GIORGIO FRANCHI | Chi bazzica i teatri di Milano conosce bene il Salone di via Ulisse Dini: un labirinto, avviluppato al suo stesso interno, la cui soglia è un’insegna costellata di lampadine da vecchio cinema e il cuore lo spazio scenico, geometrico e squadrato come in un gioco di scatole cinesi. A interrompere le linee rette delle pareti spoglie, che danno l’impressione di trovarsi laddove tutto può succedere, uno scalone a elica che separa il foyer dalla platea, lo stile artificiosamente scarno e industriale dal barocco futuristico dell’ingresso.
Una somma di elementi solo apparentemente incoerenti, visti nel loro insieme aprono però nuove possibilità di concepire l’esperienza della realtà: si può dire, pertanto, che il Salone sia un ottimo manifesto per PACTA, che vi risiede da sette anni. Cavallo di battaglia della compagnia è infatti la rivisitazione dei classici, con un approccio che tuteli la memoria dell’originale ma che non si faccia remore a rimetterne in discussione la forma per sviscerare il contenuto più profondo.
Ecco quindi che la Madame Bovary riscritta e diretta da Annig Raimondi si scrolla di dosso ogni leziosità, tutta quella patina confortevole che, ai nostri occhi, riveste la letteratura ottocentesca: la polvere sugli abiti vecchi, le bruciature delle vecchie pellicole, il brusio ipnotico della puntina sul vinile: nulla di tutto ciò. La scelta di Raimondi di recitare come protagonista, nonostante il divario anagrafico con il suo personaggio, si configura come volontà di universalizzare i contenuti dell’opera, trascendendo la semplice mimesi estetica. Assecondando lo spazio la scenografia di Fulvio Michelazzi si presenta all’insegna di un pattern di cubi: tavoli, bauli, un letto, un vecchio televisore compongono una silhouette di segmenti spezzati da angoli retti. Segue la stessa linea la recitazione: per tutto il prologo gli attori, Annig Raimondi e Riccardo Magherini, non si guardano. Ogni volta che lei si appella a lui, lui le offre le spalle. Si sviluppa così il germe della coreografia che animerà tutto lo spettacolo: le immagini degli ambienti borghesi descritti da Flaubert diventano partiture gestuali alla Pina Bausch, estenuanti e alienanti come la vita di chi vorrebbe essere sempre altro da sé.
La riscrittura, infatti, coglie nel segno quando si tratta di restituire allo spettatore l’immortalità del classico: la storia di Madame Bovary è, in fondo, quella di tutti noi. La sospensione tra la vita quotidiana e quella desiderata è un topos dell’eroina di Flaubert – delusa dalla monotona vita matrimoniale e lentamente trascinata al suicidio – quanto della nostra epoca. Le mura domestiche in cui erano confinate le donne, senza eccezioni, all’epoca del francese (lo spettacolo rientra nella rassegna Donne Teatro Diritti), si spostano qui sul piano mentale, si trasferiscono ai gesti e alle battute che cadono nel vuoto, come se nessuno fosse disposto ad ascoltare il grido d’aiuto di Emma.
Al piano della recitazione si somma una voce esterna, quasi ininterrotta (non sempre udibile in ogni punto della platea), che introduce i personaggi nel loro ingresso e agisce quasi da demiurgo, incombendo come una spada di Damocle su una storia che sembra sfuggita al controllo dei personaggi e passata nelle mani del destino. Man mano che la tragedia si consuma, pur lasciando spazi al comico (spazi che Magherini occupa con maestria artigiana, dando all’apatia della Bovary i volti grotteschi di eroi della mediocrità), la voce esterna, quelle interne e le musiche originali di Maurizio Pisati si affastellano sempre più.
Ne risulta un mosaico caotico e non facile da decifrare, come l’immagine di Emma riflessa in uno specchio rotto in frantumi, preludio dell’inevitabile dramma finale. La scelta è coraggiosa e coerente ma abbisognerebbe forse di una maggiore sintesi. Si ha la sensazione che la riscrittura avrebbe potuto scegliere più marcatamente una sola linea narrativa del testo originale, mettendola in risalto sopra le altre, anche a costo di sacrificare un po’ la complessità dell’opera. Si badi: non semplificando, ma dando al pubblico un appiglio più solido prima del tuffo nei meandri della psicologia di Flaubert.
Lo spettacolo si presenta comunque efficace e capace di mantenere saldamente l’equilibrio ricercato fra tradizione e innovazione. Gli interpreti donano, con la buona recitazione, momenti di calore che contrastano con il tono freddo scelto dalla regia per le luci e le scene. È una Madame Bovary sanguigna, verace per quanto aggraziata, caparbiamente protagonista: una donna moderna in un mondo antico, eredità di un mondo con il quale non abbiamo mai definitivamente chiuso. E con il quale, prima o poi, dovremo fare i conti.
MADAME BOVARY
scrittura scenica e regia Annig Raimondi
con Annig Raimondi e Riccardo Magherini
spazio scenico e disegno luci Fulvio Michelazzi
elementi scenici Progetto Ri-costruzione ASST Lodi
musiche originali Les violons d’ Emma Maurizio Pisati
installazione musicale Loris Mattia Siboni
costumi Nir Lagziel
assistenti alla regia Marianna Cossu e Maria Grosso
produzione PACTA. dei Teatri
Salone PACTA. dei Teatri, Milano | 16 marzo 2023