MATTEO BRIGHENTI | Il qui e ora è un colore della voce, è un tono dello sguardo. Bastianazzo è un personaggio. Esiste solo dentro I Malavoglia di Giovanni Verga e vive solo negli occhi di chi lo legge. Non è reale. Se adesso è davanti a noi, come è davanti a noi, se è davvero sul palco del Teatro di Cestello, a Firenze, è perché è vero il nostro incontro con Michele Santeramo durante Il Respiro del Pubblico, il festival di Cantiere Obraz. La verità fondativa della scena è scegliere di ritrovarsi e di rimanere l’uno di fronte agli altri. È uno stare che pretende e fa in mondo che il dire sia vero e che, a un tempo, il vero sia dire.
Bastianazzo è una semplice lettura a leggio, che però ha lo straordinario potere di farci riconoscere tutto il senso del teatro. Dell’amore che dà, come della solitudine che cura.

Michele Santeramo

Il percorso di scrittura è stato lungo. È cominciato con Di Malavoglia, che abbiamo visto a Trasparenze a Gombola, Modena, più di un anno fa. Dal festival del Teatro dei Venti è arrivato, in continuità, alla versione definitiva di oggi. Nel frattempo, però, Bastianazzo è diventato il primo di tre lavori di un ciclo intitolato Fantasmi, di cui fanno parte anche Gennaro Jovine da Napoli milionaria di Eduardo De Filippo e Riccardo III da William Shakespeare, entrambi al debutto a Livorno per il Deep Festival. La ragione teatrale ora come ora necessaria per Santeramo è quella di scarnificare la scena, di riportarla appunto al suo senso, dunque alla sua essenza, al grado zero di un copione – un interprete – un pubblico.
A essere attenti e precisi, lui al microfono non dice il testo – a oggi il suo più caldo, intimo e sentito; piuttosto, si fa dire da esso, si fa pervadere dalla vita che contiene, lasciandola fluire attraverso il suo corpo, e lasciandosene stupire lui per primo. Si sottrae.
Per questo, può parlare in nome e per conto di Bastiano, l’unico figlio di padron ‘Ntoni, chiamato Bastianazzo «perché era grande e grosso – scrive Verga – quanto il San Cristoforo che c’era dipinto sotto l’arco della pescheria della città»: anche lui si mette tra parantesi, anche lui decide di accettare che le cose siano come siano.

La scena. Foto di Thomas Harris

Ben prima che esca in mare con la Provvidenza e che trovi la morte, infatti, Santeramo si immagina che Bastianazzo inciampi, cada, e che lì dove è caduto scelga di restare. L’esistenza è ormai una serie infinita di problemi, non viviamo più: ci preoccupiamo. Chi può saperlo meglio di un Malavoglia? Rimanere fermi, allora, significa accogliere dentro sé l’imprevisto e l’imprevedibile, significa guardare la vita attraverso quello che c’è e che, soprattutto, non si può cambiare. La pace che si ottiene è fare una pausa, come dice Guillaume Apollinaire, «nella nostra ricerca della felicità, ed essere semplicemente felici». Perché semplicemente vivi.
Bastianazzo, dunque, ci chiede di ripartire da noi stessi, perché non c’è niente di sbagliato, niente che non va in noi. Ci invita a essere, invece che a fare. In questo sta la sostanziale differenza con un suo parente stretto, Il Nullafacente: Bastianazzo non vuole rivendicare la sua diversità dal mondo, vuole anzi rivelarci che è esattamente come noi. Così, la punteggiatura del testo è una continua apertura al dialogo con spettatrici e spettatori. «È successo anche a te?». «Perché non lo fai?»; soltanto che noi rimaniamo in silenzio, non solo per lo sconvolgimento che ci procurano le parole terrigne e ariose di Michele Santeramo, ma anche perché ci siamo dimenticati chi siamo. Ci siamo dimenticati che la vita non si guida: si vive, e basta.

Il pubblico. Foto di Thomas Harris

Dopo il racconto, stavolta su uno sgabello, di due Malavoglia contemporanei – il migrante con le ferite della sua fuga, il pendolare con i segni del suo lavoro – Bastianazzo ci scuote quindi con la sua seconda, definitiva immagine-specchio: l’uomo in mare. Il naufragio della Provvidenza incombe dall’inizio, ha forza fisica e tenacia morale pari solamente al nostro protagonista. Ora, comunque, è un orizzonte che riguarda tutte e tutti. Siamo uomini in mare, ci sbracciamo per essere visti, credendo di condurre in salvo la nostra vita. O meglio, questa che chiamiamo “vita”, ossia le nostre braccia che si agitano e ci mandano a fondo più velocemente. Viviamo per dopo, ma non siamo vivi per adesso.
Essere vivi vuol dire essere consapevoli. Quando è stata l’ultima volta che abbiamo fatto caso, per esempio, al nostro respiro? Eppure, è sempre con noi, è una presenza discreta, che stravolge, però, famiglie intere quando viene a mancare. Proprio come Bastianazzo, il cui corpo non è mai stato ritrovato.
Fino ad ora: Santeramo lo ha strappato alla profondità del mare e della letteratura, inventandolo su questo palco per ricordare di non dare niente per scontato. Soprattutto, di non darci per scontati. Siamo soli, sì, ma soli insieme.


BASTIANAZZO
di e con Michele Santeramo
in collaborazione con Alessandro Brucioni
produzione Mowan Teatro
con il sostegno della Regione Toscana

FANTASMI
è un progetto di Michele Santeramo e Pier Giorgio Cheli
in collaborazione con Alessandro Brucioni

26 novembre 2022 | Teatro di Cestello, Firenze