RENZO FRANCABANDERA | Era giustamente attesa, nel programma del 75° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza, “Domani nella battaglia pensa a me”, direzione artistica di Giancarlo Marinelli, la nuovissima produzione di cui lo stesso Marinelli firma anche la regia, ovvero La Voix humaine di Jean Cocteau, con Sophie Duez.
La bellezza iconica dell’interprete, unita a una particolare intensità espressiva, la aveva portata, poco più che ventenne, agli inizi degli anni Ottanta, a ricevere una nomination al Premio César per la migliore promessa femminile del cinema francese, per il film L’amico sfigato (Marche à l’ombre) di Michel Blanc, cui seguì l’interpretazione con il ruolo da protagonista in Una spina nel cuore di Alberto Lattuada del 1986. Diverse le sue presenze su piccolo e grande schermo da allora, come pure nel teatro, non di rado a interpretare classici.
Anche in questa occasione è stata scelta per interpretare un classico, seppure contemporaneo, opera celeberrima dell’artista francese Jean Cocteau, intelligenza poliedrica e versatile del secolo scorso, la cui scrittura ebbe fra i suoi ammiratori Marcel Proust.
La voce umana è un monologo per personaggio femminile, che ha conosciuto straordinarie interpretazioni (di cui è rimasta testimonianza video in diversi casi), da Anna Magnani (nel film L’amore, nell’episodio Una voce umana di Roberto Rossellini) alla Degli Esposti e a Sophia Loren per il grande schermo.
Sempre a proposito di cinema, Almodovar su questo testo è tornato diverse volte: era il 1988, quando alla 45ª Mostra di Venezia l’allora giovane regista spagnolo portò un libero adattamento del celebre monologo di Cocteau, Donne sull’orlo di una crisi di nervi.
A distanza di trentadue anni Almodovar è poi tornato sempre a Venezia, nel 2020 ma fuori concorso, con un titolo più fedele, The Human Voice, un mediometraggio di mezz’ora circa, per la prima volta non in spagnolo e affidato a Tilda Swinton, cui tra l’altro la Biennale ha assegnato anche uno dei due Leoni alla carriera.
Quanto alle grandi interpreti a teatro, non possiamo dimenticare la storica interpretazione di Anna Proclemer e di recente anche Adriana Asti per Spoleto 56.
Ma torniamo nel bellissimo Teatro Olimpico di Vicenza per questa produzione di Enfi Teatro e Teatro Ghione di Roma che qui ha debuttato in prima assoluta. L’allestimento porta la firma del regista Giancarlo Marinelli, coadiuvato dalla multivisione di Francesco Lopergolo: come conseguenza della scelta dell’interprete, viene proposto al pubblico il testo in lingua originale con i sopratitoli in italiano.
La voce umana è considerato un testo che condensa, seppure con un certo tono generale un po’ storicizzato riguardo alla figura femminile, la forma della passione votata a un uomo che però ha deciso di lasciare la donna: quello a cui si assiste è un intenso scambio di telefonate fra i due, disturbato in parte dalla presenza intermittente di una centralinista che interferisce sulla comunicazione principale, introducendo un effetto straniante, a tratti finanche comico.
Un cane è unico testimone vivente dell’evolvere tragico della vicenda, nella disperante solitudine in cui rimane la donna.
Quando Cocteau scrisse questo monologo nel 1930, si ispirò a un fatto personale: all’epoca era innamorato di un giovane poeta, Jean Desbordes, per il quale nel ’28 aveva firmato la prefazione di una silloge di liriche intitolata J’adore, e la leggenda letteraria vuole che abbia trasfigurato quell’amore infelice nella disperazione telefonica di una donna. Peraltro Cocteau ebbe Desbordes come interprete in un suo film, il Sangue di un poeta, girato nello stesso anno in cui scrisse La voce umana (e in cui i costumi furono firmati da Coco Chanel, giusto per dire di quei tempi e dell’ambiente in cui lo scrittore operava).
E con riguardo alle prove teatrali de La voce umana, al suo debutto dopo la scrittura, pare che il poeta surrealista Paul Eluard, mentre assisteva alle prove assieme al regista russo Sergej Ejzenstejn, protestò a voce alta: «Basta! Basta! È a Desbordes che lei sta telefonando!».
Jean Desbordes finì male: morì eroicamente il 16 luglio del ’44, torturato dai tedeschi e rifiutando di dare i nomi dei suoi compagni francesi della Resistenza. Il suo nome è inciso a Parigi nel Pantheon.
Cocteau invece gli sopravvisse di quasi 20 anni, e dopo la fine della guerra si dedicò fortemente al grande schermo, diventando uno dei padri del surrealismo cinematografico.
