RENZO FRANCABANDERA | È da molti anni che Rita Maffei con il CSS di Udine porta avanti progetti di teatro partecipato. Già dagli anni ’90 erano cominciati esperimenti che si sono strutturati poi a metà del decennio passato, dal 2015 in avanti, con la realizzazione di una serie di creazioni nate dai laboratori che venivano svolti con gruppi di partecipanti reclutati tramite delle call. La partecipazione è diventata via via più importante, permettendo ogni anno la realizzazione di spettacoli la cui forza stava nella spontaneità del percorso creativo, particolari per la partecipazione significativa sia degli iscritti, sia per quella del pubblico.
In oltre vent’anni il CSS ha aperto i cantieri di produzione alla cittadinanza, a gruppi di spettatori e a particolari comunità (giovani e studenti, associazioni culturali, detenuti, dipartimenti di salute mentale, over 65), facendoli anche incontrare con professionisti e facendo così crescere consapevolezze e coinvolgimenti attivi.
Rita Maffei è una delle persone che esprime la direzione artistica del CSS, storicamente espressione di un collettivo di persone che, dopo la fusione fra CSS e Accademia degli Artefatti a partire dalla stagione 2019-20, ha visto Fabrizio Arcuri unirsi al gruppo co-direttori artistici composto dalla stessa Maffei e da Fabrizia Maggi.
La regista, in particolare, si è dedicata in questi ultimi anni a diversi progetti di Teatro Partecipato, a Udine, con cittadini di ogni età, dagli 11 ai 80 anni, donne e uomini di diverse esperienze, e con rifugiati e richiedenti asilo per la Fondazione Città della pace, a Potenza.
Ne sono nati spettacoli come N46°- E13° (con 100 cittadini udinesi), Lady Europe 2.0, episodio parte del progetto collettivo EU Europa Utopia che ha aperto il Mittelfest 17, Ufficio Ricordi Smarriti, in scena per 6 mesi, Human Link con richiedenti asilo.
Grande successo aveva avuto L’Assemblea, spettacolo con 80 ragazze e donne in scena per ricordare il ’68 e le sue conquiste al femminile. Ma il percorso con le donne è proseguito anche con Sissignora!, un progetto sulla leadership al femminile per Mittelfest 19, e tanti altri ancora, sia a Udine che in altre regioni, come MurMur, organizzato nell’autunno 22 nell’ambito di ARIA – Festival di teatro dell’Università dell’Aquila, e ancora in Basilicata, in Puglia e a Roma.
I materiali di origine autobiografica che emergono nel percorso di pratica artistica vengono organizzati dalla regista per poi prendere la forma di una restituzione, che ha caratteristiche di qualità piuttosto alte. In questo caso il pretesto è stato l’anniversario pasoliniano del 2022, cui in regione Friuli sono stati dedicati numerosissimi eventi.
Comizi d’amore è lo spettacolo originato dal laboratorio 2022 ispirato al film inchiesta sulle abitudini sessuali degli italiani, girato da Pier Paolo Pasolini più di 50 anni fa.
Sotto la guida della Maffei, i partecipanti hanno sviluppato un itinerario soggettivo e di gruppo sull’amore, inteso nel senso più ampio, dalle relazioni, alle questioni di genere, al sesso, interrogandosi su una serie di questioni focalizzate intorno all’educazione sessuale e sentimentale.
Sono interpreti generalmente di età matura quelli che abbiamo di fronte nello spettacolo finale: sembrano i bambini di quel film che ricordano il proprio vissuto, come se tra il video e alcune delle presenze che accolgono gli spettatori fosse trascorso il tempo della vita, che ora viene in qualche modo guardata con quella capacità panoramica, nostalgica e un po’ rasserenata, che solo la maturità possiede. Ma non mancano partecipanti più giovani, di età post-adolescente o della prima maturità.
