MATTEO BRIGHENTI | Applaudire non è solo battere le mani. Applaudire è battere le mani in segno di approvazione. Accettiamo per buono e per vero ciò che abbiamo appena visto o sentito. Di più, ci riconosciamo in ciò che abbiamo appena visto o sentito, e vogliamo dirlo a noi stessi, prima di tutto, e poi agli altri insieme a noi, che a teatro rappresentano il mondo intero.
Per questo, quando le cinque interpreti di Non Tre Sorelle / He Tpи Cectpи diretto da Enrico Baraldi sono rientrate in scena per gli applausi del Teatro Fabbrichino di Prato, io non ho applaudito. E ho continuato a non applaudire con ancora maggiore convinzione quando Susanna Acchiardi, Alice Conti, Anfisa Lazebna, Yuliia Mykhalchuk, Nataliia Mykhalchuk si sono portate dietro il ritratto di Anton Čechov che durante lo spettacolo avevano accecato con lo spray.

Non Tre Sorelle. Foto di Ivan D’Alì

Ho scelto di restare in silenzio per prendere le distanze dallo spettacolo e, a un tempo, per prendere le difese di Čechov, se mai ne avesse bisogno – e non ne ha. Perché non è certo responsabilità sua se è russo come Vladimir Putin e se l’esercito russo ha invaso l’Ucraina, il Paese da cui sono scappate Lazebna e le Mykhalchuk, arrivate in Italia da Kyiv grazie al progetto di accoglienza Stage4Ukraine. Loro tre sono il presupposto dello spettacolo, presupposto che finisce per diventare lo spettacolo stesso, sulla scorta della “scuola” Deflorian/Tagliarini. Non a caso, la drammaturgia, oltre a Baraldi, la firma Francesco Alberici, collaboratore degli ultimi lavori del duo romano.
Dunque, come possono, da ucraine, mettere in scena Čechov, pronunciare le battute di un’opera come Tre Sorelle, con la celeberrima «A Mosca! A Mosca! A Mosca!»? Questo interrogativo è il “palcoscenico” di Non Tre Sorelle e riguarda anche le due attrici italiane che, da parte loro, hanno affrontato, invece, il debutto di un adattamento di Tre Sorelle rimandato per due anni a causa della pandemia, e poi messo di nuovo in crisi dallo scoppio della guerra in Ucraina. Adattamento che, adesso, è questo che abbiamo di fronte, e che più che cercare le risposte, ripete le domande. Perché in scena le interpreti portano unicamente sé stesse: l’indagine drammaturgica si ferma alla mera trascrizione di cinque biografie.

Foto di Luca Del Pia

Sia chiaro: è lontana, lontanissima da me l’intenzione di soppesare le singole storie personali. Ciò che interessa, ai nostri fini, sono il contesto e il formato con cui vengono presentate. Non Tre Sorelle, infatti, si configura come l’insistita esposizione del processo di incontro e di formazione del gruppo di lavoro: il racconto verte tutto su qualcosa che è già avvenuto fuori, che c’è già stato prima, non su quello che avviene e c’è ora sul palco. Per la cronaca dei fatti, però, esistono il giornalismo, il web, i social; lo strumento del teatro serve, piuttosto, al commento, all’interpretazione.
Qui non ravviso né l’uno né l’altra, a meno di non volerli trovare nella proiezione sul fondo delle battute del testo di Tre Sorelle oppure nella distruzione da parte di Lazebna di bricchi, tazze, piattini in porcellana, disposti su un grande praticabile. Forse, a pensarci bene, è questo l’unico momento di teatro, ovvero il solo in cui succede qualcosa, in cui non si dice ma si agisce, producendo una polisemia di significati che oltrepassa la contestazione pura e semplice dell’atto.

Foto di Ivan D’Alì

Quell’arredo, infatti, traspone la tavola per la colazione che viene preparata all’inizio dell’originale di Čechov ed è una sorta di palco nel palco. Lazebna e le Mykhalchuk ci camminano sopra, muovendosi tra pezzi fragili, da maneggiare con cura, come i loro ricordi. Sono cose, però, e come tali rimangono a terra, ferme nel tempo e nello spazio, quanto, nelle intenzioni drammaturgiche e registiche, Tre Sorelle, mentre le attrici sono in piedi, sono presenti, anzi, sono il presente, e dicono la loro, senza il timore di essere contraddette.
Si spogliano quasi subito dei costumi bianchi da cliché čechoviano e prendono i colori delle protagoniste che non interpreteranno: si sfilano i vestiti di scena e svelano gli abiti del loro proprio dramma privato. Così, a un certo punto, possono pure mettere il copione di Čechov nel tritacarta, o accecarne il ritratto con lo spray, come detto all’inizio.

Foto di Ivan D’Alì

Attraverso l’alternarsi del “perché sì” e del “perché no” Čechov, il tè nella colazione di Non Tre Sorelle diventa, in definitiva, il senso stesso di fare teatro, e di farlo proprio oggi. Senso discusso per l’intera durata dello spettacolo pur vincitore del premio ANCT 2022, e che invece c’è: è il teatro stesso. Siamo noi che restiamo qui fino al termine, fino in fondo. Noi Bastianazzo. Noi Fratellina. Noi e il bistrattato, negato e rifiutato Čechov, alla fin fine riaffermato nella pratica come strumento di vita, a prescindere dalla nazionalità, a prescindere da tutto.
Tre Sorelle è un classico e non perché è russo, né tantomeno perché è vecchio, ma perché non ha smesso di parlare di noi e a noi, pur non parlando di noi. E possiamo stare certi che continuerà a farlo tra mille e mille altre rivisitazioni ancora.

NON TRE SORELLE / HE TPИ CECTPИ
liberamente non ispirato a un’opera di A. Čechov

con Susanna Acchiardi, Alice Conti, Anfisa Lazebna, Yuliia Mykhalchuk, Nataliia Mykhalchuk
regia Enrico Baraldi
drammaturgia Francesco Alberici, Enrico Baraldi
dramaturg Ermelinda Nasuto
luci Massimo Galardini
assistente alla regia Uliana Samoliuk
produzione Teatro Metastasio di Prato
con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Prato
progetto Davanti al pubblico 2020
Teatro Metastasio di Prato
con Fondazione Toscana Spettacolo Onlus / Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt)

Prima assoluta
3 dicembre 2022 | Teatro Fabbrichino, Prato