Anche La Voix humaine di Marinelli è ambientato in uno spazio che conserva alcuni connotati surrealisti, riletti dalla presenza di oggetti che rimandano agli anni Sessanta del secolo scorso, con telefoni di design dai colori vivi, dal rosso fuoco al blu Klein. Persino la figura canina ha un che di straniante, essendo, quella che appare in scena e sotto le cui spoglie si cela Camilla Diana, non una presenza con pretesa di verosimiglianza animale, ma a tratti quasi un peluche vivente, elemento che contribuisce, insieme alle videoproiezioni che interessano il pavimento e il fondale e agli oggetti di scena (piatti e bicchieri di fantomatiche ultime cene), a portare la recita su uno sfondo metropolitano ma non realistico.
La donna parla per l’ultima volta con il suo amore perduto, lontano come la città che scorre alle sue spalle, riprodotta in alcuni lampi delle videoproiezioni di Francesco Lopergolo che giocano, insieme al disegno luci di Gianluca Cioccolini, a creare un ambiente specifico, intimo e freddo. Maestri d’artificio scenico sono Maria Toesca e Nicolò Diana.
Il recitato vuole fondere un canone recitativo contemporaneo e cinematografico con alcune cifre del teatro drammatico. La Duez regge bene questa crasi stilistica voluta dalla regia e in alcuni momenti dona davvero una intensità particolare alla recita, riuscendo in quello in cui un grande attore deve riuscire: far piano piano sparire quello che gli sta attorno per portare l’attenzione e l’occhio su di sè.
La scelta delle musiche si affida alle composizioni di Òlafur Arnalds, cui viene fatto ampio ricorso a sostenere le parti più intime e solitarie del recitato, senza calcarle di inutile ulteriore enfasi sonora. Peculiare la scelta dei costumi che abbinano quelli più “di scena” sontuosi e minimalisti allo stesso tempo di Diego Dalla Palma con Laura Milan con alcune creazioni della D-Air Lab, che trasformano in taluni passaggi questa figura fragile in una sorta di eroina cyborg in cerca di protezione.
La D-Lab, main sponsor della rassegna dei Classici al Teatro Olimpico, è infatti una start-up del noto gruppo Dainese, attiva in questo genere di capi d’abbigliamento il cui focus è la protezione, che portati in scena inducono una riflessione di secondo livello sul particolare bisogno della protagonista di difendere la sua fragilità: “Ero così forte” è una delle battute centrali del testo, a segnare un passaggio verso uno stato di intima debolezza, in una lucida coscienza di sè, per quel tipo di identità particolarmente proiettate a cercare i propri equilibri nelle relazioni più che dentro se stessi.
Persa la relazione, pare quindi svanire anche l’identità, e il senso di essere.
Calda la risposta del pubblico a una recita che qui e lì cita le versioni cinematografiche, come l’insistito Ti amo finale che rimanda alla Magnani.
L’efficacia visiva delle videoproiezioni sul fondale nella stupenda ambientazione dell’Olimpico paga un po’ dazio alla superficie di proiezione non piana (fra colonne, statue e capitelli), mitigando l’efficacia di questo specifico segno scenico, che si potrà apprezzare con pienezza nelle prossime date dello spettacolo.
La regia legge comunque bene il punto di vista dello spettatore, ospitato in questa occasione sulle gradinate, essendo stata svuotata la platea dalle poltrone, con l’intenzione di creare una distanza, uno spazio vuoto fra pubblico e scena, che amplifica in modo particolare la solitudine della donna.
In occasione di questo spettacolo, si sono conclusi gli Incontri promossi dalla Biblioteca civica Bertoliana sull’approfondimento dei temi affrontati dai Classici, con l’ultimo appuntamento che ha visto ospite Edoardo Ponti, regista e co-sceneggiatore con Erri De Luca del cortometraggio “Voce Umana” – trasposizione in napoletano dell’opera di Cocteau – e interpretato da Sophia Loren, sua madre che, per questa interpretazione, ha ricevuto il premio speciale David di Donatello nel 2014.
LA VOIX HUMAINE
di Jean Cocteau
regia di Giancarlo Marinelli
la femme Sophie Duez
con Camilla Diana
costumi di Diego Dalla Palma per D-Air Lab e Laura Milan
multivisione di Francesco Lopergolo
disegno luci di Gianluca Cioccolini
maestri d’artificio scenico Maria Toesca e Nicolò Diana
assistente alla regia Giulia Pelliciari
produzione Enfi Teatro e Teatro Ghione di Roma
Durata: 75 minuti (senza intervallo)
Visto a Vicenza il 15/10/2022