GIAN LORENZO FRANZÍ | Nota stonata è lo spettacolo tratto da Didier Caron per la regia di Moni Ovadia che vede protagonisti Carlo Greco e Giuseppe Pambieri.
Il colore è il nero. Il numero è due.
Quando entra in scena il protagonista di Nota Stonata, Hans Peter Miller, la scena è vuota.
Un grande specchio al centro (che poi scopriremo avere funzioni di finestra), sullo sfondo: due porte, una a destra e una sinistra.
Due sedie, accanto al tavolo.
Due bicchieri vuoti accanto ad una bottiglia.
Piccoli particolari che raccontano l’antefatto e il background di Miller: un violino fa bella mostra di sé sul tavolo, dentro la sua custodia dal tipico interno vellutato in rosso. Siamo chiaramente in un teatro, nel comodo camerino di un artista.
Lui entra di volata, con il frac ancora addosso, è appena terminata la sua esibizione come direttore di orchestra per un concerto, prodromico alla sua imminente nomina a direttore artistico della Filarmonica di Berlino, una città che tornerà sempre più frequente nei dialoghi successivi.
Il Maestro è stanco e infastidito, anzi arrabbiato. Carlo Greco, l’interprete di Miller, arriva in scena a gamba tesa e con pochi, piccoli, imperiosi gesti mette in chiaro la sua tempra impetuosa, fin troppo sicuro di sé, ai limiti dell’arroganza: voce ferma, sguardo altero, schiena dritta.
Afferra il telefono, impartisce ordini, dà giudizi tranchant sui suoi musicisti che hanno appena eseguito una partitura sotto le sue indicazioni in maniera assolutamente insoddisfacente per lui.
Si prepara per la cena, quando irrompe sul palcoscenico tale Leòn Dinkel. Che fin dall’inizio mostra tutt’altro carattere: ossequioso, entusiasta, morbido nei modi.
Al fastidio mostrato apertamente dal musicista direttore d’orchestra a questo sconosciuto intromessosi senza appuntamento nel camerino, Dinkel risponde di essere venuto fin dal Belgio per applaudire il Maestro Miller. Pian piano, questo apparente sconosciuto avanza pretese, conquista terreno, fino a chiudere entrambi a chiave nel camerino. È solo l’inizio di una discesa nell’abisso.
Nota Stonata è la necessità di conoscere e ri-conoscere il passato così da riposizionarlo in prospettiva con il presente.
È la nuova riflessione del regista Ovadia su una delle pagine più terribili dell’umanità: che fin dall’inizio (gli anni ’70 del suo gruppo Folk Internazionale), passando per le sue esperienze musicali nei festival europei e il teatro (dal 1984) e le sperimentazioni su grande schermo (come ad esempio con Roberto Andò per Frammenti sull’Apocalisse) così come le partecipazioni più mainstream, ha sempre messo al centro della sua arte la cultura ebraica con tutto quello che ne discende.
È la messa in scena assoluta, definitiva, scarnificata, del rapporto vittima/carnefice con tutte gli infiniti riverberi psicologici, le derivazioni esistenziali.
Ma è anche una sorta di consacrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, del magistero interpretativo di Carlo Greco, noto e amato attore di teatro (e di televisione, e di un cinema sussurrato e intriso di emozione, muta e assordante) che ancora oggi, a quarantadue anni dai suoi esordi, riesce ad imporre il suo magnetismo sul palcoscenico, accentrando su di sè l’attenzione del pubblico.
Greco fagocita la piece: il suo Miller è un personaggio saldamente incastonato in una forma teatro ancora definibile come classica -per i canoni di messa in scena e di drammaturgia-, ma che lui riesce a scardinare con forza impressionante, restituendo il suo lavoro ad una dimensione indefinita e assoluta.
La nota stonata del titolo dell’opera del francese Didier Caron è poi il granello che inceppa il meccanismo perfetto, è lo stridio che corrompe l’insieme, è la lacerazione che strazia la normalità: e nello spettacolo con la regia di Ovadia, assume le inevitabili sembianze di un orrore del passato che per sua natura non potrà mai smettere di essere presente.
