EUGENIO MIRONE | Chi è un po’ avvezzo all’utilizzo di internet saprà quanto ormai sia facile incappare in pubblicità che mostrano come guadagnare soldi in maniera facile e veloce. I social pullulano di “guru” della finanza che dalle loro suite nei più lussuosi hotel di Dubai si propongono di svelare i segreti del trading online a patto di iscriversi a video corsi estremamente costosi. Viviamo nel mondo dell’economia e dei mercati, anche se a scuola ai ragazzi di educazione finanziaria non viene insegnato nulla (ma questo è un altro discorso).
Proprio questo mondo, dove imperano incontrastati cinismo e arrivismo, è il bersaglio della riflessione proposta in chiave satirica de Il colloquio – The assessment. Abbiamo già avuto modo di assistere al lavoro diretto da Marco Grossi, in veste di drammaturgo regista e attore della pièce, nella partita giocata in casa dalla Compagnia Malalingua presso il Teatro Kismet di Bari (qui la recensione su PAC). A un anno esatto di distanza abbiamo preso parte nuovamente al rito della compagnia pugliese svoltosi al Teatro Sala Fontana, curiosi di osservare l’effetto della riproposizione di un testo dissacrante nei confronti del mondo dell’economia nella capitale italiana della finanza, Milano. Il risultato ha dimostrato quanto ancora il teatro sia in grado di entrare in dialogo con le persone.
Di seguito verrà fornito un breve resoconto della trama in modo tale da lasciar spazio a osservazioni su alcuni elementi dello spettacolo. Per quanto concerne la descrizione più dettagliata degli avvenimenti si rimanda alla nostra analisi precedente.
La vicenda si svolge nella stanza d’ufficio di un’azienda, la I&C come indicato dalla scritta tridimensionale in proscenio. Sei candidati, che rappresentano varie tipologie della stratificazione sociale, attendono nervosamente l’ingresso del loro esaminatore o recruiter.
Il pretesto drammaturgico è un colloquio per un posto di lavoro che presto degenera in un crescendo grottesco e parossistico di violenza. Il comico diviene lo strumento per una sottile riflessione sulle dinamiche di un mondo in cui i rapporti umani sembrano saltati completamente. Il risultato è una parodia amara e dissacrante, dalle tinte fosche tipiche della commedia anglosassone.
Si è già sottolineato nel precedente contributo come uno dei punti di forza del testo sia rappresentato dal linguaggio, fattore centrale per la buona riuscita del meccanismo comico. Nelle bocche dei personaggi de Il colloquio i termini del Business English Vocabulary si alternano al turpiloquio, quello che viene a crearsi è un colorito pitturato linguistico composto in maggioranza dai vocaboli dell’aziendalese quali delivery, know how, briefing, standing ecc. L’italiano s’impasta con l’inglese, il linguaggio d’impresa viene così enfatizzato al massimo grado con effetti comici esilaranti.
A questo proposito è interessante considerare un fatto geografico: di fronte a questo fenomeno linguistico sempre più diffuso il pubblico barese può essersi sentito estraniato in virtù di una realtà più coloritamente identitaria. Nella realtà pugliese a risaltare infatti è stato lo scontro pasoliniano tra linguaggio tecnico scientifico e dialetto (o dialetti) parlato nello stivale d’Italia; in una città internazionale come Milano l’effetto ottenuto è quello opposto, perché mediamente lo spettatore meneghino si riconosce nel gergo aziendalese; di conseguenza è possibile che il coinvolgimento nel meccanismo parodistico sia risultato maggiore.
L’impostazione scenica invece non sembra aver subito cambiamenti. La scena costruita da Riccardo Mastrapasqua si basa su due elementi principali: il lungo tavolo dove si svolge il colloquio circondato da sedie di Kartell trasparenti – e l’enorme parete bianca, forata da una lunga finestra, che delimita trasversalmente il palco sulla destra. Nella finzione testuale gli uffici della nuova sede aziendale sono in fase di completamento, questo spiega la scenografia da industrial loft in cui scatoloni, mobili di design e oggetti sono sparsi e poco connessi tra loro.
L’ambiente confusionario riflette il caos in cui presto precipitano gli avvenimenti, eppure, proprio a causa della febbrile concitazione della vicenda, l’effetto ottenuto è quello di disperdere l’attenzione dello spettatore disorientato dai numerosi input visivi e uditivi che lo attraversano.
