LILIANA TANGORRA | Cammelli a Barbiana. Don Lorenzo Milani e la sua scuola è lo spettacolo con Luigi d’Elia, su testo di Francesco Niccolini, per la regia di Fabrizio Saccomanno, andato in scena il 18 marzo presso il teatro Comunale di Corato.
Cammelli a Barbiana è un monologo dedicato allo “scapestrato” prete toscano che tutti conoscono o ricordano per aver ideato un’utopica scuola in un paesino di montagna nel Mugello: Don Lorenzo Milani.
Ad attendere il pubblico, prima dell’arrivo dell’attore, le musiche di Fabrizio De Andrè con le loro sonorità sincretiche tra tradizione medievale, popolare e ballate romantiche, che hanno sintetizzato perfettamente il prologo della storia. Le parole cupe, affollate di anime perse ed emarginate, di messaggi di libertà e di riscatto di De Andrè diventano complementari al desiderio di rivincita sociale nei protagonisti della storia di Don Milani.
D’Elia narra le vicende del prete che oggi definiremmo un outsider, confermandosi attore di grande talento; descrive e interpreta la storia di Don Milani, restituendone il sentire franco, caparbio e coraggioso.
D’Elia principia con la storia meno nota del prete legata alla sua scriteriata gioventù. L’adolescenza di un figlio, senza particolari meriti soprattutto ‘”scolastici”, di una famiglia tra le più ricche di Firenze, che combina il suo essere viveur ai capricci da pittore fuorisede. Nel mentre la Seconda guerra mondiale imperversa in Italia e i giovani muoiono, Lorenzo avvia il suo processo di “conversione”, facendolo proprio nel momento in cui incontra il suo padre spirituale: Don Raffaele Bensi. Da qui l’impeto del giovane ribelle si tramuta in studio costante, in azione e dedizione all’altro. Lorenzo è impressionato dalla celebre frase del Vangelo di Matteo: «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli». Entra in seminario e prende i voti, ma è da subito bollato come officiante ribelle, pertanto spedito in una parrocchia dimenticata: a Barbiana. Qui Don Milani con pochi mezzi e scrivendo schiette lettere in cui chiede solidarietà per la comunità remota in cui abita, fonda la famosa scuola di Barbiana. Una scuola che, ancora oggi, verrebbe definita “illegale”, ma espressamente rivolta a coloro che, per mancanza di mezzi, sarebbero stati dalla società inevitabilmente destinati a rimanere vittime di una situazione di subordinazione sociale e culturale. A Barbiana, Lorenzo sperimenta il metodo della scrittura collettiva per una scuola inclusiva e democratica, parole che ancora oggi echeggiano nelle istituzioni scolastiche, non sempre rese atto.
La scena del Teatro Comunale di Corato è completamente vuota, scura. D’Elia è l’unico occupante del cupo palcoscenico che ha colmato solo con la sua voce, tridimensionalizzando la figura di Don Milani. Quella di D’Elia è una narrazione incessante e furiosa: troppe sono le idee del prete da tradurre in azione. L’attore è narratore, ma al contempo conduttore della volontà di Lorenzo: parla con chiarezza, non limita il proprio pensiero lo rende, spesso, irascibile.
La narrazione, dunque, conduce lo spettatore a Barbiana, in quella scuola a tempo pieno che Milani bilancia tra rigore e condiscendenza. Non mancano nella narrazione accenni all’ostruzionismo che Milani subisce durante la sua carriera religiosa, dalla diocesi fiorentina così come dalla Santa Sede, le pressioni della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista a causa dell’assioma che caratterizza la sua opera: «risolvere il problema degli ultimi è una questione politica». Da outsider, per l’appunto, Milani vuole fare scuola ai poveri e con i poveri, scrollandosi di dosso quella macchia nera che lo assilla: essere un ricco tra gli indigenti.
La storia si chiude con la morte del priore; mentre D’Elia dipinge con le poetiche parole di Niccolini la visione di un cammello in volo sui colli del Mugello, finalmente, Lorenzo riesce a passare per la cruna di un ago, sotto gli sguardi esterrefatti dei ragazzi di Barbiana.
Produrre monologhi oggi – solo per semplificare la vexata quaestio sull’argomento che non è il caso di approfondire in questo contesto – è diventata una necessità dettata da fondi pubblici o privati a beneficio della ‘cultura’ , sempre più risicati, compromettendone, spesso, il risultato finale. Questo non sembra, però, incidere sul lavoro di D’Elia. Alcuni monologhi rimangono impressi nella memoria di chi li ascolta, perché in grado di toccare le corde giuste e di smuovere qualcosa nel profondo dell’animo; perché capaci di fornire la motivazione e la carica per definire le meraviglie e le brutture del micro e del macro cosmo; questo è il caso di Cammelli a Barbiana.
Il finale dello spettacolo corona una mise en scène caratterizzata da un testo che sembra inciso nelle rocce del Mugello così come nella memoria collettiva e che gioca a definire i tratti eroici di un uomo di chiesa, senza mai scivolare nell’ovvietà o nella piaggeria.
Uno spettacolo che sembra indicare una possibile strada a chi vorrebbe essere qualcuno. Un testo che ci fa comprendere come il ruolo sociale e antropologico della scuola sia ancora sottovalutato. Un lavoro d’attore che ci fa capire che la conoscenza del proprio mestiere e la trasposizione di un messaggio consapevole possono fare la differenza fuori e dentro la scena.
CAMMELLI A BARBIANA. Don Lorenzo Milani e la sua scuola
di Francesco Niccolini e Luigi D’Elia
con Luigi D’Elia
Regia Fabrizio Saccomanno
Teatro Comunale Corato | 18 marzo 2023