RENZO FRANCABANDERA | Domenica 26 marzo, a un mese esatto dalla tragedia di Steccato di Cutro (KR), dalle ore 11:30 fino al tramonto ha avuto luogo ARITHMOS – KR46M0, KR14F9 un’opera performativa collettiva pensata dal regista teatrale Giancarlo Cauteruccio.
L’azione artistica ha preso vita sul tratto di mare in cui tante vite sono drammaticamente finite con il naufragio di fine febbraio scorso, per testimoniare il rifiuto di quelle inaccettabili morti, per non dimenticare.
Cauteruccio si è appellato a tutti gli artisti delle terre di sbarco, calabresi e siciliani, affinché potessero incrociare i loro sguardi, cedere la sensibilità e farne opera creativa, per rendere testimonianza attiva a un evento tragico che deve restare nella memoria collettiva e in molti hanno aderito a questa chiamata alle arti, per creare un rito condiviso. Giancarlo Cauteruccio, tornato a vivere da due anni in Calabria, sua terra-madre, ha atteso l’arrivo degli altri artisti seduto sulla battigia della spiaggia di Steccato, guardando il mare, ha condiviso le opere, le azioni, le parole, la musica, per proporre infine, alle 17:30, l’azione poetica collettiva.
Tra le tante adesioni arrivate, quelle de l’Orchestra Sinfonica della Calabria con il direttore Francesco Ledda, l’attore Peppino Mazzotta, gli artisti del Festival Armonie d’Arte, il cantautore Peppe Voltarelli, l’attore Saverio La Ruina, Lindo Nudo con Rossosimona e gli allievi del laboratorio, lo chansonnier Massimo Ferrante, la Compagnia Teatro della Maruca, l’attore Angelo Gallo, il giovane musicista catanese Riccardo Leotta, l’artista Raffaella Leda, l’attrice Laura Marchianò, lo scrittore Marco Ciconte, l’artista e regista visual Massimo Bevilacqua, il fotografo Angelo Maggio, l’autrice teatrale AnnaGiusi Lufrano, la Compagnia bolognese Archivio Zeta, la fotografa Ivana Russo, lo scrittore Giuliano Compagno, l’attore Dario Natale.
Il titolo dell’iniziativa Arithmòs è il numero e vuole richiamare per un verso i numeri pitagorici della scuola fondata a Crotone da Pitagora. Qui egli insegnava l’importanza del numero nella sua valenza misterica, spirituale e scientifica.
Ma KR46M0 e KR14F9 sono i numeri di serie posti su due delle piccole bare bianche, sono i nuovi nomi di un neonato e una bambina che, morendo in un mare lasciato incustodito, hanno perso identità.
Abbiamo intervistato Giancarlo Cauteruccio e Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti di ArchivioZeta, compagnia bolognese che ha aderito alla chiamata.
Giancarlo, come è nata l’idea di questa azione performativa? Quanto sei stato esule tu rispetto alla terra in cui sei nato?
GC – Ogni artista di fronte a una tragedia come quella di Cutro dovrebbe immediatamente sentirsi coinvolto, Responsabile.e dunque io che da quasi due anni vivo sulla costa ionico-calabrese questa mia azione di ritorno, ho sentito forte la necessità di far sentire la voce di chi per forza di cose ha una sensibilità che lo porta a reagire, a osservare con uno sguardo profondo, questa realtà. Ogni artista per essere tale deve in qualche modo farsi straniero, perché entra a far parte di un mondo sconosciuto, per svelarne le cose nascoste.
Come si sono svolti gli eventi? Hai pensato tu ad una regia del loro seguirsi, o è stato tutto naturale e lasciato alla libera organizzazione e al sentimento di ciascuno?
GC – Questo ha fatto sì che gli artisti Calabresi ma non solo, perché poi le adesioni sono venute anche da altre regioni, potessero aderire a questa iniziativa in contrasto con il grande rumore che su questa vicenda è stato fatto, un rumore politico, mediatico molto forte, ma anche molto confuso. Ho pensato che la poesia potesse in qualche modo dare una visione umana, una visione di leggerezza di fronte a quel mare, a quella spiaggia che sono diventati tragici.
Questa tragicità l’ho vissuta pensando all’armonia, al mistero che Pitagora, a pochi chilometri da questa spiaggia, aveva portato nella sua scuola di Crotone, considerando il numero come elemento vitale per l’essere umano. Ma il numero pitagorico che ha avuto grande importanza nella storia della cultura dell’antichità trascinandosi fino alla contemporaneità, ecco questo numero è diventato tragico. Per questo si è voluto intitolare questa chiamata alle arti Arithmós, perché quei numeri inchiodati alle bare di persone che hanno perso la vita, avevano sostituito il nome. Quando il nome si traduce il numero, in sigla, vuol dire che c’è qualcosa che sta andando alla deriva.
Quanti artisti hanno aderito alla tua chiamata? A volte si ha la sensazione del poco che può fare l’arte in questi contesti di dinamiche planetarie. A che serve allora questo tipo di testimonianza?
GC – La chiamata ha generato la presenza di molti artisti, molti noti ma anche moltissimi sconosciuti. La cosa che più mi ha meravigliato e che molte persone che magari scrivono, recitano, dipingono, si sono ritrovate lì e io ho cercato di dar loro una sorta di indicazione. La cosa che io ho chiesto a tutti è stata quella di partire con un lunghissimo silenzio, che raccontasse la sensibilità di persone che sanno guardare oltre sè, attraverso la propria interiorità.
