CHIARA AMATO | La vicenda dei Caini, spettacolo portato di recente in scena al Teatro Franco Parenti di Milano dalla compagnia I pesci, con drammaturgia e regia di Mario De Masi, è il terzo capitolo di una trilogia dedicata alla famiglia: arriva dopo Pisci ‘e paranza (2015), segnalazione speciale al Premio Scenario 2015, che affrontava il tema in relazione alle questioni della marginalità; e Supernova (2018), vincitore del bando ARTEFICI Residenze creative FVG, che indagava la disgregazione di un nucleo familiare, in seguito a un lutto.
Con Caini inizia un percorso di ricerca sulla verità e la menzogna, sul legame tra arte e convenzioni sociali, sul rapporto tra colpa e pena e sulla relazione necessaria tra sacro e violenza nel sacrificio. Il progetto inoltre ha vinto la prima edizione del Premio Leo de Bernardinis per artisti e compagnie campane under 35 ed offre nei suoi tre episodi creativi un convulso spaccato sulle ossessioni e i ricatti della vita familiare e del matriarcato, con un ritmo e un’azione scenica brillanti.
La compagnia, nata a Napoli nel 2014, gode, per la realizzazione dei suoi progetti, del sostegno dell’ex Asilo Filangieri di Napoli ed è composta da artisti con formazioni diverse ma accomunati dallo sviluppare un codice teatrale costruito intorno a drammaturgie originali, partendo dalla conoscenza dei classici.
La scena, ideata da Marino Amodio, si presenta come uno spazio nero, con una lapide sullo sfondo, dove gli attori (Alice Conti, Alessandro Gioia, Giulia Pica, Fiorenzo Madonna, Antonio Stoccuto) entrano, illuminati da una flebile luce di candela, e in coro proferiscono maledizioni. Con lo stesso tono della preghiera, sembrano parafrasare il Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi: ‘maledetta sia la notte… maledetti siano i tramonti e le creature di Dio… maledetto il sole che abbaglia i giorni di disgrazia… maledetta sia la luna, in cui ormai non trovo più risposte’.
Nella seconda parte di questa introduzione viene poi anticipato il nodo centrale della vicenda: la famiglia, come una struttura chiusa, fatta di ossessive raccomandazioni ai figli. Figli ai quali la madre insegna l’importanza di essere uniti perché ‘la vita spazza via chi non sa a chi appartiene’. Questo elemento allontana fin da subito i mondi della mater familias e del genero, in quanto quest’ultimo, nella vicenda, si presenta come solo al mondo: non “appartiene” a nessuno.
Nuovamente al buio, inizia un gioco di luci (disegnate da Desideria Angeloni), grazie ai led posti in cima, che illumina l’incontro di una coppia di giovani in discoteca, interpretati dal duo Madonna/Conti: alterati da sostanze, si innamorano ballando.
Lo spettacolo prosegue entrando nell’ambiente familiare di Conti: più che una famiglia, appare da subito un clan claustrofobico, a struttura matriarcale, composto da una madre (Pica), iper-presente e ossessiva, e due fratelli, troppo premurosi e invadenti (Gioia e Stoccuto). Il padre manca: come si direbbe oggi ‘è andato via’, o meglio è morto anni prima, e i fratelli sembrano occuparsi di affari poco leciti.
Nell’incontro con il nuovo fidanzato, il clan dei Caini è inquisitorio perché il giovane è un artista e proviene da una zona della città abitata da gente tranquilla: è un alieno per il loro modo pragmatico di vedere la vita. Madonna viene inizialmente inserito in questo non-equilibrio familiare con invadenza: tutti i Caini vogliono che ne faccia parte, alle proprie regole, ma sono i primi a rigettarlo quando sentono che appartiene a un orizzonte di valori e aspettative diverse.
In un finale di sovvertimenti simbolici si arriva aa un’evoluzione dei segni scenici in cui la lapide diventa tavola e il clan dei Caini divora avidamente qualcosa di indefinito, da un piatto comune, come bestie nella mangiatoia.
