GIANNA VALENTI | You Were Nothing But Wind e Of The Nightingale I Envy The Fate, due performance, due personaggi mitologici, due declinazioni del dolore e del coraggio nel dolore, rispettivamente Ecuba (Silvia Calderoni) e Cassandra (Stefania Tansini) nella rilettura che ne fa Motus (Daniela Nicolò, Enrico Casagrande) ospitati alla Fondazione Merz di Torino all’interno della 27esima edizione del Festival delle Colline Torinesi.

I due lavori nascono da Tutto Brucia, spettacolo del duo Nicolò/Casagrande presentato allo stesso festival nel 2021; Of The Nightingale I Envy The Fate è peraltro qui presentato in prima assoluta. Insieme a Motus Mix, un film mandato in loop con materiali d’archivio del lavoro della compagnia dai primi anni ’90 al 2021, i due lavori sono parte della Monografica Motus che la Fondazione Merz dedica alla compagnia per i 31 anni di attività.

In You Were Nothing But Wind il suono è la prima azione. Suoni che si articolano faticosamente o che si spalancano aggredendo lo spettatore, che fatichiamo a identificare e che forse fuoriescono da un’identità animale, ma in cui scorre il desiderio di articolare l’umano (gli ambienti sonori sono di Demetrio Cecchitelli). Il pubblico è seduto circolarmente intorno a un cumulo di cenere. A delimitarne la circonferenza sono luci violacee pensate da Daniela Nicolò.
Movimenti impercettibili, poi vibrazioni, oscillazioni e dal cumulo sorge la Ecuba incarnata (e pensata, insieme a Casagrande e Nicolò) da Silvia Calderoni. Lame metalliche taglienti come denti (props e sculture sceniche sono di _vvxxii). Il corpo in tensione compressa che si allunga e si sposta con movimenti forti e diretti con la qualità fendente di una lama. Quella bocca tagliente e dura si fa corpo e si fa voce. La freddezza del metallo abita nelle sue ossa e nei suoi muscoli e i suoi latrati incomprensibili aggrediscono il nostro corpo di spettatori. Il dolore devastante di Ecuba sono quelle lame che si sono impossessate del suo corpo, dei suoi pensieri e delle sue emozioni. Nei diversi passaggi della partitura fisica improvvisata, cadenzati dagli spostamenti delle barre di luce e dal loro cambio di colore, si colgono solo pochi istanti in cui Ecuba perde forza, si accascia e sembra essere attraversata da compassione. Quando Ecuba lascia la scena  non sembra esserci trasmutazione nel suo corpo o, forse, è proprio l’ultimo urlo che si spalanca incontenibile verso l’alto il segno possibile di una consapevolezza verso il proprio dolore.

Le note di Nina Simone di Wild is the Wind, che nella drammaturgia del suono rimangono sin dall’inizio in lontano background, si fanno più alte, rendendo irreale con la loro dolcezza ciò di cui siamo testimoni. Ma qual è il livello di realtà a cui stiamo assistendo? Qual è la matrix? O in quale glitch ci troviamo? Gli spostamenti di senso si stratificano con l’arrivo sulla scena di una addetto ai lavori in tuta neon arancio con un soffiatore per foglie secche. Il suono del vento che cerca di risistemare le ceneri è così un suono meccanico che si mischia alla dolcezza del vento nella voce di Nina Simone.
Come spesso nel lavoro di Motus, il senso può solo spalancarsi in una circolarità di riferimenti o in una complessità di presenze e di sguardi. Le parole della canzone creano uno spiazzamento ulteriore, un nuovo cortocircuito nella realtà equivoca di Ecuba … cling to me, For we are creatures of the wind, And wild is the wind

