CHIARA AMATO | Il poliedrico Antonio Rezza torna con Io, uno spettacolo del 1998, a Milano, per la stagione estiva del Teatro Menotti nella Biblioteca Sormani.
Colui che si auto-definisce il più grande performer esistente al mondo anche in questo spettacolo si muove all’interno degli habitat pensati da Flavia Mastrella: le loro opere nascono da uno studio lunghissimo del movimento in contatto con le creazioni, una improvvisazione che poi diventa scientifica, e funziona nel ripetersi sempre uguale, mantenendo l’energia iniziale nella reiterazione.
Usare la parola spettacolo è abbastanza restrittivo e fuorviante, in quanto è un continuo scardinamento della scatola teatrale: il loro attraversare temi e problematiche pure importanti è libero, spensierato, e nel processo creativo si mantiene un atteggiamento infantile e autoreferenziale.
Si percepisce quel «crollo definitivo della speranza di unirsi a qualcosa e a qualcuno», che lo stesso Rezza aveva dichiarato in un’intervista del 2008: non si pone la questione pubblico, ma lo vive come un miracolo, perché «la performance del pubblico è esserci ed è esso stesso il miracolo». Il teatro viene vissuto e attraversato come uno spazio di libertà massima, perché c’è l’istantaneità, il qui e ora, che, almeno in teoria, permette all’artista di dire e fare quello che pensa, anche se poi non è così frequente che accada.
Così, nel suggestivo cortile della biblioteca meneghina, il palco, spoglio da oggetti di scena e illuminazione, è riempito al centro sul fondo da una parete rettangolare nera, che serve al performer per dei cambi, mentre da una struttura in acciaio pendono i tessuti che compongono gli allestimenti della Mastrella. Risaltano per le loro forme, i materiali e i colori diversi: stravaganti quadri che si prestano all’utilizzo dell’interprete.
In attillati leggins rossi e canotta nera, di Silvana Ciofoli, si assiste a degli stralci di personaggi, dialoghi, carichi di nonsense e giochi di parole, che vengono ripresi in momenti diversi. Entriamo e usciamo da stanze popolate da un radiologo, da una coppia, da un io indefinito, da concorrenti di un gioco da tavola, e così via.
Descrivere Io, e in generale gli spettacoli di Rezza, pensando di poter delineare una trama, risulta complesso, oltre che superfluo. Infatti, il punto di forza dei suoi testi (mai scritti) in realtà è la centralità delle sue stesse abilità performative e il rapporto che intrattiene con il pubblico. «La gente può ridere anche se non capisce», e infatti accade, in maniera lampante, fragorosa e sonora.
I suoi flussi di parole e movimenti irrequieti, quasi al limite del nevrotico, risultano come una profezia, un’esperienza, perché «la scena è integrata e la forma detta anche legge sulla parola», come afferma Mastrella. Si coglie questo lavoro in rapporto con gli habitat che accolgono il performer: può sbizzarrirsi con i fori, appigli e forme dei tessuti intraprendendo un dialogo, rendendo i tendaggi stessi un testo e dandogli movimento.
Il performer è diverso dall’attore, «perché un minuto è così e quello dopo è diverso: la performance è infatti collegata a un fremito, a delle patologie.»
Quello che il duo Rezza/Mastrella fa, e ha sempre fatto, è totalmente autoreferenziale: è implosivo, non ha rapporti con le istituzioni e non si fa influenzare da elementi esogeni.
Solo in scena, e irrefrenabile, Rezza si spoglia, si tocca nudo in una finta doccia, accarezza/scompiglia il capo del pubblico e gli ricorda dove fossero state quelle mani poco prima deridendoli; sputa palline di carta a raffica, dichiarando apertamente che «è dall’inizio che volevo sputarti». È un’esperienza ludica ed energetica e come tale viene accolta, subita e amata dai più.
La quarta parete appare inesistente ed è perennemente oltrepassata, sia fisicamente che verbalmente. Difatti, durante lo spettacolo si instaura un gioco: come un vero istrione dal palco interloquisce, facendo attenzione al minimo movimento in platea; dialoga, facendo diventare lo spettatore stesso parte integrante e a volte fil rouge di alcuni passaggi della performance; lo sfida con mugugni indecifrabili e momenti di stasi per capire «fino a che punto l’animo umano reta fermo a subire».
Tutto ciò crea estrema dinamicità e familiarità, in quanto si viene identificati come persone singole, nel modo singolare e unico di fruizione dello spettacolo: risate fragorose, spostamenti di posto, presenza di bambini, tutto può diventare un input per la sua non-improvvisazione creativa che integra il ‘testo’ alla base. Non è realmente improvvisazione: è già prevista nell’orologio perfetto che sono i suoi spettacoli.
Non vi sono musiche, né giochi di luci, ma il corpo autentico di Antonio Rezza che chiude la performance con un monito di vita. Con un aria da santone, che squarcia il velo di maya, ad alta voce afferma: «Guardatevi sempre da chi vi lecca il culo. Fine.»
IO
di Flavia Mastrella, Antonio Rezza
con Antonio Rezza
quadri di scena Flavia Mastrella
(mai) scritto da Antonio Rezza
assistente alla creazione Massimo Camilli
tecnica Daria Grispino
organizzazione generale Stefania Saltarelli
macchinista Andrea Zanarini
sartoria Silvana Ciofoli
produzione REZZAMASTRELLA e TSI La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello
27 Luglio 2023, Teatro Menotti/Biblioteca Sormani, Milano