RENZO FRANCABANDERA | Si è conclusa nel weekend dell’Epifania al Teatro Bellini di Napoli, con continui sold out, la serie di 19 repliche consecutive che ha visto andare in scena uno dei grandi classici del teatro eduardiano, Natale in Casa Cupiello, che negli ultimi anni ha trovato diverse interessanti rivisitazioni teatrali, da quella stravolgente di Latella al monologo di Fausto Russo Alesi prodotto dal Piccolo Teatro, giusto per citarne alcune.
Detto che 19 repliche sono un numero ormai incredibile per il teatro italiano, costretto da leggi insensate a produzioni che si esauriscono nel volgere di un fine settimana, in una bulimia consumistica che è l’ovvio preludio del collasso del sistema, andiamo a vedere i motivi del successo di questa operazione, che porta la firma alla regia di Lello Serao ma che si origina, addirittura prima della sosta pandemica, da un’idea di Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia, ed è prodotto da Teatri Associati di Napoli/Teatro Area Nord e Interno5, oltre che sostenuto dalla Fondazione Eduardo De Filippo e dal Teatro Augusteo.
Questo ‘Natale‘ può a giusta ragione essere definito il coronamento di un faticoso viaggio, iniziato ormai 20 anni fa, nel 2003, quando Hilenia de Falco fondò l’Associazione Culturale Interno 5, che nel tempo si è guadagnata un posto interessante nella geografia partenopea (e oltre) nell’organizzazione di festival e rassegne di teatro, danza e arti performative, fra le quali E45 Napoli Fringe Festival, Festival Internazionale dell’Attore, Festival Internazionale del Teatro di Montalcino, Movi|mentale festival di danza e videoarte).
Quasi un decennio dopo, Interno 5 ha iniziato poi a gestire START (San Biagio Theatre and Performing Art), un piccolo spazio nel centro storico di Napoli, divenuto ben presto un punto di riferimento importante per le giovani compagnie del territorio e via via un centro di promozione di pensiero sullo spettacolo dal vivo in Italia, con una partecipazione attiva anche alla rete C.Re.S.Co. Nel 2015 ha luogo una doppia svolta, con l’arrivo dell’attore e regista Lello Serao alla co-direzione artistica del TAN – Teatro Area Nord di Piscinola gestito da Teatri Associati di Napoli, e di Vincenzo Ambrosino alla co-direzione organizzativa della compagnia di danza Interno 5, la cui direzione artistica è invece affidata invece ad Antonello Tudisco. In questa fucina di impegno artistico e sociale è nata nel 2018, da Ambrosino e dall’attore e performer Luca Saccoia, l’idea di un allestimento per interprete e marionette di Natale in casa Cupiello, testo centrale della poetica di Eduardo De Filippo, legato indissolubilmente alla sua figura oltre che a un corredo retorico e iconico, fissato anche dalla celeberrima versione per la tv, da sempre – oltre che pietra di confronto – anche un limite per chi si prende il compito di una sovrascrittura di senso e di immagine dell’opera, essendo quella interpretazione ancora viva nella memoria visiva ed emotiva di tanta parte della popolazione italiana.
Lo spettacolo che ha riempito la sala del ridotto del Bellini è ad ogni modo fedele al testo, e si articola in tre atti.
Il primo si apre con una serie di suggestioni visive e sonore che partono da frammenti registrati che, a ben ascoltare, rimandano agli audio della celebre versione filmata di Eduardo anche solo nelle piccole espressioni di esitazione del Maestro, e inizia con una ricerca sonora filologica che include Quanno nascette ninno, la pastorale di metà Settecento in napoletano da cui discende Tu scendi dalle stelle.
Mentre risuonano, leggermente distorte, le voci delle prime celebri battute con cui la anziana moglie invita il marito Luca a svegliarsi (il ricco progetto sonoro originale è di Luca Toller), il grande telo che fa da sfondo e su cui sono dipinte una serie di immagini realizzate in stile pittorico naïf-simbolista, sorta di calendario dell’avvento pieno di oggetti che si illuminano progressivamente, definisce un’ambientazione non realistica ma simbolica, che si accentuerà quando il telo inizierà a vibrare di una vita propria, fatta di retroproiezioni e giochi di ombre.
Emergono così in controluce i burattini protagonisti, che danno luogo alla prima delle grandi idee messe a disposizione di questo spettacolo dalla potente creatività di Tiziano Fario: le silhouettes apparse poco prima ruotano e si trasformano in presepe sotto gli occhi dello spettatore, che le vede trasformarsi senza capire come. È una delle tante piccole magie visionarie che rendono l’allestimento un nutrimento per lo sguardo.
Interviene a questo punto la presenza umana, quella dell’interprete Luca Saccoia che recita in uno spazio concettuale in bilico fra la figura del padre Lucariello e del figlio Tommasino, con l’idea che il secondo rievochi, come in un sogno appunto, tutta la vicenda, idea che prende precipuamente corpo nel primo e nel terzo atto.
