ELENA SCOLARI | Un branzino (o carassio, altresì detto carpa cruciana, a seconda delle traduzioni) si innamora della figlia del generale Pantalykin e, conscio dell’insuccesso cui andrà incontro – si dispera e decide di farla finita ma “mi servirebbe un revolver, dove vado a trovare un revolver sul fondo di un lago?! L’unica possibilità sarebbe essere mangiato da un luccio, ma l’ultimo è morto di noia, non ho proprio speranze!”.
Il maggiore Buldelev soffre di un atroce maldidenti e un suo impiegato vorrebbe consigliargli un esperto che potrebbe guarirlo evitando l’estrazione ma “accidenti, non riesco proprio a ricordare il cognome di quell’uomo, era un cognome cavallino…”. E così, in un crescendo irresistibile, tutto il villaggio si mette in coda per suggerire il possibile cognome equino del guaritore, altrimenti irrintracciabile: Trottatov? Galoppin? Forse Sellaskin? O Frustalev? Il cognome giusto non arriva e il dente del generale viene cavato. Ovviamente subito dopo all’impiegato arriva l’illuminazione: “Avenov!”.
Questa è l’estrema sintesi di due degli esilaranti ed effervescenti racconti di Anton Čechov – Amore da pesce e Il cognome cavallino – che Roberto Rustioni cita ed espone nel suo Čechov remix, che ha appena debuttato al festival Da vicino nessuno è normale curato da Rosita Volano e che si tiene in estate (quest’anno la XXVII edizione) al Teatro La Cucina di Olinda, presso l’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini a Milano.
Rustioni è in scena con Gabriele Gerets Albanese, un dj raffinato che dalla sua console sostiene e si insinua nel narrare dell’attore supportando, descrivendo, commentando le sue parole e i suoi atteggiamenti con i suoni e le canzoni scelte. L’interprete e autore del lavoro indossa un abbigliamento anche troppo casual: braghe nere larghe, maglietta nera stinta con la foto di un cantante (presumiamo) e scarpe da ginnastica, proprio come si trovasse lì un po’ per caso, a parlarci del suo mito teatral-letterario Anton Čechov, che chiama amichevolmente Anton. Mescola in tono colloquiale cenni biografici sulla vita dell’artista alle trame di alcuni dei suoi tantissimi racconti.
Cosa ne esce? Il ritratto di un drammaturgo e scrittore morto molto giovane (a 44 anni) e che amava intensamente la vita, le donne, l’amore, il sense of humour. Che – Čechov lo sapeva bene – può salvare da situazioni tragiche e aiutare a trovare la via del distacco quando si vogliono affrontare i nodi dello stare al mondo con quell’understatement che non fa pesare l’importanza della riflessione ma la suggerisce, con penna leggera, sagace e mai pedante.
In scena (arredi curati da Sofia Borroni, Camilla Gaetani, Serena Trevisi Marceddu) il banco del dj a destra – anche lui vestito di nero – e una scrivania a sinistra, con sopra una macchina per scrivere, fogli, libri, un posacenere, una anacronistica borraccia di metallo azzurra, una sedia di legno a fianco. Un bel piano luci (di Mario Loprevite) sfrutta bene lo spazio del teatro ricavato da un ex padiglione dell’ospedale illuminando di taglio le porzioni di parete ricoperte dalle tipiche piastrelline di ceramica lucida e creando effetti di ombre evocativi di una dimensione che esiste e non esiste, ed è forse il piano dell’immaginario letterario, i luoghi dove Cechov ha vissuto, evanescenti come proiezioni che spariscono all’accendersi di un faro frontale.
Rustioni parla direttamente con noi, pone alla platea domande retoriche sull’autore russo e snocciola il collage di racconti come nascesse naturalmente dalla fittizia conversazione che sta tenendo con l’uditorio.
Il pregio dello spettacolo è principalmente far conoscere una parte della prolifica produzione di ‘Anton’ certamente meno frequentata rispetto ai drammi teatrali, facendo emergere quella magnifica e trascurata ironia che traspare dallo stile di un autore noto per aver dipinto la noia, il vuoto dell’esistere, le aspirazioni e le umanissime invidie e povertà umane. In una sola espressione: l’incapacità di essere felici.
Rustioni parte da quello che Čechov ha tenuto sempre come proprio faro nelle opere teatrali (non nei racconti): “Bisogna far vedere la vita così com’è”. E indubbiamente Anton l’ha fatto, mostrando, tramite ciò che non viene detto e non viene fatto, quali sono i desideri e i pensieri più profondi dei personaggi e quindi di noi.
In Čechov remix si avverte l’anelito verso la leggiadria di scrittura cui l’autore Rustioni mira, intrecciando con disinvoltura i momenti – solo accennati, per fortuna – della propria vita personale che nella drammaturgia costruita – con la collaborazione di Giulia Sangiorgio – diventano i ganci per addentrarsi nell’universo creativo del drammaturgo russo. Ne risulta un monologo fluido, con qualche ammicco superfluo, che squaderna molte delle qualità rivoluzionarie di Čechov, cui il teatro non smette di essere magneticamente attirato, come dal luccichio speciale di un branzino che guizza in un lago.
ANTON ČECHOV REMIX – debutto estivo
di e con Roberto Rustioni
aiuto alla regia e drammaturgia Giulia Sangiorgio
dramaturg e panorama sonoro Gabriele Gerets Albanese
scene Sofia Borroni, Camilla Gaetani, Serena Trevisi Marceddu
progetto luci Mario Loprevite
capo elettricista Marcello Falco
produzione Ambra Floris/Sardegna Teatro
Festival Da vicino nessuno è normale – Oinda, c/o ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, Milano – 21 giugno 2023