EUGENIO MIRONE | «Il 50% dei bambini del mondo sviluppato che oggi hanno cinque anni può aspettarsi di vivere fino a 100 anni, a patto che continuino a istruirsi per tutta la vita e si cancelli l’idea della pensione assistenzialista». Sono parole della direttrice dello Standford Center of Longevity, Laura Cartensten; chissà se la psicologa americana nel redigere la sua relazione abbia avuto modo di venire a conoscenza dell’esperienza di Glauco Mauri! Per lui, infatti, le parole della Cartensten acquisiscono un valore retroattivo: di andare in pensione Mauri non sembra volerne sapere, mentre pare essere ancor oggi incline a cogliere l’invito di continuare a istruirsi.
E così alla veneranda età di 92 anni il grande attore torna a teatro insieme allo storico compagno di scena Roberto Sturno. La compagnia riporta in scena uno degli spettacoli di maggior successo del loro repertorio, Variazioni Enigmatiche di Éric-Emmanuel Schmitt, con la regia di Matteo Tarasco.
Varcata la soglia che separa le quinte dal palco, Mauri diviene Abel Znorko, scrittore premio Nobel per la letteratura che da ventidue anni vive su un’isola sperduta nel Mar di Norvegia dove trascorre le giornate cercando di mantenere vivo, attraverso una corrispondenza, l’antico amore per Hélène. La struttura ottocentesca del triangolo amoroso viene rivoltata dall’interno dalla penna di Schmitt, ed è proprio l’arrivo del giornalista Erik Larsen a dare il via a questo processo: Larsen è giunto per intervistare lo scrittore sul suo ultimo libro che narra della corrispondenza amorosa tra un uomo e una donna.
La trama, fin qui da commedia, dopo gli “annusamenti” iniziali, giunge a un primo svelamento: Hélène è la donna del libro di Znorko, nonché moglie di Larsen. Da qui il dramma prosegue in un gioco continuo di rivelazioni. La donna a cui Znorko ha creduto di scrivere per gli ultimi ventidue anni è in realtà morta: per tutto questo tempo egli non ha scritto che a Larsen, il quale ha voluto mantenere la corrispondenza in modo che Hélène continuasse a vivere. Il motivo della vista di Larsen non è l’intervista bensì il desiderio di far continuare la vita di Hélène attraverso il carteggio con Znorko.
Variazioni enigmatiche è un testo dal sottile fascino filosofico che, come tale, mette a tema numerose questioni indagate dal suo autore: anzitutto c’è il problema del rapporto tra verità e menzogna al quale, indissolubilmente, è legato il mestiere dello scrittore. L’opera, infatti, è anche una ricerca metaletteraria. I due uomini mentono, continuamente; in questo mare di bugie è l’άλήθεια (il disvelamento della verità) a portare avanti l’azione.
Larsen non è un giornalista e per anni ha firmato le lettere della defunta Hélène così come Znorko ha cercato di dissimulare con l’invenzione narrativa la storia reale del suo ultimo libro. Li accomuna, dunque, il mestiere dello scrittore, il quale altro non è che “il più abile dei falsari”, come dice Znorko. Eppure, ciò che importa è il risultato finale: nel libro le menzogne s’intersecano in un’unica verità, tre vite si fondono in un’unica persona: Hélène.
Secondariamente, non deve sfuggire la questione del triangolo amoroso. Nell’opera di Schmitt la formula drammaturgica non è intesa nella sua forma comunemente letteraria, come, cioè, un gioco di sesso e gelosie. In Variazioni enigmatiche l’immagine del triangolo viene ad assumere una funzione non dissimile dal significato teologico che si cela dietro il dogma cristiano della Trinità: il libro, lo scambio epistolare e l’atto della scrittura sono lo spazio di relazione dove tre vite si fondono in una. Come ricorda Larsen: «ai poli del globo terrestre le leggi della natura si dilatano», la luce e il buio si confondono tra loro e così anche i confini tra persone si fanno meno certi.
Proprio nell’epoca in cui la coscienza sociale inizia a fare i conti con il tema dell’identità fluida, la riflessione condotta da Schmitt sembra spingersi oltre: in Variazioni enigmatiche l’indagine dell’Io è così profonda da arrivare a coinvolgere anche l’Altro. Sia Znorko sia Larsen sostengono di essersi sentiti Hélène nel momento in cui scrivevano le loro lettere. Ad aprirsi, cioè, è la possibilità di identificarsi in un’altra persona.
Se tanto denso risulta il testo di Schmitt, lo stesso non vale per la resa scenica dell’opera, tesa invece alla sottigliezza formale. La regia di Tarasco, infatti, privilegia un’impostazione geometrica in cui la prospettiva, la simmetria e la linea spezzata dominano la scena alleggerendone il peso. Nella scenografia di Alessandro Camera due sedie di pelle nera stanno opposte fra loro ai lati del palco, mentre al centro, avvolta da un ampio tendaggio verde, si trova la scrivania che per la sua centralità accresce l’importanza simbolica.
Il focolare di una casa dovrebbe essere lo spazio più caldo e intimo di un’abitazione ma le luci fredde e dal taglio verticale di Alberto Biondi tolgono calore e morbidezza all’ambiente. L’artificiosità traspare anche da una prossemica fortemente caratterizzata dal contrasto che fa allontanare e avvicinare i due attori come calamite dai poli ora identici ora opposti.
Se dunque il contrasto tra la freddezza della forma e il calore del contenuto può risultare un elemento interessante, si osserva un uso forse eccessivo della formula beckettiana della “partita a scacchi”: l’impianto scenico di un testo dialogico basato sull’incontro-scontro di due personaggi sul palco è una strategia drammaturgica frequentata, ancor più quando permea la costruzione scenica dirottandola verso i caratteri di opposizione geometrica di cui si è detto sopra. Spettacoli con questo impianto abbondano nel panorama teatrale recente.
Esplorare nuove soluzioni avrebbe reso merito a un’opera che, per quanto riguarda la sostanza del testo, è tetragona a qualsiasi critica. Si è già detto della densità del testo, occorre pertanto sottolineare l’interpretazione di Mauri e Sturno, sempre presenti e credibili scenicamente. I due attori con vigore portano davanti agli occhi del pubblico la resa dei conti fra due persone.
È uno di quei faccia a faccia che tutti desideriamo ma che abbiamo sempre paura di affrontare, perché, una volta in atto, la relazione subisce una svolta e tutto non è più come prima. Variazioni enigmatiche, perciò, può suonare anche come un invito a mettersi in gioco nella relazione. Guai, perciò, a cadere nel tranello dell’egocentrismo, perché è attraverso l’Altro che conosciamo noi stessi.
VARIAZIONI ENIGMATICHE
produzione Compagnia Mauri Sturno
di Éric-Emmanuel Schmitt
regia Matteo Tarasco
traduzione e adattamento Glauco Mauri
con Glauco Mauri e Roberto Sturno
scene e costumi Alessandro Camera
musiche Vanja Sturno
luci Alberto Biondi
Teatro Menotti, Milano | 9 maggio 2023