RENZO FRANCABANDERA | Il Dramma Italiano di Fiume è la compagnia di prosa di lingua italiana del Teatro nazionale croato Ivan de Zajc di Fiume (Hrvatsko Narodno Kazalište Ivana pl. Zajca, Rijeka), fondata nel 1946 e di cui fanno parte anche il Dramma Croato, l’Opera e il Balletto. È un simbolo per la comunità italiana ancora presente in Croazia e Slovenia, seppur meno consistente rispetto a quando l’Istria e la Dalmazia erano territorio italiano.
L’istituzione ha una propria autonomia culturale ed economica.
Dopo essere stato salvato dalla chiusura nel 1956 dalla direzione artistica di Osvaldo Ramous, il Dramma italiano ha mantenuto sempre una vivace programmazione in dialogo con i protagonisti della cultura italiana contemporanea, invitando alla collaborazione registi e artisti, chiamati a varcare il confine a Trieste e attraversare prima un pezzettino di Slovenia e poi a entrare in Croazia per raggiungere Rijeka (o Fiume come la città si è chiamata fino al 1947, quando con i Trattati di Parigi fu ceduta all’allora Jugoslavia).
Il compito principale del Dramma Italiano di Fiume è quello di tenere viva la lingua italiana e la sua cultura in una realtà oggi a grande maggioranza croata, costruendo ponti sia verso questa più ampia popolazione di lingua croata che abita la regione, che verso l’Italia e la Mitteleuropa.
Su questa direttrice di movimento e guardando con sempre maggiore attenzione all’evoluzione del linguaggio scenico nella contemporaneità, Settimo sta costruendo con intraprendenza il suo mandato di direzione della Compagnia Giulio Settimo, che ha inteso chiamare a collaborare interessanti figure della produzione della scena contemporanea italiana.
Triestino classe 1989, diplomatosi all’Accademia delle Arti di Osijek nel 2011, è stato coordinatore della programmazione di teatro ragazzi de La Contrada del capoluogo friulano; ha poi collaborato con molti teatri croati fino ad assumere questo ruolo così peculiare di direzione, pur così giovane: qualcosa che in Italia, nazione generalmente a vocazione gerontofila nell’individuazione delle figure manageriali per le istituzioni culturali, possiamo solo sognare!
Settimo è convinto che l’apertura culturale verso il dialogo con le realtà di prossimità, seppur a volte penalizzato dalla barriera economica, dal differenziale del costo del lavoro, possa arrivare a realizzarsi grazie all’intensità artistica e all’elaborazione poetica, che si vuole facilitare collaborando con figure in grado di sviluppare questi ponti e portare la compagnia a nuove sfide artistiche.
Sono state scelte negli ultimi anni, in questa prospettiva, personalità in grado di esplorare il linguaggio della scena nel suo evolvere e sicuramente Marco Lorenzi, regista della compagnia Il mulino di Amleto, è fra questi.
Dopo le date l’anno passato in Friuli di Festen, spettacolo della compagnia di cui Lorenzi è regista, si è creato un gancio con l’istituzione istriana per una collaborazione volta alla realizzazione di un lavoro che portasse in scena un autore lì particolarmente amato, Luigi Pirandello.
Enrico IV è uno dei testi emblematici della poetica del drammaturgo siciliano, è uno dei pochi titoli dell’autore che finora non era stato ancora programmato e affronta, come altri testi scritti nello stesso periodo dallo scrittore premio Nobel, il tema della vita recitata, del teatro che non ha luogo sul palcoscenico ma nell’esistenza di tutti i giorni.
La vicenda, come noto, racconta di un nobile del primo ‘900 che prende parte ad una cavalcata rievocativa in costume, nella quale impersona l’imperatore Enrico IV di Franconia.
Alla rievocazione partecipano anche Matilde Spina, di cui è innamorato e il suo rivale in amore. Quest’ultimo disarciona Enrico IV, il quale nella caduta non muore ma, battendo la testa, impazzisce e si convince di essere realmente il personaggio storico che stava impersonando.
Per anni questa credenza viene assecondata dai servitori della famiglia che creano attorno all’uomo una corte dei miracoli pronta, a chiamata, alla perenne recita in costume di sfiancanti rievocazioni storiche.
Questo stato cristallizzato viene rotto da due eventi: uno noto, che è la visita, organizzata da uno psichiatra che ha preso a cuore il caso, da parte di Matilde (oltre del suo marito Belcredi e della loro figlia Frida) al fine di ricostruire teatralmente il momento dell’incidente e restituire la memoria all’uomo. Il secondo, che è il colpo di teatro che si svelerà solo più avanti, è il fatto che in realtà il presunto Enrico IV nel frattempo ha riacquistato la coscienza, pur avendo scelto di mantenere in piedi la recita per non dover fare i conti con la realtà della sua vita trascorsa in questo stato infelice e finto.
