RENZO FRANCABANDERA | A distanza di poco più di un mese e mezzo l’una dall’altra, Bologna ha accolto due delle più recenti creazioni che hanno come protagonista Michela Lucenti, artista totale dello spettacolo dal vivo, con una spiccata vocazione per la danza, ma che ha sempre inteso questo codice in modo molto legato alla pratica teatrale e a quella musicale/canora.
Potrebbe dirsi, senza tema di smentita, che la Lucenti è una delle poche performer totali, che è stata capace di stare da un lato e dall’altro del palco, in una pratica che l’ha quindi vista regista e interprete, spesso da sola, ma fondatrice e direttrice di collettivi, come è Balletto Civile.
Dal 2022 Lucenti, dopo molti anni con la propria compagnia residente in Liguria e al Teatro della Tosse per la co-direzione artistica, insieme a Marina Petrillo, del Festival Resistere e Creare, è divenuta artista associata di ERT / Teatro Nazionale, e ne cura la rassegna Carne, un progetto ampio e diffuso durante tutta la stagione di ERT nelle sue varie sedi, un focus costituito da spettacoli, incontri, performance, interventi sul territorio, che attraversa le stagioni teatrali, i festival, ponendosi come costante “interferenza” concettuale.
A ottobre 2022 l’artista ha debuttato all’Arena del Sole, proprio nell’intersezione fra VIE Festival e Carne, con il nuovo spettacolo Karnival insieme alla sua compagnia Balletto Civile, seguito a distanza di poco più di un mese dalla messa in scena, nello spazio più raccolto e intimo del Teatro delle Moline, da Hamlet Puppet.
Il primo è un lavoro delle cromie molto vive, che prosegue nella ricerca della compagnia di quello spazio liminale fra i linguaggi. Vibra il tono bordeaux delle pareti e delle moquette dei grand hotel, spazio a cui rimanda l’allestimento. Karnival ha la natura del musical performativo, una sorta di The Grand Budapest Hotel in musica: un albergo che forse un tempo doveva essere stato prestigioso, poi forse decaduto, insieme ai personaggi che lo frequentano, qualcosa di simile al destino del linguaggio scenico stesso, una certa umanità decadente, il cui emblema iconico è un sacerdote (Maurizio Camilli in stile Padre Ralph di Uccelli di rovo per voi lettori boomer), tutto proteso a contrastare la decadenza muscolare con esercizi ai pesi.
Fra quadri che vogliono ispirarsi alle follie dei giorni di carnevale, al licet insanire, e nature, se non morte, quasi moribonde, si susseguono vicende che riguardano una serie di personaggi che entrano ed escono da questo luogo di passaggio fra le identità, che abitano coni di luce che si spostano a raccontarli in disperanti e disperati fermo immagine. Metaforiche stanze separate solo dal bello e complicatissimo disegno luci di Stefano Mazzanti.
Impossibile leggere una vicenda compiuta negli incontri occasionali, dentro la società in miniatura che via via scarnifica le proprie velleità per arrivare ad una drammatica irrisolutezza finale, in cui questi corpi si aggrovigliano, fragili e pieni di domande senza risposte, attorno ad una poltrona, quasi a voler scattare una foto di famiglia che profuma più di Festen che di reali affetti di prossimità.
Dal punto di vista coreografico si tratta di una co-creazione cui hanno partecipato tutti gli interpreti, che sono Fabio Bergaglio, Maurizio Camilli, Loris De Luna, Michela Lucenti, Alessandro Pallecchi, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Francesca Zaccaria, sebbene la Lucenti rimanga regista e coreografa dell’atto artistico nel suo complesso, caratteristica questa di molte creazioni di Balletto Civile, in cui sempre esiste uno spazio previsto, deciso ma volutamente non determinato fino all’assoluto micro-gesto, per lasciare vibrare sempre l’accadimento dell’assoluto teatrale. L’analisi delle forme creative e simboliche presenti nelle sue creazioni spazia sempre su un confine capace di comprendere il pop e l’ancestrale.
I suoi personali talenti le hanno da sempre permesso di arrivare a concepire spettacoli che trasudano un dinamismo energico, sia negli assolo che nelle coreografie per gruppi di danzatori, come questa, in cui di solito si arriva a rappresentazioni espressionistiche della vicenda umana.
Anche lei è in scena, incalzata e sostenuta da percussioni a tratti violente, suonate dal vivo da Davide Senigaglia. È viaggiatrice, frenetica, e con il suo bagaglio corre di qua e di là portandosi dietro un trolley di posture, di nevrosi sociali: pare lottare contro fantasmi, e quasi come Black Mamba in Kill Bill, sembra volerli affrontare ad ogni passo, ondeggiando in una sua tipica posa sulle gambe leggermente larghe, come pronta a voler sferrare un colpo di arte marziale.
Questa tensione combattiva va poi a sciogliersi in qualche declinazione pop-esistenzialista, ed è quello che succede sia in questo lavoro, che si allarga poi in un finale surreale, con una coreografia subacquea che riporta alla memoria i film di Ester Williams, sia in forma più compatta per durata e dal punto di vista emotivo assai risolta, in Hamlet Puppet, che ha aperto la stagione 2022-2023 del Teatro delle Moline di Bologna.
Si tratta, in questo secondo caso, di una collaborazione fra la coreografa, il musicista Paolo Spaccamonti, la regista e autrice Giorgina Pi e il sound designer Valerio Vigliar, per una produzione fra Balletto Civile e Bluemotion/Angelo Mai, Blucinque (il collettivo artistico di Giorgina Pi), in collaborazione con ERT.
Nel buio dello spazio scenico si distinguono tre piani, tre spazi di azione: il primo, quello sulla sinistra, è occupato dalla Lucenti che indossa uno spolverino bianco e si trova davanti ad un leggio e ad una sound station. A destra, un po’ più indietro il musicista Paolo Spaccamonti che esegue le composizioni dal vivo. Importante il contributo sonoro complessivo nel lavoro, che vede coinvolto non solo il chitarrista e compositore torinese, da anni attivo anche per il teatro, la tv e la sonorizzazione dal vivo di film muti, ma anche Valerio Vigliar compositore, performer e sound designer romano, anch’egli da più di vent’anni attivo nel mondo del cinema, del teatro, delle arti performative e della discografia e in costante collaborazione con Giorgina Pi, cui si devono gli inserti video, interni giorno, di piccola quotidianità, quasi polaroid in movimento.
Sullo sfondo, su un piano rialzato posto a sinistra, per lasciare libero lo spazio a destra per le video proiezioni, è appostato il danzatore Michele Calcari, nei panni di un agitatissimo Amleto, sempre di corsa.
Praticamente nudo sotto una pelliccia pesantissima che ricorda il celebre allestimento di Nekrosius di venti e passa anni fa, il giovane e tormentato si agita silenzioso per quasi tutto il tempo in una corsa affannata ma a conti fatti immobile, sul posto, che non di rado finisce in rovinose cadute.
La Lucenti sceglie per sè il ruolo di narratrice/padre, recita il dramma shakespeariano nella felice riscrittura opera di Carlo Galiero.
Un padre al femminile, un ragionamento ampio sul rapporto filiale, visto in una sequenza di immagini-testo che alternano il classico a una sorta di diario delle memorie vissute in una famiglia d’oggi, di scorticante periferia, e che si sofferma sulle contraddizioni del passaggio di testimone con il proprio genitore.
“T’ho cresciuto con carne polacca” dice a un certo punto per bocca della performer questo padre, quasi a volersi scusare di non aver potuto fare di più per il figlio, ben lontano dall’ideale sovrano di Danimarca.
L’opera shakespeariana viene condensata nell’incontro fra il giovane principe e l’omonimo fantasma paterno, che nella scena quinta del primo atto gli rivela di essere stato assassinato e chiede al figlio di vendicarlo. La Lucenti, sanguinante da un orecchio a ricordare l’avvelenamento raccontato nella tragedia, gioca con la componente mascolina del suo sembiante, indossa baffi postici per dar vita ad un’esasperata ma funzionale finzione scenica, volta in realtà a dare drammatica efficacia ad una serie di crude battute sulla famiglia contemporanea, sull’intensità della funzione accuditiva, sul sistema di proiezioni e aspettative che ogni rapporto genitore figlio è capace di incarnare. In questa ballad-perfomance si combinano due finali: uno, testuale, in dialetto bresciano stretto, che replica l’iconico monologo della scena prima dell’atto terzo, e uno danzato, in cui la Lucenti dà vita, qui per davvero, ad uno straordinario solo di pochi minuti, con un grande ventaglio, in cui sa giocare al limite fra danza, arte marziale, coreografia teatrale, mentre il suo contorno viene offuscato da una nebbia che inghiotte la visione.
La creazione cerca, anche grazie alla ricerca visuale con le video proiezioni e alla musica dal vivo che rappresentano il contributo degli altri artisti all’esito scenico, di raccontare l’indicibile del rapporto genitore figlio. La logica, in lavori come questo, può cogliere solo l’aspetto superficiale del detto, mentre tutta una serie di significati si sposta verso una richiesta, simbolica, di disponibilità dello spettatore ad accogliere l’esperienza, a generare in proprio una capacità figurativa originaria e ulteriore.
Ed effettivamente la sintesi e la pulizia dei segni giova a individuare in forma compiuta e dolorosa le questioni emotive profonde, che fanno affogare chi è in poltrona dentro poche ma inchiodanti battute, proferite dalla Lucenti con giochi di voce e mimica che per buona parte dello spettacolo sono l’unico codice fisico che porge al pubblico. La danza finale è dunque una rivelazione della sua fisicità integrale, l’apparizione del genitore fantasma, un archetipo psicanalitico verrebbe da dire, che affida al figlio la sua missione, una sorta di condanna ad essere, a diventare. E il ganglo psico-antropologico del ruolo filiale, la sfida che poi è di ciascuno, fra cadute e ritorni in posizione eretta, è proprio affrancarsi dall’oracolo familiare, dalla predestinazione, dalla silenziosa sentenza.
Dentro Hamlet Puppet, la tensione del giovane e fragile “pupazzello” padano, che puzza un po’ di allevamento e un po’ di dubbio “ambletico” testoriano, con il suo Essere o non essere recitato in dialetto lombardo, diventa tensione a doversi conquistare la propria identità: se poi ci arriva, da questo spettacolo non è dato sapere.
Chi resta in piedi, nella sua danza macabra, è il padre assente: e d’altronde in Shakespeare, si sa, muoiono sempre tutti, e il giovane e indeciso principino avrebbe magari preferito non venire a conoscenza, non doversi caricare del peso della missione vendicativa, lui già così instabile e malfermo di suo. Nella vita talvolta anche non conoscere può aiutare.
Ma come dice Carlo Sini in uno dei suoi testi più belli e difficili, Il sapere dei segni, “…genealogicamente, il sapere non ricostruisce e non restituisce la vita. Apre invece alla possibilità di vita ulteriore, collabora con essa, promuove le circostanze e l’occasione di una nuova aura. È il sapere che pone la differenza fra il vissuto, cioè il transito immediato, intemporale e indeclinabile, della vita, e il ricordato, che temporalizza la nostalgia del non ritorno”.
La danza finale della Lucenti vuole forse essere proprio un passaggio di testimone diverso fra il fantasma e il giovane, un segno d’arte, di nuova aura, appunto, ben diverso dal “vendicami!” shakespeariano.
Chissà se Amleto è capace poi di raccoglierlo, questo testimone.
Bello, breve e crudele.
KARNIVAL
regia e coreografia Michela Lucenti
da un’idea di Maurizio Camilli, Michela Lucenti, Emanuela Serra
drammaturgia Carlo Galiero
creato e interpretato da Fabio Bergaglio, Maurizio Camilli, Loris De Luna, Michela Lucenti, Alessandro Pallecchi, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Francesca Zaccaria
drum, percussioni e loop dal vivo Davide Senigaglia
drammaturgia musicale Valerio Vigliar
luci Stefano Mazzanti
assistente alla regia Ambra Chiarello
costumi Chiara Defant
scene Balletto Civile
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, TPE – Teatro Piemonte Europa, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Balletto Civile
HAMLET PUPPET
di e con Michela Lucenti
e con Michele Calcari, Paolo Spaccamonti
immagini Giorgina Pi
musiche originali Paolo Spaccamonti
disegno sonoro Tiziano Scali / Paolo Panella
supervisione Valerio Vigliar
disegno luci Andrea Gallo
assistente alla creazione Maurizio Camilli
coproduzione Balletto Civile – Bluemotion/Angelo Mai – Blucinque
in collaborazione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
con il sostegno di MIC
foto di Andrea Macchia