ELENA SCOLARI e GILDA TENTORIO | Fare teatro in mezzo agli aromi intensi della cera, prodotto malleabile come la voce e il corpo dell’attore. È la bella idea di Fuoritraccia, curata da Massimo Carniti e Alessandra Sechi, una tenace rassegna di teatro itinerante che dal 2013 organizza eventi in luoghi insoliti in Brianza e nel lecchese. Dopo lo stop forzato a causa della pandemia, a inaugurare la stagione è stata scelta la cereria “A lume di candela” di Lecco, nel quartiere di Pescarenico, proprio accanto al carcere della città. In questo spazio creativo che conosce gli antichi segreti di un’arte antica e produce oggetti di uso comune e di design, ospiti d’onore sono I Sacchi di Sabbia, compagnia tosco-napoletana che reinventa linguaggi popolari sulla scena contemporanea, in perenne oscillazione fra tradizione e ricerca, comico e tragico. Saranno loro a iniziarci a una consapevolezza diversa, antica e moderna, dell’atto del ridere.

Lecco, cereria “A lume di candela”

ES: Perché si ride? Perché l’uomo ride, sarebbe meglio dire – inteso come genere umano tutto – dal momento che è l’unica specie vivente nel mondo animale ad aver sviluppato questa pratica. Che cosa ci fa ridere? Sono stati scritti manuali sull’argomento, vastissimo; si ride delle proprie disgrazie e si ride delle disgrazie altrui. Piccole o grandi che siano. C’è l’autoironia e c’è il riso per la presa in giro degli scivoloni del prossimo. I Sacchi di sabbia lavorano da molti anni su un particolare tipo di comicità, piuttosto raffinata e hanno messo in scena versioni parodistiche delle tragedie classiche: i Sette contro Tebe di Eschilo e Andromaca di Euripide, godibilissima poi l’incursione su Luciano di Samosata dei Dialoghi con gli dèi – una trilogia in collaborazione con Massimiliano Civica.

Giulia Gallo e Giovanni Guerrieri hanno ora messo a punto una conferenza spettacolo sul comico dal titolo Mementi comici, una sorta di lezione che istruisce su alcuni caposaldi teorici soffermandosi su tre parole chiave: faccia, specchio, tempo.
La seriosa professoressa Gallo, occhiali calati sul naso, è in cattedra con l’assistente Guerrieri, che agisce su alcune proiezioni di immagini e fa da contrappunto comico, appunto, ad alcuni momenti della prolusione. Si comincia da un frammento di Buster Keaton che scivola sull’archetipica buccia di banana per passare alla storia che sta dietro al dipinto nella sala dei misteri di Pompei: il personaggio della mitologia greca Sileno, durante una festa, pronuncia la battuta ‘più comica del mondo’ a beneficio dell’iniziato, ebbro degli effluvi dionisiaci. La nostra prof. ci mette a parte del fatto che per i greci la comprensione della battuta divideva gli astanti tra saggi e imbecilli. Ovviamente la battuta non è detta ma – nel gioco tra insegnante e alunni – il pubblico conferma di averla capita.
L’affresco mostra il momento esatto in cui il motto viene recitato.
Sorvoliamo qui sull’excursus riguardante Re Mida per non togliere la curiosità ai prossimi studenti comici.
La parola ‘faccia‘ è trattata riferendosi alla maschera, che come si sa, enfatizza espressioni marcate e sgraziate proprio per amplificare l’effetto di ciò che viene detto dal personaggio e per caratterizzarne movenze e gesti nella direzione voluta.

