GIANNA VALENTI | Una danzatrice si muove nello spazio generando movimenti e gesti all’interno di una struttura geometrica immaginaria.
Un gruppo di danzatori tesse una coreografia in uno spazio rettangolare, utilizzando una diagonale come punto magnetico che può attrarre e allo stesso tempo respingere. Solo tre danzatori hanno la responsabilità di generare frasi di movimento, mentre gli altri corpi danzano copiando o variando i loro movimenti.
Un danzatore si muove descrivendo le proprie azioni e ripetendole per un numero di volte che viene improvvisato, da uno a tre, creando una coreografia che è puro loop a ripetizione, come nella scrittura di Gertrude Stein: “Una rosa, è una rosa, è una rosa”.
Dei danzatori memorizzano delle sequenze di movimento, riconoscibili attraverso un numero, e improvvisano la coreografia difronte al pubblico, scegliendo, da una scatola piena di bigliettini, il numero della frase da danzare e il numero di volte in cui danzarla, nella totale libertà delle direzioni da scegliere nello spazio.
Un altro gruppo di danzatori costruisce con oggetti uno spazio architettonico e danza utilizzando il corpo per leggere lo spazio.
Questi danzatori hanno generato scores, mappe prescrittive di movimenti e di sintassi del movimento, oppure mappe organizzative di azioni estemporanee, compilate con segni grafici e/o verbali, tracciati geometrici, tracciati più liberi, come disegni di costruzioni immaginarie o quasi infantili, testi descrittivi molto brevi, istruzione di segni e lettere disegnate su un foglio come una partitura musicale senza note, mappe con linee e/o parole e/o numeri. Mappe, la cui caratteristica principale è di essere facilmente leggibili e trasmissibili, la cui funzionalità sta nella brevità delle informazioni e nella capacità del segno scelto di condensare dati che possono generare sia azioni coreografiche strutturate e di durata certa, sia azioni espanse e durature.
Scores come partiture coreografiche che condividono con le partiture musicali lo stesso nome e che si affermano sulla scena teatrale americana di fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta del Novecento. Griglie di riferimento per le azioni performative e coreografiche dei nuovi artisti del post-modernismo. Costruzioni che guidano e rendono possibile sia lo sviluppo spaziale e relazionale di un’azione coreografica, sia le modalità e le regole con cui si costruiscono le sintassi di movimento.
È nelle classi di Robert Ellis Dunn, di cui abbiamo già parlato in Scatti Coreografici #3, che i futuri coreografi del post-modernismo vengono introdotti all’uso degli scores. Bob Dunn lavora nel mondo della danza come insegnante di composizione e di improvvisazione, ma si era formato nelle classi di musica sperimentale di John Cage, dove si indagavano anche nuovi metodi di notazione per la musica sperimentale. La sua introduzione all’uso degli scores nella composizione coreografica nasceva dalla sua convinzione che “pianificando la danza in modo scritto o disegnato, hai una visione chiara della danza e delle sue possibilità.”
Gli scores sono descrittivi quando lavorano con tracciati di percorsi spaziali e/o semplici informazioni verbali per guidare il corpo quotidiano nella semplicità delle sue azioni locomotorie, come camminare, correre, sedersi, alzarsi, stare. Per poter funzionare, e creare i flussi di movimento e gli sviluppi coreografici spaziali, vanno seguiti così come vengono scritti e disegnati.
È così per Satisfyin’ Lover, uno score descrittivo di segno verbale di Steve Paxton, che lui stesso definisce l’apoteosi della camminata — una danza, ci dicono le note che il coreografo condivide, sul camminare, sullo stare fermi e sul sedersi. Una danza per un minimo di 30 e un massimo di 84 persone che camminano con un ritmo tranquillo ma non lento, con serenità e al tempo stesso concentrazione, con la mente calma, “The mind should be at rest.” Le persone sono divise in gruppi diversi, da A a F, con 42 azioni disponibili, dettagliate per numero di passi, pause, entrate e uscite da un lato all’altro della scena, incluse alcune azioni di sedersi su tre sedie disposte casualmente verso il pubblico.
Qui Satisfyin’ Lover in una messa in scena di inizio Duemila.
