VALENTINA SORTE e RENZO FRANCABANDERA | La compagnia (S)BLOCCO5 è una realtà interessante nel panorama teatrale italiano. Nasce nel 2016 dalla volontà della regista e performer Ivonne Capece, a cui si affianca la scenografa e costumista Micol Vighi. La loro ricerca si muove tra il teatro di parola a visione frontale, la video-performance e l’happening. Il risultato è un’estetica fortemente iconica e pittorica che dialoga con una linea drammaturgica aspra e lirica, originale non solo per i linguaggi utilizzati ma per la scelta dei contenuti e per la capacità di rielaborazione dei materiali di partenza.
VS: Ne parliamo qui dopo la personale dedicata a Milano dal Teatro Fontana alla compagnia in un programma che comprendeva Frankenstein, un lavoro assai sperimentale per l’uso di una narrazione immersiva attraverso nuove tecnologie audio, e un interessante dittico sulla Memoria, 20/20 il futuro è già in onda e Dux Pink.
Frankenstein riesce a immergere lo spettatore nell’opera omonima di Mary Shelley scegliendo di legare le tre cornici di cui è composto il romanzo attraverso una narrazione autobiografica, assente nell’originale. La voce di Mary Shelley cuce e disfa la struttura dell’opera. C’è una sorta di doppia narrazione: quella dell’opera e quella dell’autrice. Il ritmo del lavoro è dato dall’allineare e sovrapporre le due narrazioni, per poi disallinearle o viceversa. Si tratta di una scomposizione e ricomposizione dell’opera, realizzata su due livelli. Su quello visivo e su quello drammaturgico.
A livello drammaturgico, come già detto, c’è un intenso dialogo tra le parti originali dell’opera e le incursioni autobiografiche per mano di Ivonne Capece.
A livello visivo, c’è un intenso dialogo tra Mary Shelley, in carne ed ossa – interpretata da una bravissima Maria Laura Palmieri – e le sequenze video o ambientazioni virtuali proiettate su una parete mobile alle sue spalle, dove prendono corpo la madre (Mary Wollstonecraft) e la sua Creatura/Creazione (il Libro stesso). È un dialogo visivo e performativo che sfrutta la co-esistenza di corpi diversi. Corpi reali, corpi digitali, corpi olografici. A unire queste due linee narrative, c’è poi l’uso originalissimo della tecnologia audio binaurale. Si tratta di un metodo di registrazione tridimensionale del suono che ha il fine di ottimizzare l’ascolto in cuffia, riproducendo il più fedelmente possibile le percezioni acustiche di un ascoltatore situato nell’ambiente originario di ripresa dell’evento sonoro, mantenendone le caratteristiche direzionali a 360° sferici.
Gli spettatori che in sala indossano cuffie wireless, grazie a questa tecnologia, vivono una vera e propria immersione sonora nell’opera. Non è tanto un’amplificazione del suono quanto una interiorizzazione delle percezioni acustiche attraverso una pluridirezionalità del suono. Lo spettacolo è nato non a caso all’interno del progetto europeo Play-On – New Storytelling with immersive technologies.
Il lavoro si snoda attraverso tre cornici (o quadri) e una sorta di preambolo iniziale, in cui Mary Shelley introduce i due temi portanti dell’opera: la maternità biologica e la maternità letteraria. Come il dottor Frankenstein rifiuta la sua creatura perché ne ha paura e se ne vergogna, così Mary rifiuta quella parte di sé che viene percepita come mostruosa perché diversa, perché geniale. Il riferimento è al periodo storico in cui opera l’artista e alla paura che la porta a ridimensionare la grandezza delle sue ambizioni e dei suoi talenti.
Il difficile rapporto tra il Dottore e la sua Creatura è quello che c’è tra la scrittrice e il suo romanzo, tra la scrittrice e i suoi affetti. Mentre si sviluppa la vicenda interna, più nota allo spettatore, si inserisce anche la vicenda autobiografica, meno conosciuta ma ancora più interessante. Tutto è estremamente intrecciato, i personaggi letterari sono in realtà ricordi. La perdita della madre a due settimane dalla sua nascita per setticemia (e quindi il fantasma del matricidio), o la perdita dei propri figli dopo pochi anni di vita rendono la lettura della maternità ancora più intima e pregnante. Realtà e finzione si alimentano a vicenda.