Come due facce della stessa medaglia, come due aspetti della realtà, come due declinazioni dell’attualità.
È evidentemente la simbologia del doppio a correre sottopelle per tutto il dramma, finendo per costituirne l’ossatura essenziale: sviluppata secondo un cortocircuito continuo, con i due attori in scena che riescono ad interagire in un rapporto osmotico scambiandosi di continuo i ruoli.
Perché se all’inizio l’intruso (che ha le fattezze di Giuseppe Pambieri) sembra essere un carnefice tragicomico, destinato solo a disturbare la quiete del musicista, lentamente le due caratterizzazioni si intrecciano e si scambiano il posto: Dinkel si svela come vittima, Miller come carnefice.
Le luci accompagnano morbidamente i cambi di prospettiva: la tonalità varia da calda a fredda in maniera impercettibile, sottolineando le battute dei due attori in scena, facendo da contrappunto a dialoghi fitti e taglienti, armi improprie del duello messo in scena.
Se poi lo specchio, nella seconda parte, viene usato come finestra (sul mondo e sul passato, con l’uso di fotografie d’epoca e filmati), è nella sua funzione metaforica che trova il perfetto completamente e svelamento del senso di Nota Stonata: perché se lo spettatore guarda attentamente, durante lo spettacolo, può vedere il lato che abitualmente non vedrebbe degli attori in scena.
La doppiezza, l’ambiguità, l’inestricabile ambivalenza della vita e dell’esistenza sono il fondamento del dramma che racconta Ovadia: ma se il regista insiste sul nazismo -a volte anche in maniera fastidiosamente didascalica, per esempio con i citati filmati in bianco e nero e fotografie che poco aggiungono a quanto lo spettatore può sapere, e sottolineano solo l’ovvio distraendo dalla potente voce testuale-, Greco lo utilizza solo come spunto per mettere a nudo il mostro, anche letteralmente, in una performance realmente sbalorditiva per sincerità emozionale.
Perché non ha nessun timore di spogliarsi di tutto (dei vestiti, del pudore, delle emozioni) per scarnificare l’essenza del Male; mostrandola in una pornografia dei sentimenti che non si spaventa di raccontare, con atteggiamento entomologico, anche la fragilità del mostro, la sua nascosta e trascurabile umanità.
In questo, il racconto riecheggia il valore etico di Se questo è un uomo di Primo Levi o il Maus di Art Spiegelman: e diventa un vero e proprio labirinto morale fatto di specchi e illusioni, dubbi e supposizioni, accuse e smentite, cinismo e minacce, confessioni e ripensamenti. E dal quale sembra non esserci nessuna via d’uscita, se non quella di abbandonarsi ad un colpevole fatalismo.
Tutto mentre, come contraltare, Pambieri gioca con Greco come il gatto con il topo: ma per forza di cose, la sua pur efficace prova viene oscurata dal compagno con il quale dovrebbe essere coprotagonista, risultandone evidentemente spalla.
Certo, la bravura dell’attore è utile nel momento in cui per tutta la parte finale del dramma i ruoli cambiano a ritmo vorticoso, lasciando il nazismo sullo sfondo e recitando un gioco delle parti doloroso ed essenziale: in questo modo, Nota Stonata assume le sembianze di una riflessione sul genere umano e su quella aberrante necessità sociale di sopraffazione. La vita è un ballo a due, nel quale ontologicamente uno è la vittima, l’altro il carnefice, uno comanda, l’altro esegue.
Ma nessuno, mai, vince.
NOTA STONATA
di Didier Caron
regia Moni Ovadia
traduzione Carlo Greco
con Giuseppe Pambieri e Carlo Greco
scene Eleonora Scarponi
costumi Elisa Savi
luci Daniele Savi
foto Pino Lepera
assistente alla regia Mario Brandolin
ufficio Stampa Francesco Fusco
produzione Golden Show Srl e Teatro della Città di Catania
visto a Lamezia Terme, 11 novembre 2022, Stagione Teatrale AMA Calabria 2022/23
Teatro Grandinetti Comunale