RENZO FRANCABANDERA | Oggi si accendono per l’ultima sera i riflettori sul festival Sempre più fuori, che per quasi tutto luglio di è svolto tra due luoghi particolari della città: il Goethe-Institut e l’Accademia Tedesca Roma Villa Massimo.

Il progetto, vincitore dell’Avviso Pubblico biennale “Estate Romana 2023-2024”, con la direzione artistica di Antonino Pirillo e Giorgio Andriani e prodotto da Cranpi, in collaborazione con Accademia Tedesca Roma Villa Massimo, Goethe-Institut, Biblioteche di Roma e con il patrocinio del Municipio II – Roma Capitale ha visto ospiti numerosi artisti italiani, fra spettacoli storici, nuove proposte e qualche iniziativa site specific.

Abbiamo incontrato i direttori artistici a ridosso dell’ultima data del festival che è anche un po’ un anniversario: oggi 25 luglio, infatti, festeggia vent’anni, e chiude il festival alle 20.30, lo spettacolo Sex machine. Un popolo di santi, poeti, navigatori e puttanieri di Giuliana Musso.

Che edizione è stata di Sempre più fuori questa? Come è stata pensata?

Le precedenti due edizioni di Sempre più fuori, festival multidisciplinare di teatro, musica, danza, cinema, letteratura, arte, fotografia si sono svolte in spazi verdi, giardini e parchi, del Municipio V e presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo dove operiamo da ormai sette anni. Quest’anno invece il festival abita due prestigiosi e bellissimi luoghi del Municipio II di Roma: l’Accademia Tedesca Roma Villa Massimo e il Goethe-Institut. Siamo molto contenti di aver iniziatola collaborazione con queste due importanti Istituzioni culturali straniere, con le quali siamo in dialogo ormai da diverso tempo condividendo la volontà di apertura degli spazi, di contenuti, di scelte artistiche: sempre più fuori, quindi! Continua la collaborazione con Biblioteche di Roma – e nello specifico con Letterature– Festival Internazionale di Roma e Biblioteca Europea e con Zeynthia. Tutto ciò è stato possibile grazie alla vittoria dell’Avviso Pubblico biennale “Estate Romana 2023-2024”, curato dal Dipartimento Attività Culturali, ed è realizzato in collaborazione con SIAE.

Il programma è stato pensato per affiancare artisti e opere pluripremiate ad altre in crescita e con l’intento di indagare in particolar modo il rapporto tra “tradizione” e innovazione, laddove per tradizione si intendono opere (letterarie, performative, installative, musicali, fotografiche, cinematografiche) che negli anni sono diventate dei cult pur afferendo a un campo di sperimentazione e ricerca artistica. Sempre più fuori sostiene la longevità delle espressioni artistiche, promuovendo la forte valenza culturale del made in Italy, e contemporaneamente spazio alla creatività giovane non tralasciando il tema dell’accessibilità e delle opportunità, sia per gli/le artiste che per gli/le spettatrici.

Dal punto di vista artistico in che modo vengono scelte le proposte per il pubblico? Che tipo di linguaggi e perché?

Siamo appassionati di linguaggi del contemporaneo, e così come già facciamo quando ci occupiamo dellaproduzione di spettacoli o della programmazione delcartellone del Teatro Biblioteca Quarticciolo, anche per l’ideazione di questo festival siamo partiti dall’idea di proporre degli appuntamenti con una spiccata contingenza con i temi e i tempi che viviamo.

Abbiamo spaziato molto nei generi e nei linguaggi per permettere a un pubblico sempre più vasto di fruire di un’offerta culturale di grande qualità e varietà. Siamo passati schizzofrenicamente da Nicola Lagioia aiMotus e al Teatro della Ariette, da Alessandro Sciarroni a Giuliana Musso, toccando artisti come Diana Anselmo, Arterie, Irene Tomio, Dalila Flavia D’Amico, Alberto Sordi, R.Y.F., Bruna Esposito. È stato scritto che il nostro festival crea cultura con contenuti e con insediamento: siamo pienamente d’accordo con questa definizione perché non vogliamo rinunciare che un progetto, seppur estivo, non debba essere la cassa di risonanza di un presente che è talmente veloce e che solo l’arte può fermare e rendere penetrabile. La scelta di temi che sembrano apparentemente superati, in realtà vanno continuamente esplorati e interrogati perché sono lo specchio della complessità del presente, dalla censura del capezzolo femminile sui social alle questioni di genere al dialogo con la comunità sorda romana al sesso a pagamento all’ecologia. Non ci interessava fare una programmazione che si rivolgesse solo agli addetti ai lavori. Non ci interessa essere alla moda, se la moda è sposare un linguaggio che esclude dal suo raggio tutti coloro che non ci sono ancora arrivati. Quello che invece ci interessa, è uscire fuori dalle dinamiche omologanti.

