RENZO FRANCABANDERA | Prende il via Venerdì 7 e proseguirà fino al 16 ottobre nelle città di Modena, Bologna, Cesena e Vignola, la XVI edizione di VIE Festival, uno degli appuntamenti più attesi di Emilia Romagna Teatro ERT, un progetto, a cura di Barbara Regondi, divenuto da anni un osservatorio privilegiato per l’innovazione nei linguaggi dell’arte dal vivo.
Nelle città coinvolte verranno rappresentati 13 spettacoli, il frutto creativo del lavoro di 17 personalità artistiche provenienti da 7 paesi, che guardano a tutto il bacino del Mediterraneo e al vecchio continente, ovvero Marocco, Libano, Grecia, Polonia, Germania e Spagna, con la presenza anche di spettacoli del network transnazionale Prospero di cui ERT è tra i fondatori fin dal 2006, a ribadire la vocazione internazionale di ERT e la grande attenzione ai fatti . Domenica 9 alle ore 11.00, peraltro, nel Foyer del Teatro Arena del Sole di Bologna, verrà presentato il progetto della nuova piattaforma digitale di video on demand Prospero Extended Theatre, che accoglierà le registrazioni integrali e sottotitolate in nove lingue delle produzioni realizzate, insieme a una serie di altri contenuti derivati dai processi creativi e dai repertori dei membri della rete.
Sul programma di VIE, le collaborazioni internazionali e le politiche culturali possibili nello scenario complesso del tempo presente, abbiamo intervistato Valter Malosti, alla sua prima edizione del Festival dal momento del suo arrivo alla direzione artistica di ERT.
Un’edizione quella di VIE 2022 che si inserisce in un momento storico complesso. Come deve guardare l’arte a quello che succede?
È un momento molto delicato in generale ma va affrontato con grande coraggio e apertura. Non ci si può ripiegare o lamentarsi, occorre fare, fare delle cose che, soprattutto, abbiano in considerazione i giovani, chi verrà dopo, cosa che non fanno in molti.
Penso certo al tema degli spazi a loro disposizione, all’apertura di nuovi luoghi da destinare alle arti, ma questo vale anche in generale per i progetti teatrali. Le occasioni sono poche, ne sono consapevole, e personalmente in questi anni ho cercato, dapprima da direttore del TPE, e ora ancor più con il mio arrivo alla direzione di ERT, di chiedere con vigore che venga riconosciuta l’ospitalità dal ministero. Questo spingerebbe ad ospitare le compagnie indipendenti, mentre adesso l’unico modo per sostenerle (ed è quello che stiamo facendo noi a VIE) è coprodurre. Alludo ovviamente alle regole ministeriali specifiche di questo ambito. Guardo alla presenza nel festival di artisti come Michela Lucenti, associata di ERT per questo triennio, ma anche a Lisa Ferlazzo Natoli, Anagoor, D’Agostin, Kepler, Spanò. In stagione produrremo Condemi, che ha poco più di 30 anni, il cui spettacolo è stato scelto per andare nella circuitazione di Prospero, e poi ancora Lidi. Insomma, cerchiamo di stare attenti alle giovani generazioni.
E le giovani generazioni di spettatori? Sembrano sempre più attente ai linguaggi del corpo, della performatività ibrida.
Finanche la parte internazionale di VIE quest’anno comincia con la danza, una novità per il Festival, e fondamentale per me dal punto di vista sociale. Anche nella programmazione per le scuole (con le quali, come ERT, facciamo tantissimo lavoro, dedicando a insegnanti e studenti spettacoli e laboratori) quest’anno abbiamo voluto inserire spettacoli legati alla danza, al corpo, anche grazie alla presenza e al pensiero di Michela, iniziato già con la rassegna Carne che prosegue poi nella stagione: oltre che essere una artista capace di creare lavori belli, è anche una persona che svolge un grande lavoro sul territorio, da sempre una sua caratteristica, attività che ritengo importantissima, e che dove fatta bene, per gli artisti che ne sono capaci diventa anche spunto incandescente per il proprio lavoro artistico.
A inaugurare il Festival è dunque la danza con due appuntamenti: El Elogio de la fisura di Lorena Nogal ed Éléphant di Bouchra Ouizguen, appena presentato a Parigi al Festival d’Automne, con un lavoro politico sul corpo, che è uno spettacolo che co-produciamo.
Poi la compagnia spagnola La Veronal, diretta da Marcos Morau. Ma voglio ricordare anche la nostra produzione di Marco D’Agostin con Marta Ciappina, danzatrice e coreografa, oltre al Karnival della Lucenti.
Se penso ai giovani e a quanto il covid li abbia reclusi, penso a quanto ci sia da fare per riaprire il dialogo sulla presenza, sul corpo. Da questo punto di vista, nelle scuole per anni si è molto parlato di teatro, ma tralasciando il corpo, che spesso diventa un paradossale tabù, proprio mentre la rete ne offre una sovraesposizione senza filtri. Questa liberazione delle immagini legate al corpo, per paradosso lo allontana. E per questo gli interventi a scuola sono da fare con grandissima qualità su questo tema.
