RENZO FRANCABANDERA | Dopo Milano anche Catania ospiterà (per la prima volta) il Fringe Festival, il festival internazionale del teatro Off e delle arti performative, grazie all’Associazione La Memoria del Teatro, fondata nel 2009, con sede sociale a Catania e sede secondaria a Milano, e diretta artisticamente da Francesca Vitale, attrice, autrice e regista formatasi alla scuola del Teatro Stabile di Catania, e nel ruolo di direttore organizzativo Renato Lombardo, da oltre trent’anni organizzatore di eventi legati al teatro e alla musica jazz internazionale.
Lo scopo dei due manager culturali è da sempre creare una rete virtuosa di scambi tra artisti e operatori, stabilendo un collegamento fra le città che ospitano il Fringe off (quest’anno Milano e Catania), e un mercato artistico OFF internazionale che abbia poi ricadute su turismo, sviluppo dei territori e del linguaggio dell’arte performativa. La filosofia del progetto dell’Associazione è duplice: da un lato produrre e portare in scena un teatro attento ai diritti umani e alle problematiche del sociale, dall’altro accogliere e valorizzare le proposte di attori – autori che scrivono ed interpretano finestre di vita o rileggono i classici con linguaggi e visioni originali.
Questi i presupposti che sono alla base anche di questa prima edizione del Catania Off Fringe Festival, che segue di pochi giorni la chiusura del Milano Off Fringe Festival.
Fedele allo spirito dei Fringe festival e alla voglia di coinvolgere tutti i cittadini in una grande festa del teatro e delle arti performative, il festival dell’Off percorre l’Italia da nord a sud in un dialogo artistico frutto di anni di esperienza e del medesimo modello organizzativo che coinvolge gran parte dei suoi partner nazionali ed internazionali. Come per Milano, anche per Catania, dal 18 al 30 ottobre le compagnie professionali selezionate durante il bando da una apposita giuria artistica si alterneranno nelle sale del Festival dal pomeriggio alla sera. La sezione Fringe del Festival prevede nella città siciliana dai 2 ai 3 spettacoli giornalieri in tutti gli spazi aderenti, in un continuum di performance che inizia al pomeriggio per terminare in seconda serata: 54 spettacoli per 230 repliche in 16 spazi teatrali/performativi.
Abbiamo intervistato Francesca Romana Vitale.
Cosa significa per voi Fringe e quali obiettivi si è posta a Milano con Milano Off e ora a Catania?
Per noi Fringe ha un significato globale perché è il termine che è stato coniato dal festival di Edimburgo e significa festival di fragia, ovvero festival delle arti performative indipendenti perché nasce da alcuni fenomeni di arte indipendente che trovarono accoglienza nella critica e che poi successivamente divennero una identità autonoma, fino a essere la realtà di oggi che per taluni festival addirittura compete fortemente con i festival cosiddetti “in”, cioè i festival degli spettacoli finanziati da una produzione solida o con un sostegno economico notevole. Parlare di fringe in Italia non è ancora facilissimo, ma è bello che gli artisti possano presentarsi in una grande vetrina che li mette in contatto con il mercato internazionale, sebbene sia ancora un po’ penalizzante per i suoi costi, anche perché in Italia non ci sono, come in altri paesi, sostegni tali che possano consentire loro di affrontare gli oneri economici.
Ad ogni modo, per noi il senso del Fringe è comunque e solo quello di rendere globale e internazionale la partecipazione degli artisti, che così entrano in connessione con altri Fringe del mondo e quindi con altre culture, altre realtà: il diventare artisti dei Fringe festival permette di entrare in una dimensione molto particolare, diversa.
Come viene costruito il programma e quali ne sono le determinanti?
Il programma di quest’anno è stato costruito attraverso un bando e, a seguito del bando, cinque selezionatori hanno esaminato tutte le richieste e le hanno valutate, hanno fatto una selezione in base a quello che hanno ritenuto opportuno portare nella rassegna. Ma poi il Fringe si è arricchito di una serie di eventi culturali a latere: associazioni ed enti di Milano e dintorni, per Milano Off, hanno prodotto cultura, hanno portato concerti, workshop o spettacoli, tutti gratuiti, per la città, in giro per i quartieri. E questo perché il progetto che il Comune di Milano ha voluto realizzare attraverso il bando Milano è viva è stato proprio quello di mettere in connessione i quartieri, per cui noi abbiamo arricchito il Fringe facendo sì che appunto queste proposte endogene potessero andare a trovare i quartieri e quindi riuscire a essere presenti allo stesso modo in diverse zone della città.