Lo specchio è invece quello che il giullare di corte tiene nella mano, a volte sostituito da uno scettro che riproduce le fattezze del suo viso. Compito del giullare è far specchiare il re, o il potente di turno, rimarcandone i difetti ma anche tenendo lo specchio nella giusta inclinazione, per evitare che il sovrano si adiri; ecco che anche il tempo, la durata dello scherno deve essere abilmente calcolata per non ottenere un effetto che dalla bonaria derisione passi al pesante dileggio.
Viene portato l’esempio di Amleto, come giullare fallimentare: come è noto, nella tragedia shakespeariana, il principe di Danimarca approfitta della presenza di una compagnia di attori a Elsinore per chiedere loro di mettere in scena una pièce che riproduca l’assassinio del padre, davanti allo zio Claudio, colpevole del regicidio. Lo scopo di Amleto è scrutare la reazione dell’omicida – specchiato – per avere così prova della sua colpevolezza. La messinscena non fa ridere nessuno, pertanto l’obiettivo del giullare reale non è raggiunto. Va però detto che qui i Sacchi piegano la tragedia al loro scopo didattico perché le intenzioni di Amleto erano tutt’altro che ridanciane e il vero giullare danese è in realtà Yorick, sulle cui spalle Amleto ha riso tante volte da bambino.
Al di là della pertinenza di questo esempio, il concetto è comunque chiaro e il rapporto delle due figure che tengono la lezione è esso stesso una prova di come si attui il meccanismo comico tra spalla (Guerrieri) e personaggio principale (Gallo): senza il contrappunto tra i due non ci sarebbe lo sfasamento che provoca il sorriso.
Per un’eventuale appendice di Mementi comici potrebbe forse essere elemento di interesse per gli spettatori introdurre che cos’era il Komos, per rimanere in Grecia, e magari anche qualche nota sulla differenza tra comico e umoristico, distinzione che spesso sfugge ma è essenziale per lo studio del meccanismo della risata.

GT: Infatti quella sera la lezione precedeva lo spettacolo La commedia più antica del mondo. Discorso sugli Acarnesi di Aristofane. È questa la prima commedia del grande comico a noi giunta, oggi raramente messa in scena forse perché scarna di impeto lirico e di esplosive utopie fantastiche come invece saranno le sue altre opere.

La commedia prende il nome dagli abitanti di Acarne, un villaggio a pochi chilometri da Atene, formato in prevalenza da agricoltori e carbonari, riversatisi in città per fuggire dagli invasori spartani durante la guerra del Peloponneso. Alcuni anni dopo questi eventi, intorno al 425 a.C., il ventenne Aristofane ha già le idee chiare su politica e ruolo della poesia e fa sentire la sua verve comica.
Quando il pubblico affolla le gradinate del teatro di Dioniso sotto l’Acropoli, la città è stremata dalla lunga guerra che appare senza vie di uscita, e Aristofane si fa interprete dell’insofferenza e del desiderio di pace. Il protagonista, profugo e rovinato dalla guerra, deluso dall’arbitrio dei politici, decide di fare di testa sua e chiede una tregua personale a Sparta. Fra gli altri, dovrà vedersela anche con gli Acarnesi (il Coro), aspri e bellicosi, sordi a ogni possibile conciliazione con il nemico.

Nella proposta dei Sacchi di Sabbia, Massimo Ghirò è impegnato in un irresistibile one man show. Attraverso un impianto fintamente didascalico, egli è un rassicurante professore che ci aiuta a familiarizzare con le pratiche antiche e le terminologie da specialisti (falloforie, tetrametri, sticomitie…). Ci spiega subito che il comico di Aristofane è di due tipi: c’è quello accattivante, che suscita il sorriso amabile di complicità, e il comico “dentone” (chiaro riferimento a Dario Fo, anche nella postura con la testa reclinata indietro e la bocca bene aperta), un riso più ostile e irridente. Questi due ingredienti vengono sfruttati nell’ambito della parola ma soprattutto nella gestualità, composta da scatti repentini e dall’espressività marcata di un viso che si fa “maschera” mimetica e già di per sé comica. Ma le cartucce di Ghirò sfruttano anche la potenza dell’ossimoro (il professore serioso e l’effetto di improvviso abbassamento di registro), alternando la filologia e l’osceno, il calembour e il cortocircuito fra passato e presente.

Conquistata la fiducia del pubblico, ecco esplodere l’effervescenza della farsa e il sapore rustico (esemplificato anche in olive, formaggio e un bicchiere di vino). In effetti questa commedia più di altre è ricca di riferimenti alle feste teatrali antiche, in cui il sacro si affianca all’elemento popolare. Così, mentre i filologi si accapigliano sulle minuzie di un tetrametro giambico, I Sacchi di Sabbia ci ricordano che per restituire vitalità sanguigna alla commedia occorre riscoprirne il lato di festa dionisiaca.

ES: Io mi sono appuntata i “trimetri anapestici” perché il solo suono mi sembra bellissimo, anche da usare come inaspettato improperio.

GT: Infatti tra le scelte più significative, la più sorprendente è la ricreazione del linguaggio comico (il testo fluido e potente è di Giovanni Guerrieri): in un contenitore in apparenza serioso ed erede di alte tradizioni, quando meno te lo aspetti, si insinua il neologismo scoppiettante e dà origine a una catena mai banale di invenzioni. (Ad esempio il nostro “villico” è “l’unico che impacia di tutto l’Ateniume”).

