RENZO FRANCABANDERA | Il festival genovese Resistere e Creare è arrivato nel 2022 al suo ottavo anno di vita e prosegue la riflessione sul contemporaneo, sull’atto creativo nel contemporaneo e, soprattutto, sul corpo.
La ricerca nel campo del linguaggio fisico è sempre stata centrale nelle linee di lavoro della direzione artistica di Fondazione Luzzati Teatro della Tosse nutrito negli ultimi anni dagli esiti dell’incontro con Michela Lucenti e Balletto Civile, e ha permesso di far nascere e sviluppare questa rassegna, nell’arco di sette anni di generosa collaborazione.
Le questioni poste, i semi piantati ovvero la ricerca stilistica, la capacità di contaminare i generi pur restando fedeli all’ambito della danza, la matrice sociale dei lavori scelti, la necessità di conservare la propria identità pur intrecciando numerose collaborazioni, sono le basi da cui è ripartito il triennio 22-24, con una nuova direzione artistica internazionale che vede impegnati, insieme a Marina Petrillo, Linda Kapetanea e Jozef Frucek, fondatori della compagnia greca di danza RootlessRoot ( Linda Kapetanea dirige anche il Kalamata Dance Festival).
Entrambi docenti in numerose accademie di danza in Europa, conducono in tutto il mondo seminari di Fighting Monkey, la pratica (sistema) di loro creazione che coniuga movimento, apprendimento, comunicazione, improvvisazione e ri-immaginazione del processo e dell’esperienza dell’invecchiamento.
Dal 2022 Resistere e Creare ha poi assunto davvero la natura di “rassegna” accompagnando trasversalmente la programmazione tutto l’anno: si è aperta in marzo con lo splendido OMBRES PORTEES DI Raphaelle Boitel, proseguita a aprile White Out di Piergiorgio Milano, a maggio a Voltri con Dancing Bruno di Compagnia Sanpapié per poi arrivare al focus autunnale e infine a chiudere l’anno. Due gli appuntamenti in novembre: il 12 la chiusura di questo progetto di Federica Loredan e il 20 nov con Carnet Erotico di Francesca Zaccaria / Aldes.
Abbiamo intervistato a conclusione della rassegna i membri della nuova direzione artistica, Marina Petrillo, Linda Kapetanea e Jozef Frucek.
Che edizione é stata di Resistere e Creare questa? Un passaggio di direzione artistica è sempre un momento importante nella storia di un festival.
(M P) Dopo “Vietato Ballare”, che era il titolo dell’edizione 2021 di Resistere e Creare, abbiamo deciso di cambiare passo. L’esperienza fatta nelle 7 edizioni di rassegna, e la maturazione di alcuni processi nati intorno alla proposta fatta al pubblico e agli operatori, ci ha indirizzato verso una sistematicizzazione del lavoro convincendoci della necessità di una maggiore presenza della danza, in termini di appuntamenti nel corso dell’anno, all’interno del progetto culturale complessivo del teatro.
“DANZA” che abbiamo sempre inteso in un senso allargato e partecipativo, aperto anche a progetti transdisciplinari che toccano più ambiti, dal land specific, alla video arte, al circo contemporaneo, all’audience engagement e che rispecchia non solo le indicazioni della specifica direzione artistica del progetto “Resistere e Creare” ma anche il senso generale del lavoro del Teatro della Tosse che da sempre ha meticciato/contaminato/ibridato generi e forme.
Questa riflessione sul cambiamento, di cui anche Michela Lucenti, che ha diretto con me la rassegna dal 2015 al 2021 è stata parte, ci ha portato a ragionare sull’allargamento anche alla scena internazionale in termini non solo dell’ ospitalità dei lavori ma anche di una collaborazione reale che ci permettesse di allargare ancora un po’ la visione in continuità con il lavoro passato e da qui siamo arrivati a parlare di tutto questo con Linda Kapetanea e Jozef Frucek, fondatori della compagnia Rootlessroot e creatori di Fighting Monkey che avevamo ospitato (nel 2015 con Eyes in the color of the Rain e nel 2016 con Europium).
Quali elementi sono stati di continuità e quali di novità? Come si fa ad essere diversi?
(J&L) Siamo entrati nel progetto, che è in collaborazione con Marina, più o meno a metà della stagione
Abbiamo aspettato a lungo la conferma del supporto del ministeroma non avendo nessuna certezza sulle risorse disponibili non è stato possibile realizzare integralmente la programmazione che avremmo voluto fare. Siamo riusciti comunque a presentare alcuni dei lavori che avevamo selezionato e ne abbiamo spostati alcuni sul 2023.
(M P) La continuità e l’innovazione sono due riferimenti fondamentali per chiunque si cimenti nella programmazione. Da un lato è necessario mantenere un’identità chiara, riconoscibile, e dall’altro la programmazione deve avere il sapore di qualcosa di nuovo e unico.
In questo momento di evoluzione di Resistere e Creare credo che il principale elemento di continuità sia l’essere aperti e in ascolto, una pratica di sviluppo dinamico, che permette di cambiare neltempo e diventare altro da sé, diversi, restando sempre collegati al proprio motore centrale che nel caso del triennio 22-24 è “a matter of art”.