Nel primo, l’attore comincia a interpretare i due personaggi, dialogando con gli altri protagonisti della vicenda che appaiono da finestrelle e feritoie aperte sul grande telo simbolico, fra la caffettiera gigante e il disegno in prospettiva falsata della casa, la stella cometa e altri elementi iconici della vicenda eduardiana.
Lo spazio narrativo viene nutrito sia da un gioco di luci che amplifica l’idea che ci si trovi dentro un sogno, sia con i muppets (da menzionare il lavoro di Luigi Biondi, Giuseppe Di Lorenzo e Paco Summonte cui si devono le scelte vigorose, puntuali e poetiche sulle luci, giocate su puntamenti spot precisi, ombre e trasparenze e che nel primo atto alimenta l’ambientazione onirica con toni freddi e luci bluastre e verdi).
Si prepara in casa Cupiello quanto necessario per la realizzazione del famoso presepe e, mentre il rituale prende forma, arriva a incombere la dimensione tragica, con l’apparire della lettera con cui la figlia di Lucariello pretende di informare per iscritto suo marito di volere un’altra vita con un altro uomo.
La madre, come noto, convince la figlia a non consegnare la lettera ma è il padre stesso, nella sua sbadataggine, a farsi latore involontario della missiva, aprendo così lo squarcio sulla tragedia che si vivrà nel secondo e nel terzo atto, quando entreranno in scena i due contendenti per l’amore della ragazza.
Sullo sfondo si susseguono le beghe del piccolo e sfaccendato universo maschile della casa (Lucariello, il figlio Tommasino e il fratello del padre) che non si rende conto di nulla, e vive di piccoli espedienti pur di non lavorare e tirare a campare.
Il primo atto si chiude con una stupenda retroilluminazione che rivela tutto lo scheletro della macchina scenica che si trova dietro il grande telo dipinto da Fario.
Il pubblico fra il primo il secondo atto esce di sala e quando rientra, “entra” nella casa. La struttura scenica emiciclica, realizzata in portabili di legno a incastro, crea un piano inferiore e uno superiore accessibile a mezzo scalette, come una stanzetta per bambini con un soppalco. Al centro della scena, un grande tavolo lungo, posto su un supporto rialzato e di dimensioni adatte a essere realistico non per gli umani ma per le marionette: saranno, insieme a Saccoia, le protagoniste di questo atto, animate in presa diretta da una squadra di giovani manovratori addestrati da Irene Vecchia, artista da oltre un decennio presente sulla scena del teatro di figura, delle guarattelle di tradizione campana e di un’eredità che in quella terra aveva negli ultimi anni faticato a trovare una intelligenza vocata al recupero di una tradizione secolare che rischiava di perdersi.
È lei ad aver addestrato al movimento fine, al microgesto poetico, i giovanissimi Oussama Lardjani, Salvatore Bertone e Lorenzo Ferrara che con perseveranza si sono immersi nella fatica, insieme alle abili manovratrici Paola Maria Cacace e Angela Severino.
Il movimento delle marionette si rivela elemento cruciale in questo secondo atto, che si svolge tecnicamente come un unico monologo, affidato alla valida interpretazione di Saccoia, che dà voce a tutti i personaggi. Lui ne manovra solo uno, il padre, dal chiaro sembiante eduardiano, omaggio al grande maestro. Le altre marionette hanno volti che assomigliano a persone reali.
Insomma c’è una sorta di realismo magico che scorre nell’allestimento e che, anche grazie alla precisa e raffinata ricerca sui costumi delle marionette (che si deve a Federica del Gaudio), rafforza il rimando al realismo degli anni ’50 e ’60. Saccoia si muove sulla scena, ma ha l’abilità di sapersi anche rendere invisibile, qualità indispensabile per aumentare la stereofonia e muovere lo sguardo dentro la costruzione scenica: la regia abilmente sfrutta la cosa, per portare l’occhio ora sull’attore ora sui burattini.
Tale scambio continuo di campo visivo fra macchina e rappresentazione è il vero pregio tecnico, oltreché poetico, del secondo atto, una costruzione di ottima fattura per chiunque si occupi di teatro di figura o teatro su nero con manipolatori in scena, o di presenza di umani e manichini nella stessa recita. Qualsiasi spettatore, anche quello più a digiuno di tecniche teatrali, non può non rendersi conto del notevole lavoro sul corpo, sulla voce e sul movimento: tutto concorre a definire una resa mirabile, in cui non manca l’alternarsi di tragico e comico, elemento peculiare del testo.
Si arriva quindi al terzo atto: il piedistallo centrale torna a essere, come il letto del primo atto, perpendicolare alla platea nel senso della profondità. L’emiciclo della scenografia lignea, che nel secondo atto è una specie di antro che accoglie la recita, diventa invece abitato dagli umani: le marionette sono poste sedute sul soppalco mentre sotto il soppalco, vestiti di nero e seduti sotto la struttura emiciclica, ci sono tutti i manovratori che incarnano in grandezza naturale i personaggi/marionetta posti in alto.
