ENRICO PASTORE | L’entrata in scena di Valentine de Saint-Point secondo Gino Severini: «Quella sera montò sul palcoscenico della Salle Gaveau per illustrare il suo manifesto (della Lussuria ndr). Era una elegante e bella donna, non più giovanissima, ma ancora in gamba, capace di mettere in pratica il suo manifesto con una notte di lussuria, e fare un’ora di scherma alla mattina. Quella sera portava un enorme cappello, il cui diametro era come quello di un ombrello, non solo largo, ma alto, pieno di piume, brillantissime».
Tommaso Marinetti è ancora più affascinato, nonostante tutto il suo “disprezzo della donna”: «Sensualissima bocca giovanile sotto due immensi occhi verdi, le cui ciglia rimando coi riccioli d’oro a diadema di perle autentiche, si richiamano alla sontuosità di un calzare d’argento a sinistra e all’anello pesante occhiuto e scintillante, che invetrina il più bel piede di donna del mondo». Di sicuro Valentine de Saint-Point sapeva attirare lo sguardo del pubblico. E sapeva rubare la scena, se dobbiamo stare alle parole della giovane moglie di Marinetti, Benedetta, la quale, dopo averla incontrata col marito al Cairo negli anni Trenta, disse ingelosita e senza mezzi termini: «Una donna che esalta la prostituzione e che canta la lussuria, non mi pare che stesse al suo posto in mezzo a noi!».
Il matrimonio cambiò Marinetti, ma non Valentine de Saint-Point, che dopo averlo ricercato per guadagnarsi l’indipendenza, se ne disfece in fretta per amor di libertà. Valentine de Saint-Point (il cui vero nome era Anne Jeanne Valentine Marianne Desgalns de Cassiat-Vercell) fu, fin da giovanissima, uno spirito incapace di piegarsi alle gabbie della consuetudine, ai costumi prudenti e castigati, ritta come torre ferma di fronte al vento forte dei pettegolezzi e delle maldicenze della cosiddetta buona società.
Nata nel 1875 e orfana di padre in tenera età, si sposò a soli diciotto anni con un uomo ben più anziano di lei. Il professore di Lettere ebbe il buon gusto di morire solo sei anni dopo e Valentine si risposò con un collega del marito, professore questa volta di Filosofia, da cui divorziò solo quattro anni dopo. Imparata la lezione, si diede in libera unione con il critico italiano Ricciotto Canudo, con cui divise gli anni accesi della sua vicinanza al futurismo.
Nel mondo artistico non entrò, però, nel 1912 con i suoi manifesti, futuristi solo a posteriori e per appropriazione marinettiana. Vi era entrata con tutti gli onori come poetessa di cui Apollinaire diceva, già nel 1908 all’uscita dei Poèmes d’Orgueil: «Ha innalzato mirabili canti lirici, talvolta aspri come profezie». E ancor prima come romanziera con una Trilogia sull’Amore e sulla Morte, e come musa di Rodin su cui scrisse un saggio ambiguo apparso sulla «La Nouvelle Revue» dal titolo La doppia personalità di Auguste Rodin.
Innovativo per le visioni esposte e prova della sua vis polemica è un articolo apparso su «Les Tendances Nouvelles» del 1913 dal titolo Il teatro della donna, in cui Valentine afferma senza mezzi termini come nel teatro a lei contemporaneo la donna sia a dir poco annichilita: «Evocata quasi esclusivamente come oggetto del desiderio». Esempio lampante è l’insistenza sul tema dell’adulterio attraverso cui «la donna prende un amante perché è elegante, o semplicemente per curiosità di qualche nuovo divertimento […] e se la situazione si compromette, la donna si dà alle lacrime come un bambino sorpreso in una malefatta e di cui si limita a chiedere scusa». Nella drammaturgia teatrale, secondo Valentine, si manifesta tutto il dominio posto dall’uomo sulla donna ingabbiata e vittima di una visione maschile pregiudiziale. E la figura emblematica di tale visione di una donna prigioniera dei sentimentalismi svenevoli e passivi cari all’uomo è nientemeno che il vate Gabriele D’Annunzio. Per Valentine il teatro della donna era ancora tutto da scrivere.
Questo articolo sul teatro e la donna è il preambolo dell’incontro tra Valentine e il futurismo italiano. Se in linea di principio vi era una certa aria comune tra Marinetti e Valentine de Saint-Point, (il mito della guerra, il sospetto verso le suffragette e il parlamentarismo femminile), tale similitudine regge solo a un primo sguardo. Le divergenze appaiono nette proprio rispetto al ruolo giocato dalla donna. E fu quindi in risposta al primo Manifesto del Futurismo del 1909, dove al punto nove si proclama appunto il “disprezzo della donna”, che Valentine scrisse il suo Manifesto della donna futurista in cui afferma senza mezzi termini: «La maggioranza delle donne non è superiore né inferiore alla maggioranza degli uomini. Essi sono uguali. Tutti e due meritano lo stesso disprezzo. […] È assurdo dividere l’umanità in donne e uomini, esso è composto soltanto di femminilità e mascolinità». Valentine orienta il proprio pensiero non verso una guerra dei sessi, ma piuttosto verso la riscoperta del mito dell’androgino, caro a circoli teosofici e misterici parigini.