ES: Sì, alcune delle invenzioni di vocabolario mi hanno fatto pensare alla fertilità linguistica di Gadda e Testori, maestri nel coniare termini ed espressioni inesistenti ma di perfetto valore evocativo.

GT: Hai ragione. C’è poi la questione delle falloforie e delle battute oscene: come spiegare al pubblico di oggi l’aspetto apotropaico-religioso delle processioni e certa greve comicità aristofanea, senza scadere nel volgare evitando di provocare la sempre sveglia pruderie? Con una buona dose di ironia, iperboli ben dosate e una delicatezza nel dettato (con un inconfondibile e simpatico accento toscano): ed ecco un fallo gigante in gomma bianca posato sulla scrivania del professore, individuato perfino nel nome del protagonista Diceopoli (cioè Dick-eopolis). Prima coperto pudicamente da un panno, quando la storia entra nel vivo – e il professore si trasforma nell’eroe comico, in un mirabile lavoro di entrata e uscita dal personaggio – il fallo diventa un compagno con cui dialogare, un telefono, una racchetta…
Irrinunciabile è il vino: fra l’altro la parola greca spondè permette il gioco polisemico fra ‘tregua’ e ‘libagione’, e quindi il protagonista sorseggia la sua pace personale, negandola gelosamente agli altri, attraverso quell’artificio comico sempre efficace della parola interpretata alla lettera, o ancora meglio reificata sulla scena: la parola si fa cosa. E infatti Diceopoli, mosso da un interesse egoistico, “ebbro di pace, dionisia e s’orgia fra sé”.

Ma non solo. Per imparare ad avere una buona parlantina, egli si rivolge al suo nume tutelare, cioè Euripide. Molto efficace la scelta dei Sacchi, che trasformano le citazioni tragiche in sentenze proverbiali. I modelli della tradizione – sembrano dirci – sono buoni solo per estrapolare sentenze utili al tornaconto personale, e così a colpi di “rosso di sera bel tempo si spera” e “chi fa da sé fa per tre”, l’eroe riesce a sgretolare le certezze guerrafondaie degli Acarnesi (che per qualche minuto abbiamo interpretato noi), perché “le bugie hanno le gambe corte” e “donna baffuta, sempre piaciuta”. Il nonsenso si fa slogan politico, in una lista spassosa e trionfante. Anzi, alla fine il nostro Dick vince perfino contro il terribile Lamaco, lucente nella sua armatura, quel Lamaco che impersona la guerra, il riscaldamento globale e ogni altro male.
Una parabola irresistibile che mentre ci rivela i meccanismi del comico, allunga i tentacoli della sua parodia in molte direzioni, ad esempio contro la sterile filologia che “uccide” l’impeto comico, o contro gli stereotipi che ingabbiano la Grecia antica nell’univoca immagine dorata di culla della democrazia. E non mancano punte critiche anche a noi frequentatori di teatro, occhialuti intellettuali pronti a bacchettare o apatici spettatori che si fanno travolgere ma non trascinare nella vitalità di passioni forti.

ES: L’effervescenza di questa parabola è una fusione tra il testo rutilante di Guerrieri e la padronanza acrobatica che Grigò ne mostra in scena.

GT: Riflettevo sul fatto che Atene era nell’antichità un crogiuolo di contraddizioni, che Aristofane affrontava con la risata crassa o il sorriso acuminato della satira. I Sacchi di sabbia ci invitano a fare tesoro delle fonti inesauribili del comico, per uno sguardo disincantato e critico sulla realtà, oggi più che mai necessario. Il mondo infatti non è cambiato: reduci dalla “peste” del Covid, anche noi sentiamo il fiato pesante della guerra, mentre le parole della politica si svuotano di significato.

MEMENTI COMICI
conferenza spettacolo sul comico
produzione I Sacchi di sabbia
con Giulia Gallo e Giovanni Guerrieri

LA COMMEDIA PIU’ ANTICA DEL MONDO
Discorso su Gli Acarnesi di Aristofane
Produzione I Sacchi di Sabbia, con la collaborazione di Francesco Morosi e Compagnia Lombardi-Tiezzi con il sostegno di Mic, Regione Toscana
con Massimo Grigò
scultura Noela Lotti
produzione I Sacchi di Sabbia in collaborazione con Compagnia

Lecco, Cereria “A lume di candela” – Rassegna teatrale Fuoritraccia – 22 ottobre 2022