Ii bisbiglianti stanno attorno a letto del moribondo, aspettando quello che ormai è chiaro sarà il naturale epilogo. La giaculatoria religiosa viene sussurrata, mentre le voci si sovrappongono in un ricamo sonoro in cui lo spettatore, un po’ come nel primo atto, quasi resta oniricamente confuso su chi davvero stia parlando, su dove guardare, quasi a naufragare, a perdersi dentro la creazione eduardiana, senza il supporto della relazione diretta fra voce e marionetta che si muove.
La regia, pur senza che la citazione sia mai esplicita o smaccata, gioca a rimandare anche a tutto il lavoro di ripensamento che su questo testo è stato fatto dal teatro contemporaneo italiano negli anni recenti. Si tratta di piccole gemme, forse nemmeno realmente volute ma che ricorrono, mostrando come la creazione sia costruita guardando non solo a Eduardo ma a tutto il teatro a lui succeduto, unico modo indispensabile per riuscire a ravvivare un patrimonio e un’eredità diventata con il tempo troppo pesante e che gli artisti del teatro contemporaneo hanno preferito non affrontare più, tanto che alcuni anni fa la decisione di Antonio Latella di affrontare questo testo fu davvero sorprendente: ne venne fuori una forma deflagrata e surreale, come in parte anche questa è.
È venuta poi la produzione del Piccolo Teatro nella forma del monologo, affidata a Fausto Russo Alesi e anche questo lavoro in qualche modo respira dentro lo spettacolo di cui parliamo, non foss’altro per la scelta di costruirlo in larga parte nella forma della recita polifonica affidata però a un unico attore che interpreta tutte le voci.
Non va poi dimenticato che l’ultima operazione teatrale di Eduardo fu una recita de La Tempesta di Shakespeare in cui lui compiva questa stessa operazione con le storiche marionette della famiglia Colla.
Il Natale cum figuris è una creazione di pregio, che merita una circuitazione ampia, sia per la capacità di rileggere il testo che per l’abilità di farlo utilizzando linguaggi diversi con maturità da parte di tutte le maestranze coinvolte e dall’attore in scena, e con un livello di precisione molto alto e la densità poetica non può che ulteriormente affinarsi e aumentare con l’andare della tournée che ci auguriamo sia lunga e duratura, man mano che i mille meccanismi dei piccoli movimenti delle marionette che nutrono la recita, saranno diventati a loro modo automatici e gli interpreti stessi potranno entrare ancora più specificamente in quella dimensione ormai rara a teatro, di conoscenza del doppio fondo poetico dell’atto scenico che solo la ripetizione permette.
Da questo punto di vista, si deve rendere assolutamente merito alla direzione artistica del Teatro Bellini di aver coraggiosamente deciso di ospitare lo spettacolo per tutto il periodo natalizio, scelta che esce dalla logica consumistica che ormai connota il teatro italiano, che per molti spettacoli conosce ormai solo la possibilità di una decina di repliche. Si tratta di un sistema che non esitiamo a definire criminale rispetto all’atto artistico, e che proprio questo virtuosissimo caso aiuta a poter denunciare. Il bello matura se ha il tempo, non in una raffica di produzioni fatte per riempire le tabelle ministeriali.
Considerando la gestazione pluriennale di questo lavoro, rallentata sicuramente dalla pandemia viene quasi da dire che non tutti i mali vengono per nuocere, perché la pandemia a questi artisti come a molti altri, ha regalato un tempo inaspettato per poter far lievitare le grandi domande, lavorando con pazienza a creare: è quello che la squadra di Ambrosino, Saccoia, Serao, Fario, Vecchia e tutte le maestranze coinvolte ha fatto.
Per il visibile impegno profuso che vive e pulsa sotto gli occhi degli spettatori è uno spettacolo di quelli rari da vedere e proprio per questo, suggeriamo di farlo.
NATALE IN CASA CUPIELLO
Spettacolo per attore cum figuris
di Eduardo De Filippo
da un’idea di Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia
con Luca Saccoia
regia Lello Serao
spazio scenico, maschere e pupazzi Tiziano Fario
manovratori Salvatore Bertone, Paola Maria Cacace, Lorenzo Ferrara, Oussama Lardjani, Irene Vecchia
formazione e coordinamento manovratori Irene Vecchia
luci Luigi Biondi e Giuseppe Di Lorenzo
costumi Federica del Gaudio
musiche originali Luca Toller
realizzazione scene Ivan Gordiano Borrelli
assistente alla regia Emanuele Sacchetti
datore luci Paco Summonte
mastering Luigi Di Martino
fonica Mattia Santangelo
progetto grafico Salvatore Fiore
documentazione video Francesco Mucci
direttore di produzione Hilenia De Falco
un progetto a cura di Interno 5 e Teatri Associati di Napoli
in coproduzione con Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
con il sostegno della Fondazione De Filippo per i 90 anni di Natale in casa Cupiello