CHIARA AMATO | Amore e Informazioni è uno spettacolo, di produzione del Teatro Elfo Puccini di Milano dove è stato di recente in scena, su testo di Caryl Churchill: la drammaturga britannica contemporanea è nota per il suo stile teatrale non naturalistico, e per i suoi testi che affrontano tematiche di stampo politico come il femminismo, gli abusi di potere e la guerra. L’autrice cominciò, fin dagli esordi della sua produzione, a sperimentare forme di teatro danza, incorporando nella sua drammaturgia frammentata, in cui non vi è un intreccio chiaro ma piuttosto un surrealismo postdrammatico, altre tecniche di performance.
In scena, sotto la regia di Marina Bianchi, il Collettivo Amore e Informazione, formato da tre attori e una performer (Corinna Agustoni, Mauro Barbiero, Elena Callegari, Chiara Ameglio), ripercorre le 57 sequenze in cui è suddiviso testo.
La regista milanese, diplomata alla Scuola d’Arte drammatica Paolo Grassi, dal 1980 al 1992 è stata aiuto regista stabile presso il Teatro alla Scala e ha collaborato negli anni con personaggi che hanno fatto la storia del mondo teatrale e cinematografico italiano come Giorgio Strehler, Luca Ronconi, Sofia Coppola, Ferzan Ozpetek e Gabriele Salvatores.
Il Collettivo Amore e informazioni invece nasce nel 2021, arrivando quell’anno stesso come semifinalista al Premio Cappelletti. Il contesto in cui si è sviluppata l’idea del Collettivo è dunque quello pandemico, ‘in cui l’amore era sospeso, lo si praticava con diffidenza poiché per la seconda volta i nostri corpi e menti erano in preda a un timore diffuso, impegnati a schivare un morbo che ci circondava e avrebbe potuto colpirci’. Una fase in cui l’informazione ha bombardato in maniera massiccia e disorientante le nostre case, creando una confusione e una paura generale nei confronti del domani e delle relazioni interpersonali, che ancora stiamo metabolizzando.
Sulla scena, progettata da Giada Masi volutamente neutra e di colore latte, come una scatola bianca asettica, ci sono, al centro, un tavolo, alcune sedie e pochi oggetti: maschere di animali o di varia umanità, parrucche, cappelli e occhiali da sole, che gli attori indossano nelle differenti interpretazioni.
Sullo sfondo vengono proiettati in loop i titoli delle sequenze, che loro volta durano in alcuni casi pochi secondi, in altri qualche minuto, senza tempi morti o intervalli a separare il flusso della recita, che quindi vuole avere una logica unitaria.
Gli attori in questo habitat risaltano vestiti in completi monocromi di raso colorato (verde, giallo, rosso, azzurro) realizzati da Ortensia Mazzei.
Tutti i dettagli di scena sono estremamente curati: il disegno luci (di Giacomo Marettelli Priorelli) e la colonna sonora (di Andrea Petrillo e Gianfranco Turco) diventano parte integrante del racconto, annunciando brevi cambi e piccoli stacchi, con le luci colorate nei toni pastello e le scelte musicali pop, nelle quali lo spettatore riconosce un background culturale contemporaneo ma già datato, con classici come Bruce Springsteen – You Never Can Tell, Fools Garden – Lemon Tree, Battisti – Sì viaggiare e Il Genio – Pop porno.
Lo spettacolo inizia con la sequenza intitolata Segreto e si conclude con Ultima Scena e, senza che sia ben chiaro allo spettatore, l’opera intera è suddivisa in sette sezioni, tutte sui temi dell’informazione e dell’amore, che danno appunto il titolo allo spettacolo: dalla brama, alla possibilità di relazione fra questi due elementi cardine.