Certo io questa cosa l’ho sentita il particolar modo perché mi trovo in una fase della vita in cui ho scelto di diventare emigrante di ritorno, di tornare la mia terra dopo 45 anni. Questo significa che non posso esimermi da avere un rapporto estremamente profondo con questa terra, e questa vicenda è stato un elemento scatenante, che mi ha portato a prendere una posizione anche attraverso la mia esperienza. Il fatto di aver trovato le adesioni di molti artisti calabresi in qualche modo mi ha aperto un’idea: gli artisti calabresi devono approfittare di questa occasione per avviare una sorta di dialogo permanente, perché quando gli artisti iniziano a guardarsi negli occhi, specialmente in una regione come quella calabrese particolarmente critica, possono trovare occasioni nuove per un percorso comune.
Enrica, Gianluca, perché e come avete aderito alla chiamata di Giancarlo, e in che modo si è sviluppata la vostra azione artistica?
ES/GLG – La nostra adesione alla chiamata di Giancarlo è stata molto semplice: non appena abbiamo letto della sua proposta abbiamo subito pensato di partire con una piccola troupe per cogliere i frammenti di quella giornata.
In realtà è un’adesione che viene da lontano: sono molti anni che attraverso il nostro teatro cerchiamo di mettere in connessione la grande strage di esseri umani che sta avvenendo nel Mar Mediterraneo e il nostro lavoro, soprattutto il lavoro che facciamo al cimitero militare germanico del passo della Futa e in altri luoghi di memoria, come Monte Sole. Nel 2018 con Antigone / Nacht und Nebel abbiamo iniziato a ragionare mettendo in relazione il mito di Antigone – la sepoltura del fratello – con ‘la notte e la nebbia’ di tutti i caduti senza nome così come avvenuto per tanti soldati ignoti mandati a morire nelle guerre o per i desaparecidos e oggi per tutti i sommersi del Mediterraneo. Il nostro lavoro si concentra quindi su due aspetti: il totale silenzio delle istituzioni su queste stragi e l’impossibilità di riconoscere un’identità a tutti i sommersi.
Questo ci porta quindi a compiere una riflessione sull’esistenza e sull’importanza che ha la vita, ogni vita. Senza conoscere i nomi dei sommersi anche le stime sul numero dei morti sono totalmente arbitrarie e questa è un’ulteriore mancanza di umanità e di rispetto per la vita. Il ragionamento spietato degli stati sui confini invalicabili e l’evidenza che l’Europa sia divenuta una fortezza inviolabile e che tentare di attraversare i confini sia qualcosa che mette migliaia di esseri umani quotidianamente in pericolo di vita ci pare inaccettabile, totalmente inaccettabile. Dovrebbe venire ancor prima di tutte le riflessioni sociopolitiche: le persone hanno il sacrosanto diritto di muoversi e migrare. Il nostro è stato quindi un gesto piccolissimo ma per noi di grande valenza simbolica.
Sentivamo il bisogno di andare fisicamente con i nostri corpi su quella spiaggia. Per noi è stato come andare su tutte le spiagge e in tutti i luoghi dove sono avvenute e purtroppo stanno avvenendo queste stragi. La nostra azione artistica quindi si è posta in ascolto di Giancarlo e della poesia Profezia di Pasolini, in ascolto degli artisti calabresi, in ascolto del mare e del vento, alla ricerca dei frammenti dispersi sulla spiaggia. La nostra documentazione non sarà quindi una documentazione puramente descrittiva ma vorrebbe essere il seme di un più ampio lavoro in video.
Oltre alla specifica azione artistica in situ il vostro progetto vorrebbe essere più ampio. In che direzione vi state muovendo?
ES/GLG – Abbiamo girato molto sulla spiaggia alla ricerca dei frammenti del naufragio – legni, cappelli, scarpe, zaini, vestiti, detriti – ma anche alla ricerca dei piccoli santuari spontanei che sono nati: piccole croci, fiori, oggetti, fotografie, disegni.
Abbiamo parlato con il pescatore che era là la notte del naufragio e che ha raccolto i corpi senza vita. C’è bellezza nell’umanità, anche nel dolore estremo. C’è bellezza negli occhi e nei gesti di chi si oppone e denuncia, con la poesia, la musica e l’arte, questa ecatombe che avviene con il consenso dell’Europa. Ci stiamo muovendo – insieme anche a Giancarlo – perché vorremmo che questo nostro lavoro diventasse un archivio in divenire: sappiamo che questa non sarà l’ultima strage purtroppo.
Abbiamo deciso di chiamare questo lavoro SUMMER LOVE e presenteremo un primo montaggio alla Scuola di Pace di Monte Sole a Marzabotto (BO) il 24 aprile alle 18.30, in occasione della festa della Liberazione: volevamo che il titolo fosse provocatoriamente solare, che restasse nella memoria il contrasto tra il nome del caicco esploso in frammenti dispersi per oltre un chilometro sul quel tratto di costa e quel mare meraviglioso, il mare della Magna Grecia, quelle spiagge che occupiamo nelle nostre spensierate estati.
Esiste ancora uno spazio per un teatro politico? Che senso ha per voi, che ne avete sempre fatto un filo rosso del vostro fare arte?
ES/GLG – No, non esiste uno spazio per un teatro politico o meglio quando esiste è solo propaganda e servilismo: ma bisogna prenderselo, fuori dai teatri e dalle istituzioni. Ogni gesto disinteressato è politico. Il senso profondo per noi risiede sempre nelle parole di Hannah Arendt che in Vita activa nel 1958 ha scritto: ‘Questo è il teatro, di fatto l’arte politica per eccellenza. Solo in esso, nel corso così vivo della rappresentazione la sfera politica della vita umana può essere trasfigurata a livelli ulteriori, così da fondersi con l’arte. La recitazione è insomma la sola forma d’arte in cui l’oggetto viene trasportato nel mondo delle relazioni.’