RENZO FRANCABANDERA, ELENA ZETA GRIMALDI | Si concluderà tra pochi giorni il Ragazzi Med Fest, Festival Mediterraneo dei Ragazzi e delle Ragazze, un festival di teatro, letteratura e cinema per ragazzi che si svolge ormai da cinque anni a Reggio Calabria. Il Festival organizzato dall’Associazione culturale SpazioTeatro si pone come missione dare un’offerta ricca di contaminazioni tra i linguaggi e nuove produzioni, con grande attenzione alla crescita dei giovani spettatori.
Ne abbiamo parlato con Gaetano Tramontana, direttore artistico della manifestazione che sta colorando gli spazi della città da quasi un mese.
Come è stato costruito il programma di quest’anno e quali sono le determinanti che l’hanno costruito?
Abbiamo iniziato a elaborare il programma di quest’anno provando a far tesoro della buona riuscita dell’edizione dell’anno scorso, che aveva avuto il sostegno anche del Fus. L’idea è sempre di lavorare sul contemporaneo per ragazzi, provando ad alzare la soglia di età, cercando di coinvolgere maggiormente gli adolescenti. Abbiamo fatto tornare compagnie che avevano avuto un buon successo l’anno scorso e nuove compagnie che non erano mai venute. La selezione ha come obiettivo offrire linguaggi nuovi per il territorio, il più possibile ibridi fra musica, teatro, teatro di figura, narrazione, danza. Quest’anno il Festival si è concretizzato grazie soprattutto a due bandi, uno di questi dedicato alle periferie, quindi la selezione è stata fatta anche sulla base degli spazi: nelle periferie sono luoghi meno adatti, quindi abbiamo anticipato le date del festival e gli spettacoli all’aperto hanno avuto un ottimo riscontro. Poi da quest’anno vorremmo dedicare sempre maggior spazio a una sezione di teatro e scienza, con spettacoli non necessariamente didattici ma che lavorino su questa tematica e che la declinino con un linguaggio teatrale contemporaneo, nuovo e interessante.
Negli ultimi anni alcuni festival hanno avuto difficoltà di ogni genere a incontrare il pubblico. Ora pare esserci un eccesso opposto, con una continua chiamata alla relazione, all’intervento, al dover partecipare. È davvero utile e se sì, a cosa, nel caso dei piccoli?
Certamente dopo il lockdown ci sono due tendenze: da una parte riprendere la vita normale, la partecipazione; dall’altra c’è un po’ di perdita dell’abitudine. Dipende dagli individui, dalle famiglie nel nostro caso. Il nostro è un festival di teatro per ragazzi, quelli che dal punto di vista delle abitudini sociali sono stati più colpiti da questi anni. Inoltre non siamo un territorio di festival storici, tantomeno per ragazzi, siamo il territorio dell’episodico: se un festival nasce e funziona bene, non è detto che l’anno dopo si ripeta. Noi ne sappiamo qualcosa, ci sono state edizioni molto ricche e altre che, pur di mantenere il contatto con i nostri spettatori, sono state realizzate in versione ridotta.
È fondamentale creare un’abitudine: stiamo vedendo dopo cinque edizioni come alcuni spettatori siano cresciuti con il Festival. Stiamo provando a costruire un pubblico nuovo, a costruire una consuetudine nei genitori a informarsi bene, e a scegliere dal canto nostro nella maniera più oculata possibile quello che può essere adatto ai loro figli. Sono convinto che se riusciremo a proseguire, a dare una certa continuità, potremo dire di aver provato a costruire una nicchia di pubblico, giovane e adulto, abituato a linguaggi diversi.
Con quale geografia materiale e immateriale si confronta in realtà un festival che vuole occuparsi di arte dal vivo per le giovani generazioni oggi?
Il problema del nostro territorio dal punto di vista economico è che le istituzioni faticano a creare occasioni costanti di attenzione, di contribuzione, per realtà che provano a essere virtuose; e poi l’assoluta assenza di privati in grado di fornire sostegno a esperienze come quella del Ragazzi Med Fest. Noi sin da subito abbiamo provato a fare un mix di due esigenze: quella di confrontarci con realtà nel territorio nazionale (e in futuro speriamo europeo) consapevoli di queste problematiche territoriali; e, contemporaneamente, quella di andare a incontrare realtà giovanili che non andrebbero mai a vedere uno spettacolo teatrale.