L’adattamento, curato da Lorenzi insieme al drammaturgo Lorenzo De Iacovo, con cui da anni collabora, si ambienta nella scatola scenica progettata con acume da Diana Ciufo, che ragiona proprio sull’esaltazione emblematica del tema della rappresentazione, in primo luogo ricorrendo ad una partizione dello spazio scenico da sit-com, realizzata tramite una piccola architettura a forma di parallelepipedo posta alla sinistra del palcoscenico, dove prende avvio l’azione scenica.
Dentro questa, ripresa da una telecamera in primissimo piano che ne proietta i volti a tutto schermo in alto sulla scena, c’è la coppia (Matilde, interpretata da Leonora Surian Popov e Belcredi, Mirko Soldano, attori di esperienza della compagnia) che discute con una la psicologa (Ivna Bruck) della possibilità di incontrare il protagonista della vicenda (impersonato da Aleksandar Cvjetković, dalla significativa presenza scenica).
Concluso questo prologo, si alza la grande separazione, il sipario sul quale era proiettato il video, le pareti della stanza prefabbricata vengono smontate in diretta dalle maestranze del teatro e si apre un grandissimo ambiente vuoto.
Alla destra è posto un camerino mobile per attori come quello che si trova in molti teatri italiani, con le sedute e gli specchi affiancati e contornati dalle lampade per il trucco.
Quelle che erano le pareti della stanzetta vengono spostate e diventano un grande separé, che rievoca quasi un tram e che divide lo spazio aperto del palcoscenico in due parti, che comunque restano comunicanti, permeabili e mobili: sono emblematici del rapporto fra il visibile e il nascosto.
Anche l’inconscio trova una sua geografia, dentro un’ulteriore stanza che in talune occasioni si apre a fondale, illuminata da luci acide ora blu Dodger ora verde lime, quasi disvelamento di abissi della psiche.
Le pareti di fondo non sono quelle della scatola scenica ma un fondale trapezioidale grigio, dalla portata cromatica quasi museale, che vede in fondo sulla sinistra la presenza a parete di un quadro che raffigura una donna in abito rosso (la Matilde in costume da giovane).
In realtà si tratta di uno schermo al plasma che proietta un video che, quasi fosse un ritratto di Dorian Gray, o un’opera di Bill Viola, evolve lentissimamente e in maniera impercettibile da uno stato a un altro, narrando la transizione fra la gioventù e la maturità della protagonista Matilde, la quale ritorna nella vita del suo primo amore a distanza di tanti anni, insieme alla figlia, Frida, come da drammaturgia le rassomiglia in modo impressionante.
Quindi questo quadro, nell’allestimento di cui parliamo, cambia lentissimamente, e raffigura a inizio spettacolo l’attrice che impersona Frida, cui Ana Marija Brđanović regala un sembiante perturbante e fragile.
La riscrittura mantiene l’ispirazione alla vicenda pirandelliana, sebbene la densità psicanalitica della scrittura originaria qui evapori, a favore di una transizione più sbilanciata nella direzione della platea, in un testo che cerca una contemporanea briosità.
A conti fatti, e viste le reazioni del pubblico a fine spettacolo, l’operazione riesce, consentendo al riadattamento di avvicinarsi alla comunità non solo tramite una parola di tono più ironico, ma anche cercando quasi un dialogo geografico, che si risolve sia in alcune battute che esplicitano il legame con questa terra, sia negli inserti video che sono in alcuni casi ambientati nella cittadina di Fiume.
La componente video affidata a Edoardo Palma ed Emanuele G. Forte, si vuole porre in relazione con il mentale inesprimibile del protagonista della vicenda e cerca in qualche modo di raccontare ciò che gli si è fermato nella memoria, una cristallizzazione anche estetica, che si sostanzia, nel lavoro dei videomaker, in un tuffo nel codice filmico agli anni ‘80.
Così gli inserti video, e in particolar modo il terzo che rievoca la love story in gioventù fra Enrico IV e Matilde e in cui tale scelta stilistica appare più leggibile, guardano il mondo come lo avrebbe potuto guardare un tardo adolescente di trent’anni fa, uno di quelli che guardava Video Music e i primi filmini da cassetta delle TV locali.
La vicenda qui vira nell’adattamento su un taglio più sentimentale giocando proprio sul momento icastico dell’incontro fra il protagonista e la sua antica compagna, in presenza del marito di lei, fino al bacio appassionato con la figlia che di Matilde rappresenta l’incarnazione della gioventù immortale.