Alcuni scores intervengono invece sul movimento e sulle sue sintassi in maniera prescrittiva, organizzando strutture geometriche e numeriche che funzionano da architetture sintattiche per lo sviluppo e la progressione spaziale del movimento. È così per Locus, di Trisha Brown, che utilizza una breve affermazione biografica — a cui viene tolto lo spazio tra le parole facendone una semplice sequenza alfabetica — da utilizzare come partitura per generare una catena di movimenti. L’utilizzo, poi, di un cubo immaginario, su cui posizionare in punti diversi le lettere dell’alfabeto, permette di sviluppare i movimenti nello spazio in direzioni non prevedibili e di ordinarli seguendo la sequenza di sillabe creata dalle parole scelte.
Qui l’immagine digitale dello score di Locus presso il MoMA
Qui Locus solo in una messa in scena degli anni Duemila della Trisha Brown Dance Co.
Qui Locus trio in una messa in scena del 2019 della Trisha Brown Dance Co. con il Ballet am Rhein
Altri scores usano riferimenti numerici e temporali per segnare i materiali di movimento disponibili per l’improvvisazione e per segnalare le variabili e le scelte di costruzione coreografica a disposizione dei danzatori. È così per Dance for 3 People and 6 Arms di Yvonne Rainer, una partitura di 15 azioni per 15 minuti. Quindici azioni memorizzate che possono essere danzate in qualsiasi ordine e con la possibilità di ripetere, per un numero di volte che si desidera, ogni singola azione; più un’azione che funziona da segnale, la numero 13 — un’azione con un rumore riconoscibile che attiva i danzatori a gravitare uno verso l’altro e a danzare in unisono sino al segnale successivo, dato da un corpo che si ferma, che li riporta a scegliere cosa e dove danzare.
Ci sono poi scores, come il popolarissimo Scramble, di Simone Forti, che offrono istruzioni per gruppi di corpi di età e preparazioni diverse, per creare un evento coreografico che nasce da un flusso ininterrotto di semplici azioni locomotorie. In Scramble, il camminare diventa un procedere ininterrotto di intrecci e di convergenze di un corpo verso l’altro, dove l’azione può solo essere rallentata o velocizzata, ma non fermata, se non uscendo dallo spazio performativo dell’azione collettiva. I corpi si spostano nello spazio con decisioni continue e costantemente mutevoli, utilizzando ogni altro corpo come focus spaziale in movimento, come dato coreografico da elaborare nell’istantaneità della catena di decisioni estemporanee da prendere.
Qui Scramble a Index-The Swedish Contemporary Art Foundation
Qui Scramble al CND-Centre National de la Danse e qui in un’altra versione, sempre al CND.
Qui Scramble a Middelburg in Olanda, nel 2016 in occasione della mostra di Simon Forti, Here it Comes.
Un altro score, vicino a Scramble, per l’uso di azioni locomotorie semplici e per la capacità di direzionare i flussi spaziali dei corpi in movimento attraverso l’uso di focus spaziali mobili, è The Centering Dance di Richard Bull, un insegnante e coreografo del post-modernismo americano. The Centering Dance si sviluppa attraverso le semplici azioni di camminare, stare e camminare a velocità diverse, creando flussi di corpi che danzano spostando il loro focus spaziale — da un focus unico condiviso dall’intero gruppo, a un focus privato di ogni singolo corpo, all’uso dei corpi in movimento come focus mobili, per infine ritornare a un focus privato con segnali e modalità che creano passaggi in unisono nel gruppo dei danzatori.
Qui un articolo del 2007 su The Villager sul ruolo di Richard Bull e di sua moglie Cynthia Novack nella comunità newyorkese del post-modernismo.
Scores come Scramble e The Centering Dance generano eventi coreografici dove i corpi agiscono un’intelligenza fisica attraverso semplici azioni locomotorie e, contemporaneamente, un’intelligenza coreografica attraverso la creazione di un tessuto relazionale spaziale. Corpi che agiscono una presenza performativa, prendendosi cura delle proprie scelte e delle relazioni di distanza e vicinanza rispetto a ogni altro corpo all’interno del gruppo. E corpi che agiscono un’intelligenza coreografica, prendendosi cura, simultaneamente, dello sviluppo dell’intera azione collettiva.
Gli scores, che rendono possibili questi valori performativi e coreografici, sono generatori di architetture del possibile, mobili e trasmissibili, il cui senso drammaturgico si costruisce dando piena fiducia alla fisicità e alle relazioni che si manifestano momento dopo momento e nella successione di ogni frammento di tempo. Architetture del possibile dove l’impegno a essere presenza fisica e vibrazionale nello spazio-tempo dell’azione performativa non può essere separabile dall’impegno a essere intelligenza relazionale e spaziale per l’azione coreografica comune e condivisa.