Sin dalla prima edizione abbiamo avuto una grossa partnership con centri diurni, centri di accoglienza, gruppi che si occupano di prevenzione sociale: andiamo loro incontro dando biglietti omaggio cumulativi, convenzioni con l’azienda municipale degli autobus per portarli nei luoghi del teatro. E sempre più proviamo a mischiare i pubblici, abbiamo fatto anche spettacoli nelle periferie portando il pubblico del centro. Continueremo a creare questi scambi vitali: gruppi di giovani che si incontrano e vivono insieme l’esperienza dello spettacolo. Secondo me, questa è una mission fondamentale di un festival di teatro ragazzi.
Che cosa chiede un ragazzo oggi a un festival e qual è la risposta specifica che è possibile favorire con il linguaggio teatrale?
Per un festival come il nostro è necessario ragionare per fasce di pubblico. Proviamo a coinvolgere i bambini dall’infanzia andando a fare gli spettacoli nei cortili degli asili, ma anche gli adolescenti, sebbene poi la fascia di mezzo (sei, otto, dieci anni) sia quella numericamente più importante. Per le fasce dei più piccoli naturalmente si lavora con i genitori, provando a far capire l’importanza della condivisione di un’esperienza teatrale, proviamo a lavorare sul senso di scoperta. Andando più su con l’età, la scoperta è quella di rendersi conto come il teatro possa ancora meravigliare.
La tipologia di domanda è spesso di grandi numeri e molto legata ai titoli delle fiabe o post-disneyani di richiamo; non ci sono festival di danza; non ci sono eventi musicali per bambini, non con una certa continuità. Questo è molto grave perché si propina al pubblico dei più giovani un’offerta molto tradizionale e spesso assolutamente priva di contenuti. Noi proviamo a fare qualcosa di diverso, cerchiamo di creare una domanda, non di dare una risposta alla domanda che già c’è: proviamo a stupire, con linguaggi ibridi, con spettacoli che i ragazzi non si aspettano.
Il teatro oggi è tante cose, sempre più ibridate e sempre più sfuggenti rispetto a tassonomie dei linguaggi, e a volte si rischia di cadere in una evanescenza di segni. Qual è il compito della direzione artistica nel nostro tempo?
Il compito del direttore artistico di un festival per ragazzi è riuscire a creare un ponte fra le esperienze più mature a livello nazionale e il territorio. Per fare questo devi in qualche maniera elaborare i linguaggi, i segni, le scelte; ma anche soltanto gli orari degli spettacoli, perché devi inserirti in una routine quotidiana che non prevede uno spettacolo teatrale. Dobbiamo far sì che un festival di teatro ragazzi possa rappresentare la sospensione del tempo ordinario: deve diventare una festa. Deve essere lecito e naturale sospendere − se la scelta è buona, se l’interesse c’è – le consuete attività: c’è Natale, c’è Pasqua, c’è l’estate… e c’è il Festival. Allora forse, piano piano, riuscendo ad andare in questa direzione, l’offerta può incidere sulla crescita; perché il teatro per ragazzi è un elemento di intrattenimento, sicuramente, ma anche di apertura, di presa di coscienza della società e delle suoi problemi.
Un’altra cosa importante nelle scelte che portiamo avanti è che non ci sono temi tabù: a tutte le età si deve poter parlare di tutto. Anche perché già i piccoli tra televisori e device incontrano argomenti che possono sembrare tabù, allora è preferibile che li incontrino con linguaggi concepiti per parlare a loro.
Cosa occorre guardare per progettare il futuro, in uno scenario così incerto e con le grandi domande sul sostegno pubblico?
Stiamo vivendo anni che ci stanno insegnando quanto ogni certezza possa essere labile e sono convinto che noi adulti non dobbiamo passare ai ragazzi questo senso di precarietà. E allora bisogna inventarsi delle cose, che vuol dire provare ogni volta: nessuna delle edizioni del Festival è stata sostenuta dallo stesso tipo di contributo pubblico. Bisogna andarseli a cercare, con la consapevolezza che tante volte puoi rischiare di fare un’edizione, tra virgolette, misera. Ma bisogna comunque andare avanti perché siamo consapevoli e convinti che un festival di teatro e letteratura per ragazzi sia utile e necessario. Bisogna farlo. Il segnale che noi ci siamo, e siamo qui perché vogliamo prendere per mano e provare a fare un percorso insieme ai ragazzi e alle famiglie, è una cosa importante.
Quindi più che ‘progettare per il futuro’, si tratta di cercare di volta in volta strade che ti possano consentire di mantenere la promessa che fai quando finisce un festival: se dici «Arrivederci alla prossima edizione» non puoi non fare la prossima edizione. Proprio per un segnale che dai ai giovani, le promesse vanno mantenute e se stai facendo qualcosa in cui credi devi provare a farla sempre e comunque.