un pubblico che guarda dall’alto.
Questa edizione è stata contraddistinta dalla interazione degli artisti in modalità laboratorio/pratica artistica. C’è una volontà di incentrare l’attenzione più sul processo?
Certamente. Il festival è da sempre caratterizzato da un intreccio con la pratica della residenza artistica, che innesca percorsi virtuosi di attenzione al territorio, momenti (casuali o organizzati) di dialogo con altri artisti e con gli spettatori. Abbiamo avuto laboratori molto diversi quest’anno: dal flamenco alla creazione di testi rap, ai lab per bambini di creazione di maschere e personaggi di carta. Pensiamo che la contaminazione tra linguaggi, se sostenuta da proposte valide e di qualità, sia di grande importanza; inoltre il tempo lungo del laboratorio permette alle persone di conoscersi in un determinato modo, di vivere gli spazi con un’attenzione particolare, diversa da quella che caratterizza la fruizione del singolo spettacolo. I processi sono fondamentali, e non solo quelli innescati dagli artisti:volontari, artisti, tecnici, artisti e spettatori creano il festival giorno per giorno, facendo confluire energie, passione, cura, attenzione, desiderio di condivisione, ma anche problemi, stress, questioni da risolvere minuto per minuto. Fare teatro non è facile, organizzare un festival lo è ancora di meno, anzi è la cosa più lontana dalla semplicità, ed è proprio nella complessità dei processi che si creano momenti interessanti.
Da ultimo, tema che vi ha sempre contraddistinto, il dialogo con il territorio. Guardando avanti cosa può diventare in questa prospettiva Totem?
Il dialogo col territorio è un elemento che ci contraddistingue da sempre, in modo particolare da quando abbiamo sede a Pontelagoscuro. Laboratori nelle scuole, progetti di teatro comunitario, festival, laboratori partecipativi, collegamenti con le cooperative e i presidi culturali. Abbiamo inventato il festival nel 2012, come tentativo di mettere in contatto , intrecciare esperienze artistiche tra loro diverse, generazioni diverse, linguaggi diversi.
La ricchezza sta lì, nella diversità nella scoperta di cose che non sapevi esistessero o che non ti aspettavi. Era un momento di riflessione profonda sul nostro lavoro in un paese raso al suolo durante la seconda guerra mondiale e ricostruito in modo approssimativo e frettoloso, lasciando vuoti e ferite nel territorio e nella comunità che lo abitava. Il luogo in cui si esercita un’azione culturale non può non caratterizzarla, non tenerne conto. Avevamo organizzato il convegno “Teatro e Comunità” e incontrato e dato voce a importanti esperienze di teatro comunitario e “teatro sociale” anche a livello internazionale (come ad esempio il teatro comunitario del quartiere La Boca di Buenos Aires) spaziando tra teatro comunitario e teatro per la salute mentale. In quegli anni eravamo impegnati nel progetto di teatro comunitario di Pontelagoscuro, che vedeva la partecipazione di circa 80 cittadini del paese di tutte le età, un’esperienza forte, che si poneva in continuità con il lavoro che Teatro Nucleo svolge da sempre a partire dalle esperienze di animazione culturale e manicomiale in Argentina negli anni 70. Sentivamo il bisogno di calare quel fare in un contesto più ampio, che comprendesse altri linguaggi ed esperienze. Nasce così il desiderio di aprire il teatro a residenze artistiche, anche con momenti di festa che fossero occasione di riflessione sul senso del teatro e dell’arte. Oggi, a 10 anni di distanza sentiamo il bisogno di riflettere nuovamente su quale tipo di proposta culturale ci rappresenta di più. Organizzare un festival come questo senza i fondi che davvero sarebbero necessari per farlo sta diventando sempre più difficile, forse è arrivato il momento di inventare un formato nuovo, che sia più vicino alla nostra pratica e vita artistica.