ENRICO PASTORE | Si è conclusa a Genova la tredicesima edizione di Testimonianze Ricerca Azioni e chi vi ha partecipato ha ricevuto un generoso carico di immagini, pensieri, riflessioni su cui meditare a lungo.
L’evento organizzato da Teatro Akropolis unisce felicemente la dimensione umana, calorosa dell’incontro, con una programmazione di alto livello e dei preziosi lunghi momenti di dibattito su temi fondamentali del teatro quali le sue radici e funzioni primarie.
Incominciando da quest’ultimo aspetto, oggi decisamente sottovalutato, quando non negletto o persino accantonato con sufficienza derisoria come fosse argomento per nerd del teatro chiusi in polverose torri d’avorio totalmente separati dal reale, è il gioiello più pregiato incastonato nel festival, sopratutto per l’alto livello dei contributi.
L’incontro con Mechri, laboratorio di filosofia costituito da Carlo Sini per indagare possibili vie di fruttuosa transidisciplinarietà, incontro condotto insieme a Antonio Attisani, Florinda Cambria e Tommaso Di Dio, ci precipita proprio nel centro dell’indagine sui fondamenti originari dell’arte scenica. Il concetto di foglio-mondo, ossia di una rappresentazione specchio dell’essere da noi abitato, per quanto preciso e accurato, manca del gesto fondamentale di chi realizza la riproduzione.
L’atto generante la rappresentazione è fuori dal rappresentato, eppure in esso è contenuto tutto il mondo. Da qui la supposizione che le arti sceniche, dove è il corpo a disegnare la mappa, è un sapere senza parole precedente il filosofico. Una conoscere ancestrale attraverso l’azione contenente in sé ogni possibile.
Tale sapere originario si fonda sulla composizione, quasi gioco delle perle di vetro, in cui si legano per assonanza, accordo, similitudine, ogni anfratto del foglio-mondo in un gioco infinito sempre rinnovantesi.
Il teatro, così concepito, diventa centrale, come prassi filosofica, come luogo in cui la mappa del mondo ogni volta si ridisegna in un’arte combinatoria rivelante le infinite maschere del reale. La domanda profondissima è quindi come sia possibile, nella nostra temperie storico-culturale, trovare forme adatte alla rappresentazione del foglio-mondo?
Un’immagine è certo poco esaustiva dei lunghi interventi tenuti, ma contiene la potenza dell’evocazione immaginativa laddove il sunto ridurrebbe a semplificazione una complessità di pensiero irriducibile a poche righe.
Stesso discorso vale per la lunga lezione di Marco De Marinis sul rapporto tra teatro e città in cui si introduce il concetto desunto dal pensiero filosofico di Peter Stoterdijk di apolitologia, ossia quell’essere separati ai margini o fuori dai confini della comunità al fine di pensare una città invisibile e inesistente, ma possibile. Nel ripercorrere la storia del teatro da Copeau all’Atene di Pericle, passando per la Commedia dell’Arte, la Mosca di Stanislavskij e le sperimentazioni del Terzo Teatro, De Marinis delinea una predisposizione dell’arte teatrale e degli attori a porsi ai margini, in perpetuo vagare anche quando stanziali, per ricercare ed evocare un contro pensiero volto all’edificazione della comunità che non c’è ancora.
Il discorso tende infine alla ricerca di filiazioni e lasciti del Terzo Teatro nel presente, fenomeno teatrale ben delimitato dalla storia ed esempio lampante di comunità separate alla ricerca di un teatro al di là dello spettacolo. Purtroppo qui la matassa si imbroglia, sia per le mutate condizioni sociali, politiche, economiche e culturali, sia perché si tende a forzare una similitudine in realtà solo apparente.
Oltre agli incontri numerosi, il programma è fitto di momenti performativi in cui traspare una curatela attenta a presentare al pubblico opere in cui il corpo disegna un pensiero inesprimibile a parole. In queste righe non voglio presentare al lettore delle recensioni, ma provare a disegnare delle piccole icone esemplificanti la ricchezza di questi lavori i quali, pur nella loro definita intenzione, riescono a operarne una trasformazione capace di liberare l’immaginazione dell’osservatore, pur nella loro opacità, lontana da una becera comunicazione di senso.
Apocatastasi di Teatro Akropolis offre una francescana visione di pensiero in azione creando heideggerianamente uno fare-spazio, un luogo attraversato da gesti incidenti come proiettili traccianti nel buio. Due donne (le brave Roberta Campi e Giulia Franzone) appaiono alla luce senza volto, nascosto proprio dalla luce proveniente dall’alto e in contro. Un solo oggetto si interpone. Una semplice sedia. L’immagine evoca il racconto vedico dei due uccelli dalle ali splendenti: uno mangia il frutto dell’albero e l’altro lo guarda. Nel mezzo del loro sguardo abita il Pastore dell’Universo. Le due donne si incontrano, lottano, si amano, si allontanano, ma restano ancorate una all’altra, bisognose una dello sguardo dell’altra, così come di quello dello spettatore. Se si interrompesse questo reciproco osservarsi, si solleverebbe il regno dell’ombra. Un danzare sul filo tra essere e non essere, un volteggiare sul baratro danzando la vita sull’orlo della morte.