A ristabilire un po’ di ordine ci pensano i costumi che, in sintonia con una prova corale del cast convincente ed energica, danno forma a personaggi stereotipati ma credibili della società contemporanea. È il caso di dirlo: l’abito fa il monaco perché sul palco si riconoscono con estrema facilità i caratteri della commedia dell’arte economica moderna.
Durante il colloquio il nervosismo prende il sopravvento, nella prima fase di presentazione i candidati scalpitano per vendere al meglio la loro persona. Sono gladiatori in un arena dove ci si sgambetta e si tendono trappole in continuazione. I toni sono volutamente sopra le righe ed è forte l’odore della falsità. Lo dimostrano le relazioni tra i candidati.
A causa dello stress, più personaggi nel corso della pièce sono portati a chiedere di non essere toccati. Questo semplice elemento è una spia che mostra come non ci sia più spazio per il contatto umano ed empatico. Ci si limita a qualche stretta di mano, ma è solo cortesia ipocrita ed esibita perché in ogni rapporto è latente il desiderio di prevalere sull’altro. Ogni interazione o non è vera oppure conduce a esiti negativi: l’apoteosi è la bottiglia spaccata in testa al manager da uno dei candidati, il colpo di scena che fa degenerare la pièce nel caos finale.
Nella sequenza che conclude la vicenda la realtà si trasforma in un business game. Dopo aver scoperto gli abusi sessuali nei confronti del recruiter da parte del manager e aver messo quest’ultimo fuori gioco, ai candidati vengono dati una decina di minuti per un ultimo lavoro di problem solving: come uscire da questa situazione avendo salva la propria carriera?
Il crudo spettacolo finale è il cuore del testo e ha una durata piuttosto considerevole. Sebbene la tensione sia tenuta ai massimi livelli dall’intensità della recitazione degli attori, l’attenzione dello spettatore rischia di essere dissipata per un duplice fattore: il finale della pièce è una sequenza da cardiopalma, estremamente denso di azione, e a renderne difficoltosa la fruizione è il fatto di trovarsi in successione a un altrettanto corposo blocco centrale. L’impressione è che verso la fine i fili della trama vengano intessuti un po’ a fatica. Un miglior equilibrio tra le parti consentirebbe di ottimizzare al massimo il ritmo della drammaturgia.
Sono piccole sottigliezze di un lavoro che già in questa forma entusiasma, ne è la prova il riscontro positivo del pubblico. Marco Grossi conduce sette bravi attori in un mondo di squali popolato da giovani laureati con il massimo dei voti che aspirano solamente a raggiungere lo status di vita dei loro modelli, da Warren Buffett a George Soros.
Lo spettacolo acquisisce una particolare risonanza nella città meneghina perché intercetta il desiderio di Milano, in seguito alla Brexit, di diventare la nuova capitale finanziaria d’Europa. All’uscita dal teatro, tra le voci di un gruppo di colleghi si distingue il commento di una ragazza che esclama con ironia: “proprio come la nostra azienda!”. Questa è la prova di come il teatro sia ancora uno strumento efficace in grado di parlare alle persone, anche a coloro che appartengono a un mondo apparentemente così distante.
In una società capitalista in cui sembra che le leggi dell’economia stiano sovvertendo dall’interno il tessuto sociale, la sfida per la Compagnia Malalingua sarebbe quella di spostare il focus dal distretto finanziario a un ambiente quotidiano per osservare gli effetti che la mentalità della competizione sta avendo nella vita di ogni persona. Di fronte all’indifferenza che dilaga, la società sembra chiudere gli occhi, il teatro non può permettersi di fare lo stesso.
IL COLLOQUIO – THE ASSESSMENT
Di Marco Grossi
Con Augusto Masiello, Giuseppe Scoditti, Fabrizio Lombardo, Alessandra Mortelliti, William Volpicella, Valentina Gadaleta, Marco Grossi, Alessandro Anglani
Scene di Riccardo Mastrapasqua
Luci Claudio de Robertis
Produzione Teatri di Bari e Malalingua
Testo vincitore del Bando SIAE “Per chi crea” sezione Nuove Opere
Teatro Fontana, Milano | 1 dicembre 2022