GILDA TENTORIO | Il pubblico conosce da qualche anno il narratore Daniele Mencarelli (1974) arrivato al successo nel 2020 con il romanzo Tutto chiede salvezza (Premio Strega Giovani 2021) che nello scorso ottobre è diventato serie tv per Netflix. La sua riflessione punta sulle problematiche dei giovani, inquieti e alla ricerca di se stessi. Talvolta, troppo sensibili, vivono così intensamente il dolore del mondo da rischiare di perdersi perché non riescono a chiudere gli occhi e a piegarsi alle maschere ipocrite della società. La vera medicina è riscoprire l’umanità, che ancora vive tra gli emarginati, capaci di delicatezze poetiche e di autenticità.
Sedotto da questa scrittura “limpida, secca, tagliente”, il regista Piero Maccarinelli ha chiesto all’autore un testo teatrale, ed ecco Agnello di Dio, produzione del Centro Teatrale Bresciano, in tournée dalla scorsa primavera, approdato ora al Teatro Franco Parenti di Milano.

Ambiente: un prestigioso liceo paritario, fucina della nuova classe dirigente. Verifica di italiano: “Tema: immagina la tua festa di laurea”. Una simile traccia per i ragazzi di quinta liceo è irrealistica ma siamo a teatro e si accetta la convenzione. Lo studente protagonista nel suo elaborato descrive un grande falò di liberazione, in cui arderebbe “tutto quello che mi hanno fatto credere”. Conseguenza: colloquio nell’ufficio della presidenza (scrivania, divanetto, libri, crocifisso, grande finestrone che dà su un cortile) fra suor Luciana (una brava Viola Graziosi), il ragazzo (Alessandro Bandini) e il padre (Fausto Cabra).
Qual è il malessere di questo adolescente, rappresentativo di tutta la sua generazione? La paura di diventare adulto e somigliare ai grandi che lo circondano, automi incanalati in una vita arida. La suora lo spinge ad abbandonarsi fiducioso a Dio, mentre il padre gli oppone la religione del “fare” per realizzarsi e avere successo (“io valgo = io esisto”). Ma Samuele gli ribatte, quasi spaventato dalle sue stesse parole: “Tu ti lasci vivere; io invece voglio vivere da vivo”.

ph. Umberto Favretto

Si ha l’impressione che occorresse oliare meglio l’ingranaggio. Intavolata la questione, lo spettatore si aspetta un gioco al massacro. Invece Samuele si ripiega su se stesso, vittima fin troppo patetica, mentre la struttura drammaturgica procede in modo scontato per “duelli” verbali a coppie: padre-figlio, suora-studente, e infine suora-padre. Forse sarebbe stato meglio far scaturire il confronto da un dibattito a tre.
Una figurina di contorno fa da cuscinetto-ammortizzatore, cioè suor Cristiana (Ola Cavagna), anima ingenua con la mente al cibo, ricca di buon senso e di buoni sentimenti, che entra nell’ufficio con banali pretesti per sciogliere la tensione. Eppure questo artificio ripetuto più volte diventa stucchevole e fin troppo prevedibile.

ph. Umberto Favretto

Ho avuto la fortuna di assistere allo spettacolo insieme a un pubblico di adolescenti. Alcuni si sono riconosciuti perché le domande che attanagliano Samuele sono le loro: l’incognita del futuro, il fervore dei progetti, la necessità della scelta, il peso delle aspettative. Protetti dalla bambagia, quando devono spiccare il volo si scoprono pulcini implumi e paurosi. Li hanno chiamati “gli sdraiati”, la generazione bruciata da tecnologia e social, ma ci sanno ancora stupire per l’energia, la curiosità, la voglia di divorare il mondo.
In maggioranza hanno però trovato fastidioso l’atteggiamento di Samuele, ne criticano il perbenismo morbido perché si sottomette alle regole del gioco degli adulti proprio nel momento in cui avrebbe il potere di scoperchiare il marcio. Nei duelli di scherma mi ha ricordato uno studente occhialuto: quando intuisci il punto debole dell’avversario lo cogli mentre quello abbassa la guardia e affondi, invece Samuele punzecchia, ma poi sembra quasi chiedere scusa e arretra. E conclude: “Se vuoi fare la rivoluzione, devi farla bene. E io ho capito subito che questo figlio di papà alla fine si sarebbe fatto schiacciare”.

I giovani e irruenti spettatori colgono il punto debole della drammaturgia: quando si raggiunge l’acmé, ci si aspetta l’esplosione, qui invece il ragazzo porge la testa al sacrificio, accetta l’idea di una “terapia” per affrontare questa fase difficile, e tutto si risolverà. Non è uno schiaffo ironico, non è una conclusione a cui arriva con un ragionamento meditato ma una folgorazione che lascia spiazzati, e i ragazzi si affrettano a definirla “incoerenza”.
La scena ora sarà occupata dagli adulti che, lasciati soli, dismettono le maschere ossequiose e viscide del politically correct per dare sfogo a rancori repressi e si azzannano quasi con voluttà, scagliando accuse e intrecciando ricatti. Il ragazzo, agnello sacrificale che dovrebbe purificare i peccati del mondo, è solo l’ennesima vittima e l’occasione per divorarsi a vicenda con cinismo. La scelta di dividere i due piani (prima il focus sul giovane e poi il duello fra gli adulti) non piace ai ragazzi, che si sentono traditi.

ph. Umberto Favretto

“Mi sono sembrati personaggi un po’ finti e stereotipati: ovviamente il manager in carriera non sa capire il figlio e la suora è in crisi di vocazione. Lo abbiamo visto in centinaia di film”, taglia corto una ragazzina. Osservo che forse è proprio lo stereotipo ad attirare lo spettatore e l’intento di Mencarelli è spezzare le apparenze. In effetti però il gioco è scoperto: capisci subito che c’è un fiume sotterraneo di non detto. Quello che stanca è l’attesa dell’esplosione, il ritmo perde mordente e quando alla fine il colpo di scena arriva, i troppi indizi sparsi rovinano l’effetto, perché già te lo aspettavi.

ph. Umberto Favretto

“E poi la scena finale… La suora che davanti al crocifisso implora il perdono per tutti e anche per lei: patetico!”. Provo a problematizzare: forse è invece un invito a ritrovare la nostra umanità, in questa società in declino? “Sì, diamo una bella pillola al ragazzo problematico e poi volèmose bene. Amen!”, commenta lo studente dark, e gli altri approvano. Li vedo cresciuti, non credono più che debba esserci l’happy end perché altrimenti non è una bella storia. Qui si parla di loro, e il lieto fine è ancora tutto da costruire.

AGNELLO DI DIO

di Daniele Mencarelli                       
regia Piero Maccarinelli
con Fausto Cabra, Viola Graziosi, Alessandro Bandini
e con Ola Cavagna
scene, costumi Piero Maccarinelli                                                                      
musiche Antonio Di Pofi
luci Cesare Agoni
consulenza scenografia Anna Maria Gallo
consulenza costumi Bruna Calvaresi
assistente alla regia Irene Carera
produzione Centro Teatrale Bresciano

Teatro Franco Parenti – 16 dicembre 2022