Ça ira di Maxime e Francesco evoca tre uomini-uccello, racchiusi nella gabbia di un triangolo rettangolo il cui teorema pitagorico si ingarbuglia fino al non sense. I tre danzano e percorrono (o indagano?) le pareti della loro gabbia, la loro vitalità confligge con la geometrica staticità del triangolo. Essi vogliono migrare in quel piccolo giardino di papaveri irreali e inauditi al di là della strana voliera in cui sono imprigionati. Alla fine, riusciranno a raggiungerla, lasciandoci il dubbio se questo sbarco sia nella vita o al di là di essa.
Carlo Massari presenta invece due atti della sua trilogia dedicata alla metamorfosi: Larva e Blatta. In entrambi i pezzi lo spettatore può scoprire alcune declinazioni delle conflittualità che attraversano il nostro presente. Un pencolare tra civiltà e animalità, tra legge e violazione, tra la festa e la morte. Si delinea una civiltà di contraddizioni in cui, per esempio in Larva, un presidente (Emmanuel Macron) può, con il sorriso, comunicare l’abisso di un’apocalissi lenta, oppure nell’elencazione delle beatitudini evangeliche accanto ad alcune nuove, contraddittorie e ridicole, dettate dalla nostra insostenibile leggerezza di fronte allo sfacelo di una civiltà.
In Blatta troviamo un performer sportivo, con una felpa i cui disegni stampati riproducono bistecche. Il suo corpo prova un atletismo sempre fallimentare, e nel frattempo una voce richiama lo sterminio perpetrato dagli allevamenti intensivi e i problemi che tale costante macellare si porta appresso dall’inquinamento ambientale, all’uso di risorse idriche fondamentali, alla deforestazione. Eppure, in questo il performer disegna una riscoperta della nostra propria animalità, un richiamarsi a mamma natura, un rinascere a essa.
Da ultimo il duo di Emanuele Rosa e Maria Focaraccio How to_just another Boléro. Un uomo e una donna sono sdraiati al suolo su un tappeto che ne delimita la zona d’azione. Le note del Boléro di Ravel li inducono al movimento, a una ricerca della verticalità tramite il contatto e l’appoggio reciproco. La volontà di spiccare il volo via da quel recinto diventa rabbiosa, impotente, vana, ma proprio perché fallimentare diventa ancor più importante, più sentita, maggiormente politica. Quel ricadere a terra sulle note di un boléro pronto a cominciare ancora una volta ci dice che quel tentativo è solo uno dei tanti di una serie infinita.
Questi sono solo alcuni pensieri e immagini di Testimonianza Ricerca Azioni. Un racconto insufficiente. Clemente Tafuri, David Beronio e Veronica Righetti, così come tutto lo staff da Rosalba a Luca, ai ragazzi volontari, sanno donare con leggerezza e gentilezza. Una rarità di questi tempi. Qualcosa da preservare e frequentare e diffondere.
APOCATASTASI
Regia: Clemente Tafuri, David Beronio
Con: Roberta Campi, Giulia Franzone
Musiche originali: Pietro Borgonovo
Produzione: Teatro Akropolis
Coproduzione: GOG – Giovine Orchestra Genovese
ÇA IRA
Regia e coreografia: Francesco Colaleo, Maxime Freixas
Interpretazione: Pieradolfo Ciulli, Francesco Colaleo, Maxime Freixas
Costumi: Gabrielle Marty
Musiche: Jérémie Esperet
Disegno luci: Cristian Perria
Produzione: Cie MF, Maxime & Francesco
Coproduzione: Institut Français di Budapest, DRAC Auvergne Rhône Alpes/plan relance, RECIF / Karukera Ballet e Artchipel / Scène nationale de Guadeloupe, Teatro San Materno
LARVA, METAMORPHOSIS
Atti di metamorfosi contemporanea
Creazione originale e interpretazione: Carlo Massari
Produzione: C&C Company
In co-produzione con Oriente Occidente Dance Festival, Teatro Akropolis, Teatri di Vetro, Margine Operativo / Attraversamenti Multipli
HOW TO _ JUST ANOTHER BOLÉRO
Concept e coreografia: Emanuele Rosa, Maria Focaraccio
Performance: Emanuele Rosa e Melissa Cosseta
Costumi: Emanuele Rosa, Maria Focaraccio
Luci: Michele Piazzi
Supporto drammaturgico: Carlotta Jarchow
Genova, Sestri Ponente
11, 12 e 13 novembre