LILIANA TANGORRA | Una sala piccola, molto piccola, quasi claustrofobia ha accolto l’altrettanto piccolo pubblico – massimo venti spettatori alla volta – dal 7 al 16 ottobre ad assistere al nuovo spettacolo della Compagnia Licia Lanera, Con la carabina.
La regista e interprete pugliese – nel 2014 Premio Ubu come Nuova attrice e performer under 35 – ha visto il proprio percorso passare ormai ad alcuni anni dalla originaria esperienza di Fibre Parallele in collaborazione con il drammaturgo Riccardo Spagnulo, a quello di una compagnia che porta il suo nome, la Compagnia Licia Lanera – portando avanti un processo scenico che si riconosce in simboli iconici e non di rado crudi -segnati talvolta dalla presenza di animali (anche morti) in scena-, nell’uso dei dialettismi e in un approccio diretto con il pubblico, alla ricerca di una verità istintiva della rappresentazione scenica. Anche se con un fisiologico alternarsi di risultati più o meno decisivi, le opere della Lanera restituiscono un’autentica e riconoscibile cifra estetica, rivolgendosi a matrici testuali di spessore (Orgia 2016 dal testo di Pasolini, Guarda come nevica 2018 una trilogia dedicata agli scrittori russi, solo per citare alcuni esempi). In Con la carabina Lanera, in prima regionale a Bari nell’ambito del festival Il peso della Farfalla, ci riconduce in quell’immaginario fatto di realtà, crudeltà e densità che si riconosce perfettamente nel linguaggio esplorato negli ultimi anni come regista.
Al centro della sala un tavolo su cui svetta una ruota panoramica in miniatura, ai lati una preadolescente e un giovane uomo, che si scopre essere un amico di famiglia, molto apprezzato dalla mamma della ragazza. Una musica distorta, che si potrebbe definire ansiogena – sound design di Francesco Curci – quasi un rumore sordo che accompagna, già dalle prime battute, la scena, mentre le luci, curate da Vincent Longuemare, illuminano pienamente i soggetti.
Il dialogo tra i due protagonisti, Danilo Giuva e Ermelinda Nasuto, comincia serrato e già preannuncia l’abile e cruda penna di Pauline Peyrade, enfant prodige della nuova drammaturgia francese, vincitrice di numerosi premi come il Prix Italia 2017, Prix Bernard-Marie Koltès 2017, solo per citarne alcuni, con i testi 0615 e Ctrl-X.
La traduzione è curata da Paolo Bellomo, il quale traspone con efficacia il linguaggio popolare della drammaturga francese in ‘dialetti’ e cadenze pugliesi.
In scena, nel tiro a segno al luna park, il gioco, fatto di un tira e molla di “lo vedi?”, “tu non sei capace”, “lo posso fare io”, diventa in qualche forma anche progressiva dinamica di seduzione.
È volutamente ingenua la recitazione di Giuva e Nasuto per permettere i passaggi frequenti dal linguaggio degli adolescenti a quello degli adulti. Si passa dalla luce piena, al focus suggerito da un cambio luminotecnico, gestito direttamente dai due attori, i quali spostano convulsamente le luci a seconda dell’ambientazione.
Sì, perché l’ambientazione si sdoppia, ora è il Luna park all’interno del quale il giovane tenta di insegnare alla bambina a giocare a tiro a segno, ora è un indefinito interno di abitazione. Si passa dalla accettazione passiva di un atto, quello sessuale avvenuto a scapito del personaggio interpretato dalla Nasuto, alla definizione attiva di una consapevolezza, quella di non aver voluto.
La volontà era solo quella di partecipare a un gioco ingenuo tra giovani per vincere un peluche: un coniglio. Il coniglio diviene quindi l’icona della lotta tra consapevolezza e brutalità, tanto che si traduce in scena con un animale da macelleria, con il suo corpo in carne ed ossa, violato dalla crudeltà dell’uomo. Da qui la voglia di farsi giustizia puntando una carabina.
Ritorna qui Lanera a trovare in questo simbolo di innocenza e fragilità presente in scena, l’essenza della sua cifra stilistica. Mostrare la tristizia imponendo allo spettatore, molto vicino alla scena, una sensazione di smarrimento e di oltraggio legato alla presenza in scena di un animale ‘vivo’.
Chi conosce il lavoro precedente dell’artista barese troverà nel coniglio un rimando a quel teatro spietato popolato da mostri, in cui anche la vittima è costretta a diventare carnefice. Una regia, dunque, quella della Lanera, che ritorna alle origini del suo linguaggio, in cui i dialettismi si mescolano alla rappresentazione della realtà, a volte inesorabile e dissacrante. Una direzione che alla cruda e tangibile verità, mescola immagini che portano lo spettatore a capire che ciò che si sta guardando non è realtà, ma potrebbe diventarlo.
Una scrittura quella della Peyrade decostruita, che analizza l’accaduto saltando tra passato e presente, tra luogo e non luogo, il tutto tradotto benissimo dallo spazio scenico underground scelto dalla regista Licia Lanera, un luogo non teatrale nella periferia del capoluogo pugliese.
Con la carabina è uno spettacolo di ‘prossimità’, in cui la vicinanza con il pubblico crea un ostacolo che impone agli attori dei limiti fisici, mentre allo spettatore impone un limite di ‘coscienza’; si è costretti a compromettersi con l’azione a cui si assiste, sentendosi parte ‘attiva’ del tutto.
Lo spettacolo è stato presentato all’interno della rassegna Il peso della farfalla curata dall’associazione per le culture Punti Cospicui e sostenuto da Regione Puglia, Comune di Bari e Radiomadonnellenberg – progetto Urbis PON Metro 2014-2020.
Giunta all’ottava edizione, la rassegna Il Peso della farfalla, diretta da Clarissa Veronico, traccia una riflessione su tematiche ‘prossime’, per l’appunto: l’irredimibilità del dolore, la violenza insanabile, subita e agita, che attraversa i corpi, i sentimenti e che diventa seme infestante.
Indiscutibilmente Con la carabina sintetizza questi concetti in una visione affascinante e raccapricciante allo stesso tempo, in cui, si ribadisce, il carnefice è la vittima e la vittima, inevitabilmente, diventa il carnefice.
CON LA CARABINA