ESTER FORMATO | Fabrizio Sinisi firma la scrittura di Hiroshima mon amour, spettacolo coprodotto da Teatro degli Incamminati e CTS di Brescia. Il nome Hiroshima ritorna proprio in questi giorni nell’agenda politica internazionale, e di certo, anche a distanza di quasai ottant’anni, è imprescindibile pensare al disastro che la bomba atomica causò il 6 agosto 1945. Quando il celeberrimo film dal quale è tratta la pièce fu presentato nel 1959 al festival di Cannes il mondo sentiva ancora vividi gli strascichi del secondo conflitto mondiale, e portare al cinema quella città aveva un significato molto meno opaco di oggi. Forse facendo leva su tale rischio la pièce scritta da Sinisi, interpretata da Valentina Bartolo e da Francesco Sferrazza Papa per la regia di Paolo Bignamini, cerca di risollevare attraverso il teatro una riflessione sull’ineluttabilità e sulla tragicità di un evento che ha cambiato per sempre le sorti del mondo, mettendo in luce un punto cruciale dell’opera, ovvero l’impossibilità artistica di raccontare una catastrofe così irreversibile per l’umanità. Fu proprio Marguerite Duras, che sceneggiò il film diretto da Alain Resnais, a lasciare alcune riflessioni sulla questione che, nel testo messo in scena dagli Incamminati, vengono saldate, alla partitura del personaggio femminile della storia.
In scena, infatti, vi è la nota e tormentata vicenda amorosa fra un’attrice francese in fuga dal suo passato e un misterioso giovane giapponese. La passione nasce e vive nel giro di poche ore; a testimoniarlo vi è un letto enorme al centro dell’assito il cui spazio coincide con l’intero setting, ovvero una stanza d’albergo il cui arredo scenico risulta essenziale, illuminato da un gioco di luci chiaroscurale. Ed è dal proscenio che Valentina Bartolo avvia una recita che per la prima parte ha un impianto monologico. Infatti, attraverso un’alternanza fra la prima e la terza persona, lo sguardo interno alla vicenda (quello dell’attrice francese, protagonista della storia) convive con quello esterno alla narrazione, della stessa Duras. Come si diceva, fu proprio lei a porre la questione dell’inenarrabilità di Hiroshima, problema che s’innerva di continuo nel film (il protagonista dice alla donna più volte “Tu non sai, non puoi sapere”). Ma proprio a causa di ciò, l’intensa storia d’amore fra un’anonima attrice francese e un altrettanto anonimo architetto giapponese è pervasa da tensioni e suggestioni profonde e inquiete che non sfuggono alla scrittura di Fabrizio Sinisi: come nel film, infatti, tutta la reticenza sulla tragedia di Hiroshima s’innesta nella biografia della donna che nasconde l’orrore della guerra, l’esperienza della fuga da un luogo di morte e l’idea della rinascita.
Raccontare Nevers al posto di Hiroshima: questo è un passaggio intenso nella pellicola e che nello spettacolo teatrale viene colto nel suo significato, ovvero uno scambio apparentemente funzionale alla trama ma che in realtà rende tangibile l’impossibilità di una rielaborazione di quel pezzo di storia, lasciato a margine del Pacifico.
Nessuno dei due, in realtà, può avere esatta consapevolezza né può quantificare l’enormità di una tragedia la cui eco è ancora più che viva, dietro le pareti di quell’albergo; ogni allusione può risultare fuori posto, scomposta, incompleta. Eppure, sarà proprio quell’uomo scavare a poco a poco nell’interiorità di lei fino a rinvenire una minuscola Hiroshima, nascosta nel passato della donna. Man mano Hiroshima sembra dissiparsi, è Nevers, piccolo paese della Francia, ad assumere un peso rilevante.
I due non conoscono solo l’intimità dei loro corpi, ma quella dei loro dolori che si agganciano a una tragedia universale. E così la ferita pulsante e alacre di Hiroshima, punto estremo del mondo, ci riporta nel cuore dell’Europa, quando un amore giovanile è spezzato dalla violenza della guerra. Quindi, l’orrore che apparentemente sembra subire una rimozione, riemerge attraverso questa funesta traslazione. Anche lei, dunque, conserva un marchio indelebile della devastazione. Poi la fuga, Parigi, un’altra vita sino ad arrivare a Hiroshima, nelle braccia di uno sconosciuto. Il cerchio si chiude. Si incontrano come se da questo loro incontro dipendesse tutto, fino a diventare gli unici detentori dell’anima dell’altro.
L’incomprensibilità e l’indecifrabilità delle due esperienze di morte si trasformano in un legame unico che si erge a segno di rinascita da una tragedia universale. Poche storie sul conflitto mondiale ci hanno permesso di distanziarci da una visione eurocentrica dell’accaduto spostando invece l’epicentro dall’altro lato del mondo ed è una delle prime impressioni che ci offre il film di Alain Resnais. Nella riscrittura teatrale di Fabrizio Sinisi, come abbiamo detto, l’adattamento segue fedelmente la pellicola, riproponendo stralci significativi del poetico screenplay originale, rimasto quasi insuperabile nella storia del cinema.
A differenza del film, in cui i ruoli dei due protagonisti sono bilanciati, uno complementare all’altro, la regia teatrale di Paolo Bignamini e la scrittura di Sinisi optano per una struttura per lo più monologica, che conferisce al personaggio maschile una sorta di funzione evocativa, come a cogliere uno dei più intensi momenti dell’opera cinematografica in cui l’attrice ritrova nell’effimero amante giapponese il soldato tedesco amato a Nevers. Quest’aspetto probabilmente sottrae la messinscena dall’alto rischio di una pedissequa elaborazione, riconoscendo nel linguaggio teatrale un ruolo maggiormente allusivo, finalizzato a una più marcata astrazione, rispetto al cinema, sebbene nel caso di Hiroshima, mon amour di carica simbolica ed emotiva ce n’è tanta in ogni scena.
Va comunque detto che, sebbene la scelta di lavorare su una drammaturgia teatrale di Hiroshima mon amour parta dal presupposto di riattivare una riflessione su un evento che da oltre 75 anni ci richiama a una terribile responsabilità di cui probabilmente l’Occidente non è ancora del tutto consapevole, il filologico richiamo all’opera cinematografica per buona parte della pièce la rende più che altro un omaggio, una trasposizione metanarrativa che, seppur raffinata e delicata, agisce da cassa di risonanza e da eco del noto capolavoro.
HIROSHIMA MON AMOUR
dalla sceneggiatura di Marguerite Duras
drammaturgia Fabrizio Sinisi
con Valentina Bartolo e Francesco Sferrazza Papa
musiche dal vivo Corrado Nuccini
regia di Paolo Bignamini
scene e costumi Maria Paola Di Francesco
disegno luci Pietro Bailo, Simone Moretti
assistente alla regia Giulia Asselta
produzione CTB Centro Teatrale Bresciano / Teatro de gli Incamminati
progetto “Classici e scena oggi” a cura di Paola Ranzini – Institut Universitarie de France e Avignon Université
Teatro Oscar Milano | 14 maggio 2023