In questa materia così densa ci si potrebbe perdere, ma l’articolazione dei tre quadri narrativi è guidata da un efficace escamotage scenico. Dalla parete mobile posta a metà della scena, dove si concentra il dialogo tra performance fisica e performance-video, viene di volta in volta strappato un telo. Le “quinte sceniche” diventano man mano più trasparenti e la struttura del lavoro si palesa.
Con Frankenstein (S)BLOCCO5 approfondisce la propria ricerca sui linguaggi performativi e/o visivi e la propria sperimentazione sulle tecnologie immersive, proponendo un lavoro di grande qualità, in cui la linea drammaturgica conserva un ruolo altrettanto importante. Bravi.
RF: Dux Pink, visto invece a Forlì nell’ambito del Lucy Festival di cui (S)blocco5 cura la direzione, è concettualmente e artisticamente uno spin off di una creazione precedente, Il Bue nero. O della cattiva coscienza, realizzato nel 2019 all’interno di un progetto teatrale triennale intitolato Io non ci sono, che ha vinto il Bando per la Memoria del Novecento della Regione Emilia-Romagna. Il progetto prevedeva tre spettacoli da realizzare in luoghi simbolo della storia del fascismo in regione, che attraversano gli anni dal 1912 al primo ventennio repubblicano, con un focus sul rapporto tra socialismo-fascismo-antifascismo-postfascismo.
Il Bue nero vedeva la regista Yvonne Capece, affiancata nella strutturazione del pensiero scenico dal dramaturg Marzio Badalì e da Micol Vighi che ne curava scene e costumi. Un lavoro interessante e oscuro, che evolveva per immagini e sequenze, in cui si indagava il sostrato socio-emotivo che aveva favorito l’ascesa di una dittatura. La combinazione fra la fascinazione (anche della componente femminile della società) e sentore di decadenza, veniva portata addosso a due corpi interessanti seppur allora attoralmente acerbi, quello di Elisa Petrolini a interpretare la femminilità desiderosa di nuova visibilità sociale e quello di Nicola Santolini, a raccontare l’anatomia dell’ascesa e della disfatta della dittatura.
Fra immagini, istantanee di una comunità dilaniata dalle crisi politiche ed economiche e pronta ad accogliere un germe così pericoloso e in fondo autodistruttivo come quello della dittatura, si compiva un viaggio teatralmente interessante dentro una morale caratteristica non solo del pre e del durante, ma anche del post fascismo, che sembra molto aderente al dna italiano.
Da quel lavoro così profondamente grottesco e buio, acuto pur nel suo essere una sorta di opera prima della compagnia, poi uscita dal loro repertorio, è nata la derivata seconda di quella ricerca su quella che la Capece aveva definito “…l’ingombranza del corpo del dittatore, il peso esercitato sulla coscienza degli italiani”
Il progetto Io non ci sono è proseguito poi sempre nel 2019 con alcune audio-performance itineranti in tre città identificate come “triangolo della memoria”:
• Bologna: città della resistenza. In particolare il Quartiere della Bolognina, centro di numerose vicende della lotta partigiana
• Ferrara: città della repressione, nella quale la violenza del regime nazi-fascista si è abbattuta con particolare violenza. In particolare la zona del Castello Estense, nota per le stragi civili
• Forlì: città/monumento del fascismo. In particolare Viale Libertà e Quartiere della Stazione, nato tra gli anni Venti e Trenta con lo scopo di celebrare, stupire e mostrare l’efficienza del modello fascista di città e di società. In quelle occasioni la Capece era performer e nell’edizione 2020 del progetto passava dall’analisi dei corpi (fisici e urbani), a ciò che è cambiato/non è cambiato da allora.
