LEONARDO DELFANTI | CastellinAria, festival arroccato all’ombra del castello di Cantelmo che dalle sue torri domina tutta la valle alvitana, è giunto alla sesta edizione. L’antica città di Alvito, