CHIARA AMATO | Il Teatro della Contraddizione di Milano è uno spazio molto raccolto, composto da un foyer e una sala piccola e spartana nella sua struttura, posta sotto il piano stradale. Non c’è per questo allestimento una gradinata vera e propria per le sedute, e la scena, collocata a livello degli spettatori, permette un’immersione totale nell’azione teatrale, senza mai una distanza mediatrice. La Compagnia e Associazione Culturale, diretta da Marco Maria Linzi, è sempre stata dedita alla creazione di spettacoli di teatro di ricerca e allo sviluppo di una scuola teatrale, fino ad aprire nel 2000 questa sede nella zona di Porta Romana.
In questa cornice, e nella rassegna IN CONTRODANZA curata con Mowlab/il filo di paglia, debutta in Italia per solo due date lo spettacolo The Eclipse of Reason di Allen’s Line, con la direzione di Julyen Hamilton. L’artista britannico, da oltre quarant’anni, oltre ad essere performer dei suoi spettacoli, insegna danza ed è dedito alla poesia, cercando di fondere questi aspetti nelle sue creazioni, utilizzando una generosa dose di improvvisazione.
Nella scena totalmente nera sono posizionati sulla sinistra cinque bastoni che pendono dall’alto, mentre sulla destra, a terra, sono poste quattro stoffe di diverse fantasie e cinque pennarelli colorati. Sparsi nello spazio i cinque danzatori che partecipano all’azione scenica (Paolo Cingolani, Claudia Pelliccia, Barbara Pereyra, Maya M. Carroll, Julyen Hamilton) sono circondati da una luce molto calda che proviene da faretti laterali.
I costumi sono estremamente scarni e neri, ma un dettaglio appare già non trascurabile: le tre donne indossano ognuna, sotto la camicia semiaperta, un top di diverso colore (giallo, rosso e verde) che ritorna poi durante l’esibizione.
Altra caratteristica che contraddistingue la creazione è che siamo in assenza di elementi musicali: gli unici rumori percepiti sono dati dai movimento in scena dei piedi e dai suoni emessi dalla bocca dei protagonisti.

La rappresentazione non ha una vera trama né un protagonista, ma realmente fa emergere l’abilità collettiva di creare una drammaturgia fisica, frutto di un evidente lavoro di gruppo molto intenso.
I cinque performer iniziano a fare piccolissimi movimenti, che esaltano per un verso la forte padronanza del corpo e per altro l’uso dell’improvvisazione. A sottolinearla, gli scambi fra loro, di tono confidenziale: ‘What are you doing? Non ne ho idea!’, ‘Mi piace quello che sto facendo, posso continuare?’, ‘How do you feel now?’ al quale la risposta è sempre diversa. Si danno reciprocamente feedback su ciò che accade in maniera estemporanea e, sembra, sincera per poter proseguire.
I gesti diventano più ampi restando comunque precisi, quasi sacrali, e ricordano le movenze dei samurai con le loro katane.

Entra poi in gioco un ulteriore elemento piuttosto presente nelle performance della compagnia: il suono. Iniziando come un respiro difficile, un solfeggio di vocali, un rantolo dolorante, un bisbiglio tramandato da orecchio a orecchio, e infine si fa parola. Le frasi e i pochi dialoghi sono scollegati fra loro e utilizzano lingue diverse: popolano la scena battute in inglese, monologhi brevi in italiano e canti in spagnolo.

Vengono anche “simulati”, in gesti a tratti criptici, appena accennati e lasciati intuire al pubblico, due passaggi della vita umana: si assiste ad un matrimonio e un parto.
In corrispondenza di questi momenti iconici e rituali, gli interpreti si dipingono il volto l’un l’altro in successione, con i pennarelli, e torna il collegamento fra ciò che le donne indossano e la colorazione ricevuta. L’ironia iniziale, presente soprattutto negli scambi fra Hamilton e Cingolani, e poi nell’interpretazione di galline in un’aia, regalata dalla Pereyra e dalla Carroll, lascia il posto ad un tono diverso nelle parole della Pelliccia, che recita in maniera ossessiva la battuta, come fosse un versetto sacro, ‘che dolore ogni singola piccola lacrima che cade’.
Cambiano anche le luci, diventando rosse da un lato e calde e diradate sullo sfondo.
In epilogo annunciano di aspettare una guida in questo momento storico, e finalmente si rende più chiara l’eclissi della ragione dei nostri tempi con lo sputo finale che segna ‘la fine del futuro’.

Il lavoro svolto da Allen’s Line è sicuramente di ricerca e fortemente poetico, restando delicato ed elegante anche nelle parti più prettamente comiche. Il carisma della personalità di Hamilton rompe la distanza con il pubblico, che risponde alle sue battute. Si sente quasi un rapporto di diretta ammirazione fra i presenti in sala e l’artista, come spesso solo fra addetti ai lavori purtroppo accade, nel mondo della danza.
La sensazione che domina è quella di assistere a qualcosa di forte da un punto di vista emozionale, rituale, e che non si muove sul piano prettamente logico. Forse perché il razionale ha legami con la parola, che qui si scompone e ricompone senza senso ovvio, alla mercé della poetica del suo vate.
Ricorda a tratti la ricerca poetica su parola e suono di Zanzotto, quella battaglia combattuta ai confini del linguaggio: dove si inventa una lingua difficile e unica, dove innovazione e tradizione convivono in modo fertile e paradossale, dove infine si viola e spezza il quotidiano rapporto tra significato e significante per far emergere un significante quasi trascendentale, alla ricerca di una lingua ed espressione poetica che dica ciò che normalmente non si può esprimere.
In Eclipse of Reason ciò accade su tre livelli artistici diversi: nella danza, nella poesia, nella recitazione, raggiungendo un livello di ermetismo che consente, ai più, una pura ammirazione estetica, dove estetica è inteso alla greca, come esperienza sensibile del bello.

 

THE ECLIPSE OF REASON
ALLEN´S LINE – the Julyen Hamilton Company
Testo, coreografie, scenografia: ALLEN’S LINE
Direzione: Julyen Hamilton
Interpreti: Paolo Cingolani, Claudia Pelliccia, Barbara Pereyra, Maya M. Carroll, Julyen Hamilton