GILDA TENTORIO | Milano ti sorprende. Seguendo lo skyline modernissimo, ti trovi a passeggiare nel quartiere Isola, di forte vocazione operaia e artigiana e oggi simbolo della rigenerazione urbana della città. Ma sotto le luci e le vetrate dei maestosi grattacieli, puoi riscoprire edifici bassi, piazzette che si spalancano all’improvviso, il mercato rionale, le case di ringhiera.
Dietro al pesante portone di via Jacopo dal Verme 16, una casa a corte si affaccia su una grande terrazza con un’importante opera d’arte contemporanea di Paolo Ferrari. Dialogo fra vecchio e nuovo. È questo il nido di Isolacasateatro, associazione culturale no profit che, nell’ottica della contaminazione, dal 2004 promuove attività artistiche e culturali (spettacoli, laboratori di arte, musica, danza, dibattiti), con attenzione alla complessità del mondo attuale.

Questa sera fa freddo e lo spettacolo si svolgerà all’interno. Suona spesso il citofono e nell’appartamento-casa artistica arrivano gli spettatori-ospiti: alcuni sono habitué, altri entrano più circospetti e curiosi. Prendiamo posto nella sala accogliente e ci guardiamo intorno: parquet, un pianoforte, pareti decorate dalle opere del pittore Ferrari, pennellate colorate e decise, densità materiche che urlano un’urgenza espressiva dirompente. Tra poco questo diventerà il palcoscenico: una lavagnetta, libri sparsi a terra, un poster con la famiglia Mozart e fogli appesi ovunque con disegnate le lettere dell’alfabeto greco.

ph. Gilda Tentorio

Sono qui per un interessante esperimento promosso da Teatro Multilingue, una giovane ed energica compagnia nata nel periodo buio della pandemia con l’idea di sfondare confini, ostacoli e pregiudizi attraverso l’arte: dopo aver prodotto cortometraggi, sono approdati a performances teatrali che stanno viaggiando per l’Europa riscuotendo apprezzamento di pubblico e critica. Qual è la sfida? Strutturare una creazione artistica multilingue con l’obiettivo di dissolvere il concetto di “diversità” linguistico-culturale, un inno cioè alla coesistenza pacifica e collaborativa, per una più solida consapevolezza europea.
È significativo che questo esperimento avvenga nel quartiere Isola, che a dispetto del nome è aperto al meticciato: la lingua è il veicolo primario della comunicazione ma non va percepita come un ostacolo bensì come un fluido unificatore.

È questa la percezione che abbiamo nell’ascoltare la storia di Goodbye papà, scritta da Francesco Baj e recitata in monologo da Flavio Marigliani (anche regista). Seduto al pianoforte, il Figlio cerca di concentrarsi sullo studio dello spartito mozartiano, ma qualcosa lo distrae: un manualetto di conversazione turistica che invita a visitare la Grecia, “un’avventura che sarà ancora più magica se riuscirete a comunicare con Yorgos ed Eleni, uscendo dai luoghi comuni”. Lo spettacolo si muoverà su diversi piani linguistici: italiano, inglese, greco, e la musica di Mozart come collante unificatore, commento o contrappunto. Il Figlio è un giovane pianista in carriera profondamente legato alla madre, anch’ella musicista. Entrambi hanno vissuto il trauma dell’abbandono da parte del padre inglese. Dopo anni di silenzio, ecco la notizia improvvisa: Father è morto in Egitto e la sua volontà è di lasciare simbolicamente “half of him” al proprio figlio in Italia e l’altra metà alla figlia in Grecia. Seguiamo quindi la ricostruzione frammentaria dei ricordi di una vita difficile senza il padre, ma anche il fascino per la sua figura libera che, forse anche per il privilegio linguistico dell’universalità, è capace di adattarsi e conquistare ogni ambiente.

ph. Violetta Canitano

Lo spettacolo, pur con qualche sbavatura nella gestione del ritmo, è un interessante atto d’amore verso le lingue e una riflessione sulla complessità del nostro essere al mondo: chi sei veramente se hai madre italiana, padre inglese, una fantomatica sorella greca che non hai mai conosciuto, e ti nutri ogni giorno della lingua universale che è la musica?
Dopo l’abbandono, Figlio riversa sulla “lingua-padre” il suo rancore, in una forma di ribellione deformante che si può leggere in chiave psicanalitica (“uccido” il padre e la sua lingua) ma anche anti-coloniale (“uccido” la lingua dominante). Senza l’inglese oggi però è impossibile muoversi in ambito internazionale ed ecco che compare imprevista la curiosità per un’altra lingua, lontana e diversa. Nella chimerica ricerca del “sun” (che ha comportato l’abbandono del “son”), Father si è volto all’Egeo, dove ha sedotto una donna greca per poi lasciarla, insieme alla loro figlia. Situazione speculare e “simpatetica”.
Il diario immaginario di Figlio con Father, che scivola dall’italiano all’inglese, si arricchisce ora di una nuova e inedita prospettiva: il greco moderno. Nella smania di conoscere il padre, Figlio ripercorre simbolicamente il suo viaggio di attraversamento di un’altra cultura, imparando questa nuova lingua, e scrive lettere alla sorella greca. Grazie a queste analogie e specularità, alla mimica e alle assonanze (spesso le parole greche sono già presenti nel nostro vocabolario), il pubblico riesce a seguire anche le parti recitate in greco moderno, facendosi cullare dalla musicalità. Quell’incipit delle lettere, Agapimèni mu adelfì (My dear sister, cara sorella) diventa un refrain musicale, i primi balbettii si fanno sempre più sicuri, anche se mancherà il coraggio di inviare le lettere (il destinatario e l’indirizzo sono sconosciuti).

ph. Violetta Canitano

La ricerca del padre diventa allora ricerca delle proprie radici nell’altro, per scoprire che la diversità si scioglie in identità, anzi l’altro è metà di me stesso. Questo miracolo di riconoscimento e reciprocità avviene attraverso i giochi di lingue che si travasano una nell’altra. Ad esempio ciò avviene intorno alla parola “sinfonia”, di cui Figlio riscopre l’origine etimologica: “unione di voci”, fraternizzazione e quindi, con uno shift semantico naturale, in greco moderno la parola indica anche il “patto”. Father è colui che ha infranto i patti, tuttavia alla fine invita alla riconciliazione, all’unione delle metà filiali. Il saluto finale (Goodbye papà) è anche la scoperta di una trasversalità linguistica che aiuta a superare i confini: la lingua-padre dominante e la lingua-madre del cuore si stemperano in una lingua-sorella capace di creare una coralità, una “sinfonia” di suoni simili.

Anche se talvolta il meccanismo teatrale del monologo fatica un po’ a prendere il volo, ci si rende conto che in fondo gli ingredienti sonori delle lingue sono come le note musicali e l’intonazione stessa delle frasi somiglia ai movimenti dei capolavori mozartiani. Così, quando l’inglese sfuma nell’italiano e poi si ammorbidisce nella più esotica veste sonora del greco, si intuisce che si tratta di onde, aggregati sonori che vanno e vengono, si mescolano in una varietà di combinazioni che esprimono le diverse sfaccettature dell’animo umano.


GOODBYE PAPA’


testo di Francesco Baj e Vassilikì Gatsiou          
regista e interprete Flavio Marigliani (con le voci di Dyanne White e Tim Adams)
musiche: sonate per pianoforte di Wolfgang Amadeus Mozart
produzione Teatro Multilingue

Lingue: inglese, italiano, greco moderno

Isola Casa Teatro – Milano, 21 gennaio 2023