L’idea di donna proposto è lontano dalle svenevolezze o dalla fragilità. I suoi modelli sono: «Le Erinni, le Amazzoni, le Semiramide, le Giovanna D’Arco, […] le Giuditta e le Charlotte Corday; le Cleopatra e le Messalina, le guerriere che combattono più ferocemente dei maschi». L’idea della donna forte deriva dalla convinzione della lotta impari posta di fronte all’universo femminile per far emergere il proprio talento, nonostante gli ostacoli posti sul proprio cammino dagli uomini e dalla natura.
Una donna combattente, quindi, per niente succube dei maschi e padrona dei propri desideri, soprattutto sessuali. Questa determinazione a illuminare la forza dell’eros dal punto di vista della donna era già ampiamente espressa nel suo romanzo La femme et le désir del 1910.
Valentine rimprovera agli attacchi misogini di Marinetti e compagni, contenuti nei vari manifesti futuristi, di aver dimenticato la potenza di Eros, il figlio di Poros e Penia, colui che nulla possiede, se non i propri espedienti e la propria intelligenza, forza vitale primordiale, generatrice e innovatrice. Nel Simposio platonico secondo l’opinione di Fedro: «Nessuno è così vile cui amore in persona non accenda di fiamma divina. Così, quell’uomo diventerà eguale a chi è per natura valorosissimo»; per Valentine de Saint-Point è la lussuria, non più intesa come vizio, lo stimolo per le grandi imprese delle anime forti al di là del sesso di appartenenza. E per questo: «Si deve fare della lussuria un’opera d’arte fatta, come ogni opera d’arte, d’istinto e di coscienza». Non è dunque un peana all’imperio dei sensi, ma padronanza composta di volontà cosciente e abbandono estatico.
Valentine aveva fatto apparire il suo Manifesto futurista della Lussuria prima su «Le Figaro» e poi a Milano in forma di volantino, quasi a ripercorrere i passi di Marinetti, il quale la ammise nel direttivo del Futurismo, movimento nel quale, oltre alla Marchesa Casati – «occhi di giaguaro che digerisce al sole la gabbia d’acciaio divorata» – non annoverava altre donne, se non fedeli servitrici e segretarie. Fan e difensore delle teorie di Valentine in Italia fu Italo Tavolato, il Karl Kraus di Trieste, che nel 1913 sulle pagine di «Lacerba» difenderà a spada tratta il Manifesto nella sua Glossa, utilizzando per giunta gli stilemi del Credo cattolico: «Io credo nella comunione carnale che vivifica lo spirito, nella remissione delle virtù, nella vita terrena. Amen».
Valentine de Saint-Point, però, non si sentì mai pienamente parte del movimento futurista, e presto le sue strade si dirigeranno verso altri lidi. Devota al Cerebrismo, teoria artistica propugnata dall’amante Ricciotto Canudo, si diede alla danza inventando la Métachorie, movimento astratto del corpo nello spazio senza accompagnamento musicale in contrappunto alla parola poetica. Nel Manifesto della danza Marinetti criticherà aspramente tali esperimenti: «Valentine de Saint-Point concepì una danza astratta e metafisica che doveva tradurre il pensiero puro senza sentimentalità e senza ardore sessuale. La sua Métachorie è costituita da poesie mimate e danzate. Disgraziatamente son poesie passatiste […] astrazioni danzate ma statiche, aride, fredde, e senza emozioni». Nonostante la riprovazione di Marinetti, Valentine portò i suoi esperimenti in tournée in tutta Europa e negli Stati Uniti.
La strada di Valentine, artista a tutto tondo e femminista sui generis, procedette verso orizzonti distanti dall’arte. Questo non prima di aver dato alle stampe una tragedia L’anima Imperiale o l’Agonia di Messalina, che prova a dar forma a una delle donne modello del suo Manifesto. Poi si spinse nei territori della spiritualità, dapprima cercò di fondare un tempio dello spirito in Corsica e poi, in seguito alla stretta amicizia con René Guenon, trasferendosi a Il Cairo dove si convertì all’Islam, prendendo i nome di Rouhya Nour El Dine. Dimenticata da tutti, visse i suoi ultimi anni libera, ma indigente. Morì in Egitto, terra natale di Marinetti, sola e in povertà.
Il suo nome, oggi, è quasi del tutto dimenticato, relegato in poche righe e qualche citazione nelle opere dedicate al Futurismo, come se ne avesse fatto parte a tutti gli effetti o come fosse una semplice curiosità esotica. Valentine de Saint-Point condivide il destino di molte altre donne, affiancate ai movimenti di avanguardia dal mondo maschile più che dalle proprie opere o convinzioni. A volte, venne loro affibbiato un ruolo passivo di mute muse, altre volte furono semplicemente considerate figure di sfondo, rarità poco influenti, non riconoscendo loro alcun originale apporto al pensiero dei fondatori maschi.
In realtà, Valentine de Saint-Point, così come Leonor Fini, Leonora Carrigton o Remedios Varo per il surrealismo, e come Emmy Hennings-Ball per il dadaismo, non erano le vallette o le mascotte dei movimenti artistici, erano esse stesse grandi artiste, con proprie idee, e volontariamente rifiutarono di essere incasellate in modalità cui parteciparono, ma non abbracciarono interamente. Tutte loro furono voci in contrappunto con le posizioni dominanti e cercarono di portare un punto di vista diverso alle questioni poste dai colleghi uomini. Solo in questi ultimi anni si sta compiendo una rivalutazione del loro ruolo, riportandone alla luce il valore e l’indipendenza di pensiero. Possiamo solo augurarci come Valentine de Saint-Point che: «I sentieri tracciati possano divenire larghi viali, grazie a coloro che ci seguiranno e che avranno tentato».