Of The Nightingale I Envy The Fate (Dell’Usignolo Invidio La Sorte) è una performance sul volo e sulla leggerezza, ma anche sul coraggio e sulla forza, “perché non era previsto che noi sopravvivessimo” scrive Audre Lorde in un testo cardine per questo lavoro. Quando il pubblico entra, è lo spazio scenico ancora vuoto e silenzioso a chiedere attenzione -una striscia chiara che si estende al centro della sala per tutta la sua lunghezza e che si curva alla fine del lungo spazio per creare un fondo scena.
In quel punto, un cumulo di piume bianche. A metà tappeto due luci (il disegno luci è di Theo Longuemare). Quando la scena si fa violacea, il suono si apre -un ambience puntinato, leggero e veloce, come veloce, leggero e ritmato è il suono della camminata che ci arriva da fuori scena. Il volto di Cassandra appare sopra una luce nel buio. Lo sguardo è ampio e profondo. Le ciglia fucsia, lunghe e piumate sbattono con micro movimenti velocissimi e si fanno segno dell’identità di Cassandra, segno che è già pensiero, parola, emozione e che contiene in sé tutta la fisicità di cui saremo testimoni.
Il corpo di Cassandra entra in scena facendosi abitare da quel battito. Cassandra è usignolo e modula il suo canto con un fischietto. È volatile con una colonna vertebrale che le pende sulla schiena e una placca di gabbia toracica sul ventre. Il suo corpo avanza, inseguendo il flusso dell’aria nella molteplicità dei punti di articolazione della sua struttura ossea e si manifesta nella leggerezza oltre la densità dell’umano.
Facendosi accompagnare dal canto del suo fischietto, Cassandra è usignolo e cantando incontra il proprio destino. Scrive un grande NO con le mani e con il sangue, poi striscia, si tende, vibra incessantemente, sinché il suo corpo si ferma. La linea temporale si è spostata. Cassandra ora siede e sorride. Poi scopre una nuova forza e si muove con la velocità e la precisione di un guerriero. Trova un uccello totem e si getta in un rito di piume bianche e sangue. Porta un albero tagliato in scena e costruisce per sé la possibilità di un nuovo luogo, di uno spostamento temporale e dimensionale. E proprio ora nasce la parola. La sua parola può essere di nuovo ascoltata? La condanna è terminata?

Cassandra, in questa rilettura del personaggio, pare viaggiare nel mondo di chi non è sopravvissuto. Oltre il tappeto scena, la sua danza è radicata, sinuosa e ondeggiante e il suo corpo è abitato da un groove techno, accompagnato dal suo canto fischiato. Piegando il tappeto di scena svela un groviglio di larve serpentine con la scritta we were never meant to survive. Le immagini si stratificano e tracciano le diverse linee temporali del lavoro. Mentre queste immagini ci scorrono davanti, si ascolta registrata e integrale A litany for survival della poetessa americana Audre Lorde. Le linee temporali si confondono e gli artifacts del passato si proiettano già in un nuovo futuro. Il dolore, il coraggio e la paura fluiscono senza fermarsi su un punto preciso. Cassandra sparisce. Un corpo viaggia sotto il tappeto e solleva le immagini e le tracce del suo vissuto. L’immagine finale è un qui ed ora nella quotidianità del XXI secolo. Cassandra, in tuta nera e priva ormai di ogni connotazione simbolica, fuoriesce dal tappeto dal punto in cui è entrata. Con una luce da speleologo sulla fronte, forse dopo aver inseguito le tracce del proprio mito, si muove oltre il pubblico, nel buio. Forse cerca un luogo dove non rimanere in silenzio, una nuova linea temporale in cui immettere la propria esistenza. Il senso si apre, come la porta che nel buio rimane aperta alla spalle della protagonista.
A distanza di due giorni, le immagini potenti del lavoro rimangono nel corpo e chiedono quasi di continuare a co-creare con ciò che si è ricevuto.
Questo, per chi scrive, il senso distillato della scena di Motus nella memoria persistente.

 

YOU WERE NOTHING BUT WIND

ideazione e regia Daniela Nicolò, Enrico Casagrande e Silvia Calderoni
con Silvia Calderoni
ambienti sonori Demetrio Cecchitelli
suono Enrico Casagrande
luce Daniela Nicolò
props e sculture sceniche_vvxxii
video e grafica Vladimir Bertozzi
una produzione Motus
con il sostegno di MiC, Regione Emilia-Romagna

OF THE NIGHTINGALE I ENVY THE FATE

ideazione e regia Daniela Nicolò, Enrico Casagrande
con Stefania Tansini
ambienti sonori Demetrio Cecchitelli
suono Enrico Casagrande
luce Theo Longuemare
props e sculture sceniche _vvxxii
una produzione Motus
con TPE – Teatro Piemonte Europa / Festival delle Colline Torinesi
residenze artistiche ospitate da Lavanderie a vapore Torino, Centro nazionale di produzione della danza Virgilio Sieni, AMAT Marche
con il supporto di MiC, Regione Emilia-Romagna