Negli ultimi anni i festival hanno avuto difficoltà di ogni genere ad incontrare il pubblico. Ora pare esserci un eccesso opposto, con una continua chiamata alla relazione, all’intervento, al dover partecipare. Ma perchè? È davvero utile e se sì, a cosa?
Ci sono sicuramente tantissimi festival, molti di essi presenti in ampio modo sul territorio e quindi non vedo perché i festival non dovrebbero prosperare, se c’è una distribuzione così copiosa. Per cui parlare di eccesso può probabilmente essere una domanda non per chi fa il festival ma per chi decide come allocare le risorse finanziarie e che tipo di eventi finanziare. Devo dire sinceramente che finché c’è un’opportunità, le idee culturali non mancano, quindi i festival proliferano.
Se tutto questo è utile, beh anche questo noi non lo sappiamo del tutto: noi abbiamo ritenuto di fare un Fringe perché crediamo nella realtà dei Fringe e li frequentiamo da tanti anni; amiamo questa formula, che mette in contatto compagnie di tutto il mondo, che le mette a contatto con operatori, con giornalisti, col pubblico; che questo sia utile o se siano utili tutti gli altri festival o se tutti i festival insieme siano utili o inutili riteniamo sia in fondo una domanda a cui non sia nostro compito rispondere.
Guardando allo spazio città, cosa significa oggi fare un festival nello spazio metropolitano? Con quale geografia materiale e immateriale si confronta in realtà un festival che vuole occuparsi di arte dal vivo oggi?
Oggi c’è un’estensione del geografico che mira a non avere confini, più che altro. Non so quanto parlare di spazio metropolitano non sia, in fondo, sinonimo di un concetto di non-spazio, nel senso che si possa considerare allo stesso modo il centro, la periferia, i quartieri. Andare a portare cultura in una città forse non ho più bisogno di certi parametri o perimetri.
C’è stato un tempo in cui il fuoco dell’azione artistica urbana era molto concentrato sulla periferia. Che cosa chiede la periferia oggi a un festival e quale è la risposta specifica che è possibile favorire con il linguaggio teatrale?
Io trovo che le periferie siano estremamente più ricettive. Ho trovato le periferie veramente ricettive rispetto alle proposte degli spettacoli del Fringe, molto attente, molto pronte, molto desiderose quasi assetate di ricevere questi contenuti. Le multisala del teatro concentrate nelle grandi città fanno sentire molto di meno questa esigenza, questo è indubitabile.
Il teatro oggi è tante cose, sempre più ibridate e sempre più sfuggenti rispetto a tassonomie dei linguaggi, e a volte si rischia di cadere in una evanescenza di segni. Quale è il compito della direzione artistica oggi, e come la formula del Fringe può essere vincente in questo?
La direzione artistica di un Fringe non bada alle tassonomie dei linguaggi ma accetta in maniera trasversale e inclusiva qualsiasi forma di linguaggio, qualsiasi proposta, sia essa apparentemente o realmente innovativa, sia essa tradizionale, sia essa classica, moderna, gestuale: insomma la caratteristica del fringe è di non essere in alcun modo giudicante, valutante o classificante.
Cosa occorre guardare per progettare il futuro, in uno scenario così incerto e con le grandi domande sul sostegno pubblico?
È essenziale pensare al futuro per un festival, per il semplice motivo che il fringe è un progetto a lungo termine: esistono numerosi fringe in tutto il mondo e hanno tanti anni perché il Fringe è un modello specifico, anche economico, particolarmente difficile da mettere in piedi non solo per chi organizza il fringe ma anche per chi lo vive. Non è facile per gli artisti sostenere anche determinate economie ed è anche faticoso.
Nei grandi fringe di Edimburgo di Avignone gli artisti sono sottoposti anche a un grande stress che però non è parametrabile alla soddisfazione che hanno nel partecipare a queste grandi manifestazioni di pubblico, di operatori, di persone che amano il progetto, tanto è vero che esiste il turismo dei fringe per cui, ecco, non è pensabile un modello di questo genere se non in una prospettiva presente-futuro.