ESTER FORMATO | Edipo a Colono, secondo testo della nota trilogia di Sofocle, affronta il tema dell’esilio: il protagonista, accompagnato dalla fedele figlia Antigone, fugge ormai cieco da Tebe per concludere la sua vita nella patria straniera, Atene.
Gianluigi Gherzi lavora su un testo doloroso ma più riflessivo rispetto a Edipo re che lo precede, in cui a causa della pestilenza che flagella Tebe, egli scopre a poco a poco la terribile verità che riguarda la sua esistenza.
La trilogia di Sofocle è profondamente concatenata, il dolore di cui è circonfuso il re Edipo rende viscerale, anche dopo millenni, i versi del tragediografo. “Edipo siamo noi“ viene ripetuto nell’epilogo dello spettacolo; certo, il riferimento può essere retorico, eppure il ciclo esistenziale del re tebano che in questo testo trova il suo più alto compimento, emana ancora la sua forza poetica e morale.
Il regista milanese lo sa, e per questo motivo sceglie di inscenare le vicissitudini sofoclee in una cornice metateatrale e didascalica, riprendendo una certa modalità brechtiana.
Sul palcoscenico abitato da alcuni oggetti e abiti di scena, due attori nel ruolo di Edipo (Stefano Braschi) e di Antigone (Maria Laura Palmieri) sono alle prese con il montaggio dello spettacolo; il terzo attore, lo stesso Gigi Gherzi, agisce da regista e contestualmente da coro, interrompendo di tanto in tanto lo svolgimento di una scena per dare una lettura profonda e filologica delle questioni che il testo di Sofocle pone. In questo modo si crea un processo dialettico e ragionativo che, sebbene alcune volte possa apparire puramente didascalico e privi lo spettatore di vedere l’opera tout-court messa in scena, contribuisce tuttavia a restituire la piena liricità e complessità dell’opera. Difatti, proprio dalla negazione della rappresentazione scenica di Edipo a Colono nasce la costruzione di tutto un lavoro volto a interrogare il testo sofocleo.
Perché Edipo è sulla strada per Colono? Da dove proviene il re di Tebe? Ripristinando una certa funzione pedagogica, infatti, Edipo a Colono ci schiude i sottotesti che si nascondono nelle pieghe dei suoi versi, ampliandone il senso e ricostruendo il funesto filo che si dipana di generazione in generazione, cosicché la hybris (un orribile atto di tracotanza verso le leggi sacre) rimbalza di padre in figlio. Ed ecco allora che sulla scena, coadiuvata da una serie di immagini proiettate sulla quinta, è evocata la vicenda del giovane Crisippo, violentato da re Laio; colpa che si scaglia violentemente sulla casa del re e della sposa Giocasta. Non vi è rimedio alla terribile hybris che raddoppia nel momento in cui, incuranti degli ammonimenti divini, generano un bambino sul quale ricade l’orribile colpa paterna. Non sorprende, dunque, che scene prese dall’Edipo a Colono vengano contaminate con alcune parti tratte da Edipo Re, tanto che i due attori recitano quadri da entrambe le opere con l’obiettivo di ricostruire tutta la vicenda. Le numerose interruzioni del regista che interviene sull’analisi dei loro ruoli sono segnate dall’accensione delle luci in sala, parentesi nelle quali Gherzi introduce materia di contorno per restituire al pubblico la complessità della vicenda e perché possa comprendere il cammino che da Tebe si protrae sino a Colono, territorio sacro della polis ateniese.
Quando Sofocle scrive la tragedia, Atene è ormai sul viale del tramonto, l’epilogo della guerra del Peloponneso metterà fine alla sua democrazia, e alla stregua di tutte le altre città greche, vi sarà instaurata una tirannide. Anche Edipo è un tiranno, ma appare ai Tebani come re attento e giusto, non certo come il suo predecessore Laio. Eppure, giunto a conoscenza della sua colpa, se possibile ancora più orrenda di quella di cui si è macchiato suo padre, nonostante non abbia la sua violenta indole è predestinato al fallimento e all’emarginazione.
È così che la fine di Edipo non è solo il compimento di una tragedia individuale, ma anche l’impossibilità di trasformare una polis perversa e tiranna in un posto migliore. Ora, accompagnato dalla prediletta figlia, il re avanza, supplice e mendicante, verso una terra pietosa governata da Teseo, l’unico ad accoglierlo entro i confini di una città che fa da contrappunto a Tebe. Fuggiasco, in cerca della fine dei suoi giorni, Edipo lascia che lotte fratricide e leggi ingiuste (di cui la stessa Antigone sarà vittima), imperversino su Tebe. In ultimo, cieco, sarà in grado di guardare solo dentro di sé la sua colpa.
In bilico fra semplificazione formale (rispetto ai testi sofoclei) e processi didascalici che vengono innescati entro una dimensione di metateatro, lo spettacolo prodotto da Elsinor CPT rielabora il corposo materiale sofocleo, ripensandolo come un percorso condiviso fra attori e pubblico che apre varchi a una lettura politica e più umana.
La fragilità e la tragicità di Edipo giungono a noi attraverso i millenni, con tutta la pietà che ne deriva; ma stavolta non agisce entro la forma scenica della tragedia: esce dal relativo rigore estetico e linguistico e siede presso un’agorà comune prima di scomparire dal mondo. Unde origo, inde salus è la salvifica formula che, mutuata da un’iscrizione nella Basilica di Venezia, reinterpreta la fatalità sofoclea incarnata nell’oracolo, visto come il ciclico ritorno alla verità delle proprie radici, vale a dire quella stessa terra parte di Atene, che accoglie Edipo, rigenerando memoria e anima.
EDIPO A COLONO
di Gigi Gherzi
da Sofocle
con Stefano Braschi, Gigi Gherzi, Maria Laura Palmeri
regia Gigi Gherzi
scene Federico Biancalani
disegno luci Ivan Dimitri Pilogallo
video Nadia Baldi
tecnica Ornella Banfi
Produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale
Teatro Fontana, 18 giugno 2023 Milano