© Claudia Borgia, Chiara Bruschini

Come si è connotata negli anni la vostra azione sul territorio? Che tipo di relazione c’è con la città?

Dal 2016 “abitiamo” il Teatro Biblioteca Quarticciolo, uno spazio vitale nel quadrante di Roma est, in un quartiere complesso ma energico, esplosivo. Negli anni abbiamo nutrito un bel dialogo con le realtà presenti, dalla Palestra Popolare alla Biblioteca Quarticciolo al Comitato di quartiere. Questi progettiche ci preesistevano sono stati fonte di ispirazione per comprendere dal di dentro un tessuto umano e sociale che non conoscevamo. Contemporaneamente sono nate molte collaborazioni con spazi, festival e fondazioni della città, ma anche nazionali, con i quali portiamo avanti progetti, e con i quali ci “frequentiamo”. La nostra attività, che è fatta anche di produzione e di cura di progetti con finalità sociale, è stata sempre guidata attraverso uno sguardo che ha mirato lontano. Anche la programmazione del TBQ è pensata per la città, tenendo ben presente il contesto in cui operiamo e facendolo riemergere negli spettacoli e nei progetti che scegliamo.

C’è fatica per il linguaggio del teatro in questo periodo storico. Secondo voi come è possibile, se è possibile, superare questi ostacoli o è un trend ineluttabile dovuto alle grandi rivoluzioni mediatiche?

Da sempre si dice che il teatro è in crisi, in realtà pensiamo che siccome il teatro è specchio della realtà, forse è la società che è in perpetua crisi, intesa come crisi di sistemi e consuetudini; pertanto forse più di crisi è meglio parlare di relazione con il mutamento: economico, sociale, civile, linguistico e, quindi, anche comunicativo. Indubbiamente le rivoluzioni mediatiche hanno significativamente operato un cambiamento anche nel linguaggio e nella comunicazione teatrale,ma l’obiettivo forse di noi operatori è di studiare questi cambiamenti e cercare una relazione tra i differenti linguaggi che spesso possono coesistere. La fatica è spesso creativa, in quanto alcuni artisti abbandonano la loro ricerca e, pur di rientrare in una “cerchia”, provano a occupare spazi che non sempre gli sonocongeniali. A volte è meglio procedere con più lentezza, superando le delusioni e restando fedeli alla propria poetica, natura e talento. In questo caso ovviamente la strada può essere accidentata, lontana ma forse più solida di quella che persegue chi preferisce una via più veloce e facile.

Sempre più fuori nasce nell’estate 2020 alla fine del primo inaspettato lockdown. Appena avuta la possibilità di ritornare al nostro lavoro nella modalità in presenza, abbiamo sentito la necessità di andarefuori, fuori dalla rete e dagli schermi e dispositivi digitali a cui eravamo stati costretti nei mesi precedenti e ovviamente fuori (come sempre nel nostro lavoro di operatori e produttori teatrali) dalle rigide divisioni tra i generi dello spettacolo, cercando un’ibridazione programmatica che prevendesse non semplicemente il teatro e la danza, ma anche la musica, la letteratura, l’arte, la fotografia e la radio a cura di Radio Frammenti. Senza tralasciare l’aspetto conviviale del cibo, grazie alla collaborazione pluriennale con La cantina di Dante che da Centocelle ci segue nei luoghi del festival con uno stand enogastronomico.

Cosa significa essere operatori culturali oggi? È un lavoro ancora possibile e se sì a costo di quali sacrifici e rinunce?


Oggi più che mai per fare il nostro lavoro è necessaria avere tanta motivazione e passione. Il nostro lavoro è sempre più soggetto a precarietà economica, deve sottostare a bandi pubblici di breve durata che non favoriscono una progettualità estesa nel tempo, deve relazionarsi con la frequente disattenzione della classe politica a tutti i livelli istituzionali che non facilita lo svolgimento, anzi spesso ostacola, la quotidianaattività di noi operatori, artisti e tecnici ecc. Il teatro, inteso come macro aria di settore, non è fatto di eventi sporadici ma di continuo lavoro, dedizione, cura che meriterebbero sicuramente maggiore attenzione e considerazioni. Questo è purtroppo il lato negativo di un lavoro eccezionale che abbiamo avuto la fortuna di scegliere e di fare da quasi ventanni. Consigliamo ai giovani che vogliono intraprendere questa strada di non farsi spaventare dalle mille difficoltà, dalle incertezze, dagli ostacoli che ogni giorno si presentano e di crederci fino in fondo. Di non rinunciare mai a pensare in grande, di non pensarsi mai meno, ma di confrontarsi con le proprie fragilità per trasformarle in potenza e in grazia. La perseveranza è la strada!