EROSANTEROS – Agata Tomšič e Davide Sacco | Iniziamo la nostra seconda giornata al Festival al Cafè des idee con Julie Deliquet e Frederick Wiseman, regista teatrale per la prima volta ad Avignone, lei, documentarista lui, parlano di Welfare, lo spettacolo che vedremo alla Cour d’honneur du Palais des papes questa sera. Il lavoro è tratto dall’omonimo documentario di Wiseman del 1973, che 50 anni dopo viene adattato al teatro, “manipolato come se fosse un’opera teatrale classica, una Fedra di Racine”. Il film svelava il malfunzionamento del sistema del welfare americano, la follia della macchina burocratica dello Stato che non tiene conto dei casi particolari della vita delle persone, ponendo l’accento sulla questione della solidarietà, secondo il cineasta questione essenziale per cui tutti dovremmo lottare ancora oggi, perché le situazioni che si creano sono le stesse, “si tratta di ragionare su come ci prendiamo cura socialmente delle persone”.
Alle 22 entrare nel Palazzo per assistere allo spettacolo è già di per sé un’esperienza straordinaria: in questo suggestivo luogo sono stati ospitati capolavori quali Inferno di Castellucci, Amleto di Ostermeier, Architecture di Rambert, motivo per cui le aspettative sono molto alte. Sul palco troviamo allestito l’interno di una palestra. La luce è piena e resterà tale per la maggior parte dello spettacolo. Lo spazio viene man mano abitato da diversi personaggi (la scelta della parola non è casuale: nei crediti dello spettacolo i nomi degli attori vengono seguiti dai nomi delle persone che incarnano) in abiti anni ‘70, in attesa del proprio turno all’ufficio dei servizi sociali: una donna incinta senza lavoro con figli a carico, una coppia di hippy in terapia di Metadone, un’anziana malata, un veterano di guerra, ecc.
Dall’altro lato i dipendenti del welfare americano, ascoltano, chiedono di compilare documenti e ne cercano altri negli archivi. Al loro fianco un poliziotto salvaguarda la sicurezza, sembra uscito da un telefilm americano che ricalca lo stereotipo del poliziotto nero buono di imponenti dimensioni. Dopo circa un’ora delle due e mezza totali, gli operatori sociali vanno in pausa pranzo e per la prima volta un musicista che è stato finora seduto in disparte inizia a suonare delle percussioni improvvisate (dei secchi ribaltati) e poi una chitarra. Assistiamo a una specie di intermezzo musicale, privo di altre funzioni, nel quale non accade quasi nulla: la scena resta immutata, gli attori si appoggiano sugli elementi ai lati, due di loro giocano a basket mentre gli altri li guardano, dilatando il tempo della rappresentazione. Il cast di attori è di alto livello, parlano per più di due ore in luce piena, senza alcun lavoro sul suono a sorreggerli, senza un’apparente lavoro sullo spazio o sulla relazione tra i corpi, se non quello realistico indotto dalla sceneggiatura del documentario.
Durante l’incontro di stamattina Deliquet parlava del linguaggio delle persone in coda all’ufficio sociale, di come tutto trasudasse linguaggio nel documentario Welfare: la legge, il non-possesso della lingua, i corpi. Ma guardando lo spettacolo viene da chiedersi quale sia il linguaggio teatrale da lei perseguito, a parte l’imitazione del documentario del ‘73.
Il testo evidenzia diversi temi sociali assolutamente attuali ancora oggi, ma la sua messa in scena, non dà loro giustizia. È piena di lungaggini, ripetizioni, che a causa delle elevate dimensioni dello spazio e della distanza che inevitabilmente si crea tra pubblico e attori, non aiuta a seguirlo. Dopo la prima ora molti spettatori lasciano la sala. Questo spazio così suggestivo, che da solo vale la visita al Festival, dimostra quanto sia difficile da manipolare registicamente.
Dopo circa due ore la giornata all’ufficio sociale sta volgendo al termine e la luce fissa e intensa che ci ha accompagnati fino a questo punto si sfuma lentamente con il calare della sera. Gli operatori sociali distribuiscono i documenti a coloro le cui richieste sono state accettate e mandano a casa quelli le cui domande risultano insufficienti. Non mancano gli scontri tra operatori e persone in attesa, che il poliziotto cerca di placare, a volte diventando lui stesso vittima di bullismo e razzismo. Lo spettacolo si conclude con un ultimo “stacco musicale” in cui tutti tornano in scena e la luce va a buio decretando la fine. La tribuna è piena di telecamere perché il lavoro è stato trasmesso in televisione: pensiamo che il montaggio di diverse inquadrature avrà certamente giovato alla resa dello spettacolo, che con la sua recitazione cinematografica, non proprio contemporanea, potrebbe trovare nel linguaggio video da cui trae ispirazione (il documentario del ‘73) anche la destinazione più efficacie (la diretta di stasera).