Lo spettacolo rivela un equilibrio ben costruito fra la scenografia, le musiche (originali di Alessandro Francese) e il disegno luci; questi elementi si intrecciano con il testo e l’interpretazione degli attori, sono cuciti armoniosamente. La scenografia è mobile, gli interpreti la cambiano di continuo, e l’elemento principale è utilizzato non a caso in duplice funzione: una lapide diventa tavola, che torna lapide, che diventa nuovamente tavola, intorno alla quale il nucleo familiare litiga, mangia, si racconta.
La rappresentazione sviluppa segni che tracciano un filo conduttore nelle opere della trilogia con un riconoscibile legame fra queste: il fuoco delle candele come il focolare domestico, intorno al quale la famiglia di riunisce, unico elemento vivo della scenografia; e il ciclo vita-morte, relazione-nutrimento di cui diremo oltre, legato all’icona femminile.
Le regie di De Masi, sono caratterizzate da elementi comuni: i dialoghi, che proseguono veloci, unendo nonsense e ironia, con abissi di riflessione sui grandi temi della vita (Dio, i ricordi, la famiglia, la morte, il senso dell’esistenza, l’arte). Si respira l’influenza di Dostoevskij nei testi e di Beckett nella trasposizione scenica, con personaggi in chiaroscuro e con grandi zone d’ombra.
Tutti in scena nascondono qualcosa all’occhio dello spettatore come lo nasconderebbero a qualsiasi sguardo esterno nella vita, ma tutto ciò è reso dal lavoro che gli attori fanno sul corpo e sul suo linguaggio. Meravigliosi i tic di Stoccuto nel raccontare un suo sogno ricorrente fatto di sangue e di memoria paterna: si gratta le tempie e se le preme come un tossico in astinenza, si contorce negli arti come un bambino terrorizzato. Interessante la ricorrenza con cui Gioia continua a mangiare con voracità, nei momenti di maggior pathos, perché in quella ricorrenza il regista ammicca al pubblico, che ormai se lo aspetta e ne coglie il senso: la necessità umana di riempire qualcosa che resta comunque cavo.
La cava infatti, ne I Caini, è sia un luogo fisico sia una metafora, utilizzata nell’opera del personaggio interpretato da Madonna, e rappresenta quel luogo dello spirito dove riponiamo quello che non vogliamo si sveli di noi: il luogo delle pulsioni inconfessabili.
Intenso anche il lavoro svolto da Pica e Conti, in questo legame madre/figlia in cui le due donne non si somigliano nell’utilizzo del corpo e della parola, ma dove la prima esercita un forte potere sulla seconda, un potere seduttivo e manipolatorio; la madre è la Famiglia, è quel concetto di Famiglia specifico in cui il clan viene prima di qualsiasi estraneo, di qualsiasi amore e cava personale. Accanto alla figura della Madre accogliente, simbolicamente rappresentata dalle grandi divinità, si staglia in questo narrato l’immagine oscura della madre terribile.
Tale duplicità è consacrata fin dall’antichità mitologica greca nel binomio Demetra-Persefone, madre-figlia, in cui la prima è l’icona della fertilità mentre la seconda diviene divinità degli inferi, colei che conduce alla morte: non a caso per De Masi la tavola imbandita diventa sepolcro e il sistema matriarcale, come quello patriarcale d’altronde, una gabbia soffocante.
CAINI
drammaturgia e regia Mario De Masi
con Alice Conti, Alessandro Gioia, Giulia Pica, Fiorenzo Madonna, Antonio Stoccuto
elementi di scena Marino Amodio
costumi Anna Verde
disegno luci Desideria Angeloni
disegno sonoro Alessandro Francese
assistente alla regia Serena Lauro
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
in coproduzione con la compagnia I Pesci
in collaborazione con Asilo – ex Asilo Filangieri di Napoli
23 febbraio 2023 | Teatro Franco Parenti, Milano