La potenza dell’agnizione finale, della rivelazione che l’uomo ha recuperato da tempo la memoria, e che quindi il dentro e il fuori della recita, del teatro, sono una membrana permeabile, viene compiutamente realizzata dal regista con una felice trovata: Enrico IV scende dal palcoscenico, costeggia i bordi la platea, esce da una porta laterale attraversando i corridoi e il foyer il teatro, per portarsi verso l’uscita e varcarne la soglia, seguito da una telecamera che lo riprende.
Appena uscito, la nevicata che fino a quel momento era sul palcoscenico, a raccontare la gelida farsa della rievocazione delle vicende di Canossa, si trasferisce fuori, in quella che al pubblico appare la realtà vera, la piazza della città in quel momento.
Ma cosa è vero davvero? Sono molti i momenti dello spettacolo in cui si gioca sulla falsa percezione, ricorrendo alla proiezione video. Capita in un’altra occasione quando un medico, ripreso di spalle e proiettato a video sullo schermo gigante, pontifica sulla situazione dei pazienti e della verità nella comprensione: ma anche in quel caso si tratta di una registrazione artefatta.
La regia gioca su questo doppio binario con grande intelligenza e viene assecondata dalle maestranze, tanto nella scrittura architettonica quanto in questo uso intelligente della camera in scena, che diviene funzionale al tema della rappresentazione, del credere o non credere a quello che si vede.
La verità è invisibile agli occhi e quello che vediamo spesso è quello che vogliamo vedere e non quello che è.
La sfida della direzione artistica del teatro e della regia, di provare a introdurre un codice stilistico nuovo nella pratica della compagnia (in scena ci sono anche Giuseppe Nicodemo, Andrea Tich, Serena Ferraiuolo,Stefano Maria Iagulli e Deni Sanković), trova in questo spettacolo un significativo passo in avanti verso il dialogo con il post drammatico.
Il recitato si spinge visibilmente verso questa ambizione di codice, un luogo dello stare in scena molto complesso, che le regie di Lorenzi indagano portando gli attori dentro un vortice caotico, in cui le umanità cercano la loro identità senza mai trovarla.
È quello che succede in fondo anche in Amleto, protagonista iconico non solo del nome della compagnia di Lorenzi ma anche di un piccolo cammeo drammaturgico in cui il celebre monologo dell’Essere o non essere viene riproposto, a esaltare quell’amore profondo per il teatro come momento di indagine per l’essere umano al bordo fra la vita e la morte.
Si apprezza quindi nell’allestimento lo sforzo degli attori di provare a indagare un codice espressivo finora meno battuto e foriero di possibili interessanti soddisfazioni, oltre che di avvicinamento a un codice più mitteleuropeo, rafforzato dall’utilizzo ben congegnato della tecnologia in scena, dallo sguardo aperto verso l’arte contemporanea che si respira nella scenografia e da una resa generale che, con il progredire delle repliche, potrà consentire di indagare ancora più a fondo il mistero della figura di Enrico IV.
ENRICO IV / HENRIK IV.
Adattamento / Adaptacija: Lorenzo De Iacovo / Marco Lorenzi
Regia / Režija: Marco Lorenzi
Assistente alla regia / Asistent redatelja: Lorenzo De Iacovo
Drammaturgo / Dramaturg: Lorenzo De Iacovo
Scenografa / Scenografkinja: Diana Ciufo
Assistente alla scenografia / Asistent scenografkinje: Ivan Botički
Costumista / Kostimografkinja: Manuela Paladin Šabanović
Proiezioni video / Video projekcije: Edoardo Palma / Emanuele G. Forte
Disegno luci / Oblikovanje svjetla: Predrag Potočnjak
Musice, progettista del suono / Autor glazbe i oblikovatelj zvuka: Marin Butorac
Interpreti / Uloge:
Enrico IV: Aleksandar Cvjetković
Matilde: Leonora Surian Popov
Belcredi: Mirko Soldano
Frida: Ana Marija Brđanović
Dottoressa / Doktorica: Ivna Bruck
Arialdo: Giuseppe Nicodemo
Landolfo: Andrea Tich
Bertoldo: Serena Ferraiuolo
Ordulfo: Stefano Maria Iagulli
Enrico giovane (in video) / Mladi Henrik (u videu): Deni Sanković
Matilde giovane (in video) / Mlada Matillde (u videu): Ana Marija Brđanović
Suggeritore e sottotitolista / Šaptač i titler: Lovro Mirth
Direttore di scena / Inspicijent: Marin Butorac