Il giorno seguente, 7 luglio, raggiungiamo un altro palco all’aperto di ancora più ampie dimensioni, ma dove, al contrario, il regista dimostra di saper maneggiare con grande maestria gli imponenti elementi scenici naturali della Carrière de Boulbon che accolgono il suo Le Jardin des délices. Ancora una volta Philippe Quesne trascina gli spettatori in uno dei mondi fantastici che costruisce sulla scena, traendo ispirazione dal famoso trittico di Hieronymus Bosch.
Un autobus entra in scena spinto da un gruppo di attori in abiti anni ‘70, con capelli lunghi e cappelli da cowboy, che escono e rientrano più volte, sistemando il terreno con dei picconi, portando un uovo gigante e alcuni elementi tecnici, come telecamere, altoparlanti e microfoni panoramici, che vengono esposti a vista e con cui più volte gli attori giocheranno durante lo spettacolo, accentuandone la dimensione finzionale. Sulla stessa scia, uno di loro colpisce il lungo ledwall sulla destra, su cui compare il titolo dello spettacolo. Dopo una prima serie di canzoni in cerchio, risalgono sul bus e brindano “a tutto quello che sappiamo e a tutto quello che c’è ancora da scoprire!”, facendoci diventare voyeur di questo luogo chiuso, amplificato e illuminato dall’interno, dove accadono meraviglie. Scendono di nuovo e uno di loro propone: “facciamo un cerchio di parole, in cui ciascuno è libero di esprimersi liberamente”; la maggioranza vota a favore per alzata di mano. Aprono una valigia piena di libri da cui ciascuno può trarre ispirazione, inizia un gioco in cui a turno uno di loro legge, un altro suona e un altro ancora assume una postura plastica al centro del cerchio. Lo spettacolo è costantemente metateatrale, attraverso piccoli segni, come quando il violoncellista chiede se “è possibile spegnere questo ronzio” mentre legge la sua poesia e dalla regia viene spento il forte suono di cicale in cui da prima dell’inizio dello spettacolo eravamo immersi, nell’ilarità generale del pubblico.
La scena va lentamente a buio, tutti guardano verso il cielo anticipando ciò che accadrà più tardi, poi ritorna la musica con cui ha fatto ingresso il bus all’inizio e tutti risalgono andando incontro alla prossima avventura. Questo autobus sembra quasi una macchina del tempo, che ora gli straordinari performer, canticchiando in maniera sempre più esasperata iniziano a smontare freneticamente, tirando fuori martelli, addirittura un flessibile, riempendo la scena di scintille, smontando le sedie, trasformando il veicolo in una specie di piccolo palcoscenico rivolto verso il pubblico, su cui gli attori si esibiranno in piccoli numeri da cabaret di fronte ai propri colleghi, e di fronte a noi che li osserviamo dalla tribuna. “Tonight somebody’s life will make a real change” dice uno di loro, chiama sul palchetto uno di loro e promette di fare un miracolo; attraverso una breve sequenza di magia l’attore che fino a poco prima era calvo si ritrova con i capelli lunghi come gli altri. Un altro attore sale in scena in tutina rossa e si mette a fare il mimo. Aiutato da altri due simula l’apertura di una cozza gigante, che ancora una volta ricorda una delle figure fantastiche di Bosch.
Si sentono dei tuoni in lontananza, sempre più vicini. Il suono viene accentuato da effetti di luce e fumo in scena, tutti si mobilitano per mettersi in salvo e coprire gli oggetti in scena.
Uno di loro chiede “Siete sicuri che la Terra non sia soltanto l’inferno di un altro pianeta?” mentre il temporale continua a crescere. La situazione è tragicomica. Quesne conferma la sua abilità nel costruire mondi fantastici ma estremamente coerenti sulla scena, in cui lo spettatore riconosce se stesso e l’assurdità dell’esistenza umana nei piccoli gesti di creature che in fondo si comportano come noi. Tratta con grande ironia argomenti seri come l’esistenza umana, il cambiamento climatico, il rapporto dell’uomo con il Pianeta, l’Universo, la scienza.