Passando per il successivo lavoro 20/20 Il futuro è già in onda giocato sulla drammatica attualità di alcune vicende che caratterizzarono l’inizio del ventennio fascista, e quindi sul confronto tra 1920 e 2020, si arriva a Dux Pink, che vede la Capece sola in scena a interpretare donne di “allora” e di adesso, da Margherita Sarfatti, ebrea, amante di Mussolini e finanziatrice dell’ascesa e della costruzione iconica della figura del duce, fondamentale per il colpo di stato e i primi 10 anni del regime; Edda Ciano, figlia del dittatore, “La Madre dell’Asse Roma-Berlino”, moglie di Galeazzo Ciano, dapprima ammiratrice della Germania nazista, e poi sospettata di congiura (da lei sempre smentita) con suo marito per l’eliminazione del padre; a loro si aggiungono altre figure prossime, familiari, ovvero Clara Petacci, l’ultima compagna di Mussolini, che lo seguì nel tragico finale fino a Piazzale Loreto, ma anche la sua consigliera nelle politiche antisemite durante gli anni della Repubblica Sociale, fino a Rachele Mussolini, la moglie o la “sopravvissuta”, che nel dopoguerra rappresentò nella sua onnipresenza fra TV e rotocalchi del dopoguerra, il simbolo della finta riappacificazione sociale con cui gli italiani si autoassolsero dal proprio drammatico passato recente.
Ad aprire il lavoro però è un tuffo nel passato prossimo, quasi presente, con un discorso politico tenuto in spagnolo. È il discorso tenuto da Giorgia Meloni per il congresso di Vox in Spagna.
Un femminile legato, in modo diretto o indiretto, al tema dell’eredità presente e passata, di quanto generato dalla suggestione della dittatura fascista.
Alcuni di questi episodi, come quello sulla figura della Sarfatti, sono sostanzialmente ricavati dal Bue Nero, ma in una composizione scenica in cui la performer dialoga con alcune immagini riprodotte su un grande schermo che diventa di volta in volta luogo del ribaltamento (con un chiaro riferimento al drammatico epilogo di Piazzale Loreto). Rispetto allo spettacolo precedente i segni sono più asciutti, sintetici, e lasciati alla viva e potente interpretazione della Capece, che recita queste donne diverse con piglio espressionista performativo, donando sfumature sulla femminilità diverse, profonde, accurate. I testi, in parte originali, in parte scritti e ricavati dalle ricerche condotte nel triennio, raccontano in modo chiaro l’intreccio fra biografie, persone e personaggi, scolpendo un affresco che turba e lascia riflettere.
Il modulo rappresentativo si replica nella modularità gli episodi, e questo aspetto della giustapposizione è allo stesso tempo il punto di forza della rappresentazione, che confronta per affiancamento, e per altro l’elemento in parte più prevedibile dello schema registico, su cui è forse possibile lavorare per creare spazi intermedi e aree di respiro che favoriscano il profondo sorgere degli interrogativi.
È, ad ogni buon conto, un lavoro ben interpretato, con una significativa capacità mimetica da parte dell’attrice, aiutata dai bei costumi della Vighi e dagli inserti video, che restano simbolicamente misteriosi. Il lavoro sulla parola è degno di nota.
(S)blocco 5 è una realtà duale originale, in cui si combinano idee particolari di artigianato teatrale capaci di unirsi a pensieri installativi non banali. È un fare artistico dotato di un segno nitido e vigoroso, che andrà certamente a ricavarsi uno ruolo nei prossimi anni.
FRANKENSTEIN
Regia Ivonne Capece
Con Maria Laura Palmeri (in scena), Lara Di Bello e Giuditta Mingucci (in video)
Drammaturgia Ivonne Capece
Assistente alla regia Micol Vighi
Sound designer Simone Arganini
Scenografie Micol Vighi
Costumi Micol Vighi
Postproduzione video Cristina Spelti
Light designer Cristina Spelti
Riprese video Lorenzo Salucci
Tecnica Angelo Generali
Produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale
Location video Fondazione Gualandia favore dei sordi, Museo di Palazzo Poggi Bologna
Spettacolo con tecnologia audio binaurale in cuffie wireless
Progetto europeo Play-On–New Storytelling with immersive technologies
DUX PINK
regia e interpretazione Ivonne Capece
drammaturgia: Ivonne Capece
scene e costumi: Micol Vighi
tecnica : Angelo Generali
Produzione: (S)Blocco5
con il contributo di Regione Emilia Romagna
patrocinio di Comune di Bologna, Quartiere Foro Boario Forlì
in partnership con Elsinor Centro di Produzione teatrale, Aics Bologna, Atrium Cultural Route Forlì
DUX PINK è parte di IO NON CI SONO percorsi nell’Italia fascista, antifascista e post-fascista, vincitore del Bando per la Memoria 2019 e 2020 di Regione Emilia Romagna, insieme a 20/20, con cui costituisce un dittico sulla memoria storico-politica italiana.