Dedicheremo poi molta parte della attività al Teatro delle Moline e della Sala Salmon a progetti giovani, in una coabitazione con i grandi maestri. Che è la stessa cosa che facciamo nella programmazione di VIE con i giovani che si alternano agli altri artisti europei, come sarà nel prossimo weekend ad esempio per i lavori della Chioti o di Lupa nel secondo weekend del festival. E ancora ospiteremo l’artista visuale Rabih Mroué con un racconto sulla rappresentazione della morte, o la regista tedesca Susanne Kennedy, Premio Europa per il Teatro 2017, una delle figure più originali del panorama internazionale, con un lavoro in realtà virtuale, I AM (VR), realizzato insieme all’artista multidisciplinare Markus Selg e in collaborazione con Rodrik Biersteker. È un festival dove ogni nome ha un senso preciso, per la sua presenza.
A volte la sensazione è che i festival siano momenti di grandissima apertura al mondo, conclusi i quali, però, tutto torna in una dinamica routinaria e nostrana, per così dire.
Ci stiamo interrogando su come proseguire il lavoro che facciamo con VIE. È stato importante prima di tutto riprendere il festival, uno sguardo che è mancato. Ma come avrete visto abbiamo inserito molte presenze internazionali anche nella programmazione della stagione. Un nome per tutti quello di Angelica Liddell che produciamo anche quest’anno. Dobbiamo capire tutti insieme che strada prendere e dove collocarci. Era giusto che lo spettatore riprendesse confidenza, dopo questo periodo di chiusure, con la creazione contemporanea internazionale, che io credo debba essere anche popolare. Mi piacerebbe a un certo punto che il festival diventasse quasi parte della stagione. Già la scorsa è stata una stagione innovativa e la risposta di Bologna è stata ottima, devo dire. E anche l’anno prossimo non sarà da meno.
Anche perchè VIE ed ERT sono dentro un network europeo, Prospero, che ha dei partner davvero importanti. Quali sono i veri vantaggi del circuito Prospero?
Diciamo subito che in Europa i teatri sono molto coraggiosi: alla Schaubühne, per fare un esempio, per Prospero fanno solo progetti di autori viventi. In Italia dobbiamo tornare un po’ contemporanei a noi stessi. Prospero ha come obiettivo principale quello di contribuire alla costruzione di una cultura europea condivisa, per sviluppare un programma comune a favore della co-produzione e della diffusione del teatro contemporaneo. La rete di Prospero* è molto interessante e va vissuta con ancora maggior intensità, con la possibilità di accogliere spettacoli del circuito, peraltro ad un prezzo più accessibile per i partner. È una cosa che vorrò fare. Penso ad esempio al Théâtre de Liège diretto da Serge Rangoni, che ospita quasi tutti i progetti di Prospero. Noi abbiamo difficoltà a confrontarci con l’idea che questo va bene per la vetrina del festival, ma non per la stagione. Personalmente vorrei un po’ abbattere questa barriera. A vedere la Liddell c’era una media di 600 persone. Quindi penso che a Bologna siamo maturi per farlo, facendo attenzione a cosa si porta, certo, cercando dei progetti capaci di generare empatia attorno a sè.
Ovviamente il tema non è solo quello di far venire il resto d’Europa in Italia ma anche portare l’Italia nel resto d’Europa con più altrettanta determinazione.
Se vado con la mente ad alcune produzioni che l’Italia ha esportato di recente (come il clamoroso successo della trilogia di Servillo), penso che in diversi casi erano riletture della nostra tradizione. In Italia pare che la sperimentazione si vergogni un po’ della tradizione. E questo è sempre stato un mio punto, anche alla scuola dello Stabile a Torino: abbinare una tecnica di base solidissima, conoscere l’approccio legato alla tradizione e poi sapere cosa è successo dopo, quello che sta accadendo oggi. Partirei in questo anche dalla formazione: bisogna creare attori curiosi, che abbiano desiderio di essere non solo degli attori, ma performer capaci di andare oltre. E già ce ne sono comunque tanti che hanno queste caratteristiche.
La lingua può essere un ostacolo per esportare il nostro prodotto culturale?
Storicamente in Italia siamo stati dei grandi importatori e dei pessimi esportatori di cultura. È una cosa che va invertita. Sul tema della barriera linguistica, devo dire poi, che è tutto relativo: ci sono artisti come Thomas Ostermeier o la Liddell stessa che fanno un uso molto intelligente e interessante dei sovratitoli o della parola in scena, dove il testo fa parte della scena stessa, è pensato per stare nello spettacolo. Bisogna pensare da artisti totali, con riguardo alla parola. Noi faremo alcuni spettacoli, e non solo a VIE, sovratitolati in inglese, come il Calderon, o Lazarus, dando accesso anche agli stranieri che sono in città. Bologna è piena di turisti stranieri e questa è un’opportunità per dare anche a loro modo di fruire del teatro. Per non parlare delle tante comunità straniere presenti. Anche questa è una cosa a cui si dovrebbe pensare di più.
* Prospero riunisce 9 teatri e il canale televisivo francese ARTE: Théâtre de Liège (project leader – Belgio), Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale (Modena – Italia), São Luiz Teatro Municipal (Lisbona – Portogallo), Göteborgs Stadsteater (Göteborg – Svezia), Teatro Nazionale Croato (Zagabria – Croazia), Teatros del Canal (Comunità Autonoma di Madrid – Spagna), Schaubühne Berlin (Berlino, Germania), Teatr Powszechny (Varsavia– Polonia), Odéon-Théâtre de l’Europe (Parigi – Francia).