Quando ritorna la quiete il conducente ripete al microfono “per il resto della visita non dimenticate che avete degli altri costumi” e tutti vanno a cambiarsi; “e vi prego” continua, “accendete le proiezioni sulla roccia della scritta Les Jardin des delices!”. Sull’enorme parete di roccia di fronte a noi viene proiettata una scritta in carattere gotico attorniata da scheletri umani che fluttuano nell’aria. Alcuni attori rientrano vestiti da pastori, da mistici. Un altro indossa una morphsuit da scheletrino e inizia a spiegare che in fondo non siamo esseri umani, ma piuttosto dei vermi, parte di un unico essere vivente che rappresenta il tutto, la nostra terra comune. Un’altra attrice racconta di quando ha conosciuto il “rumore in fondo alla Terra” facendo degli esami al suo apparato digestivo e scoprendo che il rumore del suo dentro non è dissimile dal rumore del dentro della Terra. Entrano con la testa nell’uovo gigante e iniziano a cercarvi qualcosa d’entro, imitando un altro dettaglio del trittico di Bosch. Una musica apocalittica in crescendo accompagna la scena, mentre l’attore in morphsuit esclama “l’Uovo propone di scegliere una destinazione, chi è d’accordo?”. La maggioranza vota a favore. L’attore in morphsuit lancia una pietra: “Chi è d’accordo di procedere in questa direzione?”. Tutti alzano la mano. Indica la montagna sul fondo che fa da scenografia allo spettacolo. Un triangolo viene proiettato in cima alla montagna e diventa sempre più grande. Gli attori prendono delle scale per raggiungerlo. Il volume e l’intensità della musica continuano a salire; aumentano il fumo, le proiezioni e il buio; vediamo scomparire gli attori sotto alla montagna mentre emettono versi di animali.
Passato, presente e futuro si sono alternati davanti ai nostri occhi; Inferno e Paradiso, all’interno di un bestiario medievale che mescola la science-fiction ecologica al western contemporaneo, fonti testuali eterogenee e stratificate, impossibili da cogliere interamente nella propria complessità, che concorrono a dare forza – insieme al potente lavoro sullo spazio, il suono, le luci e le proiezioni – a questo mondo fantastico in cui siamo stati invitati a rispecchiarci, per riflettere su noi stessi e il tempo in cui viviamo in maniera leggera e al contempo estremamente profonda.
WELFARE
Regia di Julie Deliquet
Con Julie André (Elaine Silver) Astrid Bayiha (Mrs Turner) Éric Charon (Larry Rivera) Salif Cisse (Jason Harris) Aleksandra de Cizancourt (Elzbieta Zimmerman) Évelyne Didi (Mrs Gaskin) Olivier Faliez (Noel Garcia) Vincent Garanger (M. Cooper) Zakariya Gouram (Mr. Hirsch) Nama Keita (Miss Gaskin) Mexianu Medenou (Lenny Fox) Marie Payen (Valerie Johnson) Agnès Ramy (Roz Bates) David Seigneur (Sam Ross) e Thibault Perriard (John Sullivan, musicista)
Tratto dal film di Frederick Wiseman
Traduzione Marie-Pierre Duhamel Muller
Adattamento scenico Julie André, Julie Deliquet, Florence Seyvos
Collaborazione artistica Anne Barbot, Pascale Fournier
Scenografia Julie Deliquet, Zoé Pautet
Luci Vyara Stefanova
Musica Thibault Perriard
Costumi Julie Scobeltzine
Marionette Carole Allemand
Assistente ai costumi Marion Duvinage
Guardaroba Nelly Geyresù
Scenografie François Sallé, Bertrand Sombsthay, Wilfrid Dulouart, Frédéric Gillmann, Anouk Savoy – Atelier du Théâtre Gérard Philipe Centre dramatique national de Saint-Denis
Direttore di scena Pascal Gallepe
Responsabile di palco Bertrand Sombsthay
Regia delle luci Jean-Gabriel Valot
Regia del suono Pierre De Cintaz
Traduzione inglese per i sopratitoli Panthea
Produzione Théâtre Gérard Philipe CDN de Saint-Denis