L’esito del processo creativo ha debuttato a dicembre scorso all’interno del progetto per la stagione 100×100 Pasolini. Queste di febbraio erano le ultime repliche di questa stagione: erano andate avanti dopo la sosta natalizia anche nel mese di gennaio. Ma poi, chissà, le cose belle magari tornano…
Gli spettatori, 20 per volta, al loro ingresso nella Sala Carmelo Bene, vengono accolti da una musica molto alta, dance, Adriano Celentano con il suo Prisencolinensinainciusol,; arrivati nello spazio della rappresentazione richiamati dalla musica, invece di trovare una sala da ballo, vedono disposti dei banchi di scuola e una serie di persone intorno ai muri dell’aula che danzano e si muovono a ritmo della musica.
Sono i partecipanti al laboratorio: di sera in sera, a turno, compongono un mélange di storie e vicende umane che andranno di lì in poi a narrare. Gli spettatori prendono posto ai banchi, la musica si spegne e l’inizio dello spettacolo oscilla fra il video di Pasolini e alcune memorie sulla loro prima volta (anche questa intesa in senso ampio).
Lo spazio è quello di una classe, di un’aula di scuola, la sensazione è quella di tornare per un attimo bambini, indietro nel proprio vissuto, mentre il disegno luci colora l’ambiente di verde e rosa di tonalità fosforescente, creando uno spazio quasi surreale, non fiabesco ma nemmeno didascalicamente realistico.
Comizi d’amore inizia proprio con un estratto video di un’intervista in cui Pasolini chiede a un gruppo di scugnizzi napoletani come nascono i bambini, e questi rispondono al regista fra semplicità e malizia.
Terminato l’inserto video, i partecipanti si alternano a raccontare le proprie vicende in modo ordinato: ora la donna di ottant’anni che ricorda le sue prime resistenze al suo fidanzato, in spiaggia dentro una di quelle cabine a strisce bianche e rosse che ora non ci sono più; ora quella con il vissuto personale nelle favelas del Sudamerica ad aiutare persone disperate a cui mancava ogni possibilità materiale. All’eccesso opposto donne con vissuti di grande agio ma fondato poi su un vuoto di relazione e di sentimenti che dilania la vita. E poi storie di maltrattamenti, di rapporti con figli che dichiarano la loro identità di genere, del timore di essere giudicati.
I protagonisti si alternano di sera in sera, ruotano a turno: praticamente è difficile vedere lo stesso spettacolo, proprio perché il mosaico biografico viene ad arte modificato, cosicché preso un certo numero di spettatori, risulti difficile che questi, in diverse sere, abbiano ascoltato le stesse storie. Quasi un invito a tornare, a vedere e a sentire qualcos’altro.
La postura di queste interpretazioni, portate al racconto in terza persona, resta quella di una recitazione piana e che non ha velleità attorali tali da far spostare il contenuto da una narrazione sentita verso forme di rappresentazione: proprio la semplice onestà delle autobiografie, la compostezza dei gesti, delle azioni proposte dai narratori nello spazio, fra i banchi, porta in diverse occasioni il pubblico a sentire emozione vera, un’emozione che alla fine si chiede che venga distillata in qualche parola dagli spettatori, su quello che ritengono sia amore per ciascuno di essi. Un piccolo compito di scuola, da fare in classe, in forma libera.
Le parole vengono poi lette agli altri presenti, come se fosse la partecipazione all’esito da parte degli spettatori che assumono in questa forma un ruolo attivo.
La creazione finisce fra ironia e nostalgia, ritornando alla dance iniziale, con cui lo spettacolo inizia e si chiude.
Considerando che a furia di guardare spettacoli, alla fine si fa un po’ il callo e ci si emoziona poco, perché la funzione critica prevale e crea quel naturale filtro dovuto all’abitudine che smorza la meraviglia, attutisce le emozioni; ecco, considerando tutte queste cose, riuscire ad avvertire quanto una cosa semplice, onesta, riesca a penetrare queste barriere e a portare in forma diretta il proprio sentire anche allo spettatore abitudinario, più incallito e refrattario allo stupore emotivo, è un risultato che la dice lunga sull’esito ma anche e soprattutto sul progetto e sul percorso creativo.
ideato e curato da Rita Maffei
produzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG
100×100 Pasolini
In collaborazione con Associazione culturale Teatro Pasolini e Comune di Cervignano del Friuli