Per una direzione artistica non italiana cosa significa entrare a dirigere un festival in una nazione diversa dalla propria? Come si entra in contatto con l’ambiente artistico che non è il proprio?
(J&L) Probabilmente, come sapete, quando si fa curatela anche in altri Paesi– come stiamo facendo noi con il Kalamata Festival (diretto da linda Kapetanea) – gli artisti di fatto non sono racchiusi entro i confini politici di una nazione, la circolazione delle opere e degli artisti, salvo limiti dati da pandemie e guerre, sono disponibili in tutto il mondo senza alcun confine, quindi non è difficile selezionare le proposte che ci toccano, che siano italiane o di altra nazionalità, il nostro lavoro ci mette in contatto in maniera diretta con ogni “ milieu artistico”, ne facciamo parte e ne conosciamo le dinamiche, questo ci permette di inserirci facilmente nel flusso, nella ricerca costante di artisti e nuovi artisti, artisti affermati e artisti che stanno ancora sviluppando le loro opere.
Ovviamente tutto questo richiede tempo e anche essendo direttori per 3 anni, come probabilmente potete immaginare, 3 anni non saranno sufficienti, il processo richiederà molto più tempo ed è per questo che consideriamo questi 3 anni come un’esplorazione, una sperimentazione e ciò che saremo in grado di fare nel breve periodo di tempo di tre stagioni solo il tempo lo dimostrerà, ma siamo molto felici di avere questa opportunità che permette anche di parlare con artisti provenienti da campi diversi.
Che tipo di contaminazione avviene in questi casi? Cosa ci si porta a casa e cosa si pensa di aver lasciato?
(J&L) Possiamo avere due approcci nella programmazione o nello sviluppo e discussione in questo tipo di impostazione di Festival: possiamo avere un obiettivo fissato, come un punto di arrivo o possiamo avere una sorta di quello che io chiamo regolamento topologico così mentre sviluppi la tua programmazione, sviluppi anche la tua discussione ed è come se nuove idee apparisserocostantemente fluttuando e cambiando la tua idea iniziale e così il progetto si sviluppa in modo non statico. Questo non è qualcosa che hai già in mente all’inizio del progetto e che cerchi di mantenere rigidamente fino a che non è finito, ma piuttosto è un dialogo e nel dialogo si deve sempre essere attivi, si deve rispondere, quindi può essere che all’inizio si abbiano alcune idee, ma poi possono arrivare nuove restrizioni o nuove opportunità e dobbiamo rispondere in modo flessibile.
Rispondere in modo flessibile e questa è la parte più eccitante della curatela.
Come saranno le prossime edizioni? Che indicazioni sono venute dal pubblico sul tipo di spettacoli, le proposte più seguite, quelle meglio accolte?
(J&L) Allora, non stiamo solo lavorando allo sviluppo del curriculum delle arti performative, ma stiamo anche parlando con un gruppo di scienziati, con filosofi e con persone che si occupano delle arti figurative per preparare un progetto entusiasmante per l’anno successivo o per l’anno dopo. Naturalmente, il modo in cui potremo sviluppare un nuovo progetto e un nuovo pubblico dipenderà anche dal sostegno finanziario del Festival, perché ovviamente il budget limita il modo in cui le cose possono essere esplorate, presentate, immagazzinate, eccetera.
(M P) Spero che le prossime edizioni saranno portatrici di stimoli benefici, di energie non domabili, di squarci di futuro e di rilessioni sul presente che ci aiutino a costruire riserve per i tempi bui che vediamo arrivare.
La guerra, la malattia, l’oppressione, lo stato di indigenza di molti. La realtà in cui viviamo, per quanto non ne siamo pienamente consapevoli, ci sta indicando chiaramente la necessità di un cambiamento a cui non ci sarà modo di sottrarsi.
Nel corso di questa edizione quello che mi ha colpito di più è il desiderio del pubblico di partecipazione al “rito”, come dovrebbe accadere in realtà ogni volta che si parla di teatro e come accade con le danze popolari o con i rave; spettatori attivati dal rito a cui partecipano che creano in quel momento un gruppo, una comunità e si sentono a casa, si riconoscono. Momenti preziosi che continueremo a coltivare.
Come pensate di crescere e soprattutto come pensate di coinvolgere un nuovo pubblico nella proposta del festival? Ci saranno molte persone che sperimenteranno la povertà e le difficoltà di accesso. Ci sono idee e progetti su questo tema per le prossime edizioni?
(M P) Essendo flessibili (cito i colleghi) è ancora presto per tracciare linee certe sulla programmazione a venire ma quello che possiamo già dire è che quanto condividiamo con Linda e Jozef, quanto abbiamo messo al centro del nostro incontro, è la necessità alla base dell’arte, poeticamente ma anche concretamente e quindi ragionando anche sull’accessibilità alla fruizione (possibilità economiche, affinità culturali) e alla creazione (nuove leve di artisti da formare e sostenere nei processi di creazione, internazionalizzazione e mobilità).
Come conciliare tutto questo con i criteri di assegnazione del FUS che è la maggiore risorsa, pubblica, che ci permette di programmare, non ci è ancora chiaro ma sicuramente ci impegneremo per allargare il più possibile la platea in maniera inclusiva.