In alcuni sketch è più chiaro che in altri in senso del messaggio di cui la regia vuole farsi latrice. Si tratta di capitoli brevissimi (come Danza, Raffreddore, Cane) in cui vengono posti sotto gli occhi dello spettatore piccoli frammenti di vita: un passo di danza, uno starnuto, un padrone che tira al guinzaglio il proprio animale domestico; sono episodi che non richiedono un’analisi interpretativa complessa, né pretendono di scatenare una suggestione emozionale.
Il risultato che ne deriva sul pubblico è ambiguo, come lo sono la contemporaneità e la coesistenza di immedesimazione e straniamento durante lo spettacolo: situazioni appartenenti all’ambito del quotidiano, vissute da chiunque, almeno una volta nella vita (Sesso, Ex, Semaforo), si alternano con altre meno frequenti (come ad esempio Il Bambino Che Non Conosceva La Paura, Il Bambino Che Non Conosceva Il Dolore, Il Bambino Che Non Conosceva Il Dispiacere) in cui le parti dialogiche tra gli attori arrivano a durare pochi minuti, rimanendo comunque in superficie.
Le sequenze riconducibili per ispirazione al periodo di clausura pandemica sono immediatamente identificabili, in quanto vicine nella nostra memoria (e chissà per quanto ancora vi resteranno impresse): già i titoli (Laboratorio, Terminale, Reclusi, Lutto) vogliono riportarci alla precarietà della vita, legata ad un filo labilissimo, in condizioni di malattia e reclusione dalla socialità. In questi episodi i dialoghi hanno un tono malinconico, lugubre a tratti, di solitudine e paura e la resa si fa più densa: sono questi i punti dello spettacolo in cui si ritaglia un vero e proprio “tempo di dialogo”.
L’elemento di maggiore interesse risulta essere il lavoro svolto sugli e dagli attori in scena: danzano, cambiano continuamente il tono, i personaggi e l’interpretazione sotto lo sguardo attento della platea. Voltando le spalle alla sala, i performer entrano in nuovi intrecci e nuove storie, raccontate e accennate con estrema rapidità, anche talvolta generando un motivato (e voluto?) senso di smarrimento.
La presenza dell’elemento coreografico è molto ampia, sia nella recitazione marcatamente fisica, sia come momento di divisione fra le sequenze. Particolarmente intensa la plasticità di Barbiero nelle pose da mimo, l’intimità dello sguardo della Augustoni e della Callegari nei dialoghi, mentre sulla parte coreografica risalta la vivacità di improvvisazione della Ameglio.
Nel complesso la sensazione è di uno spettacolo vivo, ma in cui non arriva a compiersi del tutto una forma finale organica, un cerchio non ancora chiuso.
Decidere di mettere in scena un testo come quello della Churchill composto, in diverse sequenze, da forme della scrittura che si avvicinano per certi aspetti agli haiku giapponesi, è chiaramente una sfida: l’estrema concisione dei dialoghi lascia spazio ad un vuoto ricco di suggestioni, una traccia che sta per un verso agli artisti, per altro al pubblico (e lettore) completare. Il termine giapponese era in origine hokku, poi haikai no ku, e significava letteralmente ‘strofa d’esordio, verso di un poema a carattere scherzoso’, diventato un modello di processo e salto creativo tutt’altro che agevole e spontaneo, per il quale era necessario un rigido training, come quello che è palese essere alla base della strutturazione registica di Amore e Informazioni. Ma non tutto, nella concitata concisione, arriva a destinazione.
AMORE E INFORMAZIONI
di Caryl Churchill
traduzione Monica Capuani
regia Marina Bianchi
con Corinna Agustoni, Mauro Barbiero, Elena Callegari, Chiara Ameglio
coreografia Chiara Ameglio
oggetti e costumi Giada Masi
realizzazione costumi Ortensia Mazzei
luci Giacomo Marettelli Priorelli
sound designer Andrea Petrillo, realizzazione suono Gianfranco Turco
assistente alla regia in stage Stefano Bovio
produzione Teatro dell’Elfo
collaborazione artistica Fattoria Vittadini
15 gennaio 2022, Teatro Elfo Puccini, Milano