Coproduzione Festival d’Avignon, Comédie CDN de Reims, Théâtre Dijon Bourgogne CDN, Comédie de Genève, La Coursive Scène nationale de La Rochelle, Le Quartz Scène nationale de Brest, Théâtre de l’Union CDN du Limousin, L’Archipel Scène nationale de Perpignan, La Passerelle Scène nationale de Saint-Brieuc, CDN Orléans Centre-Val de Loire, Les Célestins Théâtre de Lyon, Cercle des partenaires du TGP Avec le soutien du Groupe TSF, VINCI Autoroutes, The Pershing Square Foundation, The Laura Pels International Foundation for Theater, Alios Développement, FACE Contemporary Theater, un programme de la Villa Albertine et FACE Foundation en partenariat avec l’Ambassade de France aux États-Unis, King’s Fountain, Fonds de Dotation Ambition Saint-Denis, Région Île-de-France, Conseil départemental de la Seine-Saint-Denis et pour la 77e édition du Festival d’Avignon : Fondation Ammodo et Spedidam
In residenza presso La FabricA du Festival d’Avignon
Trasmissione in collaborazione con France Télévisions
Con il sostegno di Onda per l’audiodescrizione
I film di Frederick Wiseman sono prodotti da Zipporah Films
Grazie a Patrick Braouezec, Pauline Legros, Anna Genet, Samuel Jérôme–Bourgeois, Lucile Miège, Odile et Gérard Haudebert, Madame Legal e lo staff della scuola Vaucanson de Paris, gli studenti e gli insegnanti delle scuole L’Estrée, Louis Blériot et Jules Vallès de Saint-Denis, il liceo Maurice Bacquet de Saint- Denis, Pauline MacEachran, Benjamin Larsimont e lo staff di 110 Centre socioculturel coopératif de Saint-Denis, Marie Potiron e Mandela, Maty Diallo- Ouedda, Moussa Diallo-Ouedda, Keyah Ido-Benisty e Néhanda Ido-Benisty, Julien Gidoin
In memoria a Marie-Pierre Duhamel Muller
LE JARDIN DES DELICES
Ideazione, regia e scenografia Philippe Quesne
Con Jean-Charles Dumay, Léo Gobin, Sébastien Jacobs, Elina Löwensohn, Nuno Lucas, Isabelle Prim, Thierry Raynaud, Gaëtan Vourc’h
Testi originali Laura Vazquez
Altri testi in corso di elaborazione
Costumi, sculture Karine Marques Ferreira
Collaborazione scenografica Élodie Dauguet
Dramaturg Éric Vautrin
Assistente alla regia François-Xavier Rouyer
Supporto tecnico Marc Chevillon
Suono Janyves Coïc
Luci Jean-Baptiste Boutte
Video Matthias Schnyder
Oggetti di scena Mathieu Dorsaz
Direttore di scena François Boulet, Martine Staerk
Responsabile del palcoscenico Ewan Guichard
Regia luci Cassandre Colliard
Guardaroba Estelle Boul
Costruzione della scenografia Ateliers du Théâtre Vidy-Lausanne
Responsabili di produzione e distribuzione Judith Martin, Elizabeth Gay (Théâtre Vidy-Lausanne)
Responsabile di produzione Charlotte Kaminski (Vivarium Studio)
Produzione Vivarium Studio, Théâtre Vidy-Lausanne
Coproduzione Festival d’Avignon, Ruhrtriennale (Germania), Athens Epidaurus Festival, Tangente St. Pölten Festival für Gegenwartskultur (Austria), Théâtre du Nord CDN Lille Tourcoing Hauts-de-France, Maison de la Culture d’Amiens Pôle européen de création et de production, 2 Scènes Scène nationale de Besançon, Centro dramatico nacional (Spagna), MC93 Maison de la culture de Seine-Saint-Denis Bobigny, Maillon Théâtre de Strasbourg Scène européenne, Kampnagel (Hambourg), Festival Next (Lille-Kortrijk-Tournai et Valenciennes), Les Scène nationale Carré-Colonnes Bordeaux-Métropole, Berliner Festspiele, National Theater and Concert Hall Taipei (Taïwan)
In residenza presso La FabricA du Festival d’Avignon, La Carrière de Boulbon, Théâtre Vidy-Lausanne
Con la partecipazione della città di Boulbon
Trasmissione in collaborazione con ARTE
Rappresentazioni in mediapartnership con France Médias Monde
https://festival-avignon.com/fr/edition-2023/programmation/le-jardin-des-delices-331864