VALENTINA SORTE | Nel periodo da giugno a ottobre di quest’anno Vapore d’Estate, la programmazione estiva della Fabbrica del Vapore, giunta alla sua terza edizione, oltre ad animare la vita culturale milanese con proposte di grande qualità – tra concerti, proiezioni, performance e installazioni – ha provato a ritagliarsi un ruolo diverso all’interno del ricco palinsesto milanese. La Fabbrica desidera infatti diventare un vero e proprio luogo d’elezione per la cultura e l’arte a Milano, uno spazio comunitario e partecipato, abitato anche dalla collettività, oltre che dalle residenze artistiche (11 laboratori e un archivio).
Per questo, un’importante novità di quest’ultima edizione è stato il lavoro sinergico di un gruppo di concessionari chiamato dalla nuova dirigenza di Fabbrica del Vapore, recentemente passata sotto la Direzione Cultura del Comune di Milano, a progettare un allestimento site-specific per la Cattedrale, lo spazio più suggestivo e rappresentativo di tutta la struttura.
Studio Azzurro, Careof, Ariella Vidach-AiEP, Fattoria Vittadini e Contemporary Music Hub hanno concepito il progetto curatoriale ed espositivo You will find me if you want me in the garden per uscire fuori dagli spazi di creazione individuale e restituire una visione comune e corale sulla contemporaneità, una visione aperta a tutti.
A qualche settimana dalla chiusura della rassegna – al di là delle 5.000 presenze in poco più di 60 giornate di eventi – abbiamo chiesto ai suoi protagonisti e organizzatori di fare un bilancio personale di questa edizione. Ecco le risposte di Maria Fratelli, dirigente Unità Progetti Speciali e Fabbrica del Vapore, e di alcuni laboratori (Studio Azzurro, Careof, Ariella Vidach-AiEP, Fattoria Vittadini).
La Fabbrica del Vapore è un luogo cerniera: da una parte è un punto di riferimento per la formazione di giovani artisti e per nuove forme di produzione nel campo delle arti, dall’altro desidera diventare un luogo importante per la fruizione della cultura e dell’arte a Milano. È difficile coniugare queste due vocazioni?
Maria Fratelli (M.F.): Se Milano vuole diventare un centro di rilievo internazionale per l’arte contemporanea deve essere propositiva, deve cioè dare spazio e attenzione a quanto la città è in grado di attivare. Il progetto delle residenze artistiche è parte di questo programma che vuole fare di Fabbrica del Vapore uno spazio di incontro del contemporaneo. Artisti milanesi italiani stranieri devono riconoscere questo posto nella sua specificità. Qui devono essere proposte mostre significative proprio perché stimolanti in primis per gli artisti che devono sentire il luogo come una meta significativa.
Quali sono le tre parole con cui descrivereste la terza edizione di Vapore d’Estate?
Fattoria Vittadini (F.V.): Co-immersione, attraversamento, trasformazione.
Careof (C.O.): Un’evoluzione umana, politica, interspecie.
Studio Azzurro (S.A.): Sperimentale, intermediale, nomadica.
Ariella Vidach-AIEP (A.V.A.): immaginativa, tropicale, notturna.
M.F: Coraggiosa verde poetica.
Com’è stato co-abitare e co-progettare gli spazi della Cattedrale insieme alle altre realtà? Le nuove strategie di co-esistenza e le nuove alleanze immaginate dalla mostra “You will find me if you want me in the garden” sono state anche le vostre?
C.O.: La coprogettazione è parte del nostro abitare la Fabbrica del Vapore. La mostra You will find me if you want me in the garden è stata l’occasione per rendere evidente ed esplicita – a un pubblico più ampio e crossdisciplinare – l’attività di ricerca che quotidianamente e strenuamente i laboratori conducono.
S.A.: È un’esperienza in cui speravamo da molti anni. È arrivata quando era pressoché inattesa ed è stato letteralmente straordinario provare a pensare insieme a un progetto che potesse accordarsi allo spazio di Cattedrale e che potesse anche riverberare le attività di ricerca presenti in Fabbrica del Vapore.
A.V.A.: Abbiamo desiderato fortemente riprendere uno spazio che sentivamo nostro, offrire un accesso a quello che si produceva nel lavoro quotidiano ma anche lasciarci guardare e osservarci allo stesso tempo. Abbiamo accolto una visione comune che ha preso corpo, siamo diventate un noi, abbiamo immaginato una casa, una serra, un campo, un’oasi dove fare coesistere le pratiche e le forme di questo abitare.
F.V.: Il co-housing in Cattedrale ci ha riportate a quella dimensione di coabitazione milanese dei nostri vent’anni. Appartamenti condivisi da creativi dei diversi settori, in cui spesso sbocciavano germi di nuovi progetti artistici, sui quali poi ci si confrontava in soggiorno o condividendo il pasto. Co-abitare rende la contaminazione più semplice, lasciarsi attraversare dall’altro, dagli altri ha così un luogo possibile. E così è accaduto in Cattedrale.
Dal vostro punto di vista, qual è il bilancio finale di questa terza edizione?
M.F.: Il bilancio è positivo perché le relazioni tra i concessionari che hanno ideato questo festival e l’Amministrazione si sono saldati. Il Comune di Milano ha visto il potenziale di Fabbrica del Vapore e ha deciso di investire risorse in un progetto in divenire. Serve tempo per entrare stabilmente nel calendario degli appuntamenti dei cittadini, serve tempo per guadagnare autorevolezza. Servirà aprire il palcoscenico a molteplici realtà territoriali dello spettacolo, probabilmente partendo per tempo con un avviso pubblico, così che le attività di Fabbrica siamo sempre più curiose e aperte alla città in modo dialettico, mettendo sempre in risalto le grandi competenze dei soggetti che già operano nel luogo.
F.V.: Un’edizione ricca, piena di attività e di risorse in cui gli enti che coabitano Fabbrica del Vapore hanno avuto la possibilità di approfondire ulteriormente la condivisione di luoghi e visioni comuni. Modalità di lavoro che è iniziata già negli anni passati ma che ha certamente bisogno, per poter ampliare l’offerta e il raggio di azione, di un lavoro ancora più capillare che includa maggiormente la relazione con le comunità vicine a Fabbrica del Vapore.
A.V. A.: Ha rappresentato un nuovo punto di partenza, carico di energie, di entusiasmi ma anche di difficoltà legate ai tempi di creazione eccessivamente ridotti. Dovremmo dire dei no, sottrarci al nostro stesso desiderio, forse.
Vero è che, con il passaggio alla Cultura, è stata offerta una grande opportunità: quella di ripensarci come corpi collettivi, come sistemi interdipendenti all’interno di un corpo architettonico pulsante.
C.O.: Il bilancio finale è sicuramente positivo in termini di incremento di pubblico, sinergia interna e con la nuova responsabile della Fabbrica del Vapore, la dott.ssa Maria Fratelli. Inoltre, l’arrivo in corsa del Project Manager Alessandro Bollo fornisce un’ulteriore rassicurazione sull’attenzione e l’investimento che la P.A. sta mettendo su un luogo dal potenziale unico come la Fabbrica del Vapore. Aspetti che andranno incrementati sono la programmazione e i tempi di progettazione che faciliteranno una comunicazione diffusa e massiva delle attività svolte e offerte all’interno di Fabbrica.
S.A.: Il grande valore di questa edizione è stato, a nostro avviso, il tentativo di connettere gli spazi di Fabbrica attraverso i segni di un giardino. Un giardino inevitabilmente soltanto accennato, che però fosse una presenza sufficiente per invitare le persone a inoltrarsi in Fabbrica e a indovinare percorsi e collegamenti non solo tra gli spazi, ma anche tra i linguaggi e tra le proposte con cui questo luogo può spesso sorprendere.
Considerando il bilancio di questa edizione di Vapore d’Estate, quali sono le prospettive per la Fabbrica del Vapore?
M.F.: Penso alla nave a vapore di Fitzcarraldo e alla montagna di Herzog. Progetti di questo tipo necessitano di tenacia e di tempo, possono godere della scorciatoia del denaro, ma penso che le cose più durature siano proprio quelle che si fanno strada con coraggio.
Dobbiamo partire dalla rottura del perimetro che la divide dalla città, dal benessere che trova nel verde il tema programmatico del rinnovamento, dalla storia del luogo che trova nella Fabbrica la prima opera di cui avere cura, perché rappresenta pienamente la storia di Milano e dunque procedere nel rigoroso rispetto nella mission assegnata e degli obiettivi fissati.
Vorrei un giornale di Fabbrica per dare subito una dimensione culturale, etica e poetica tangibile di questo luogo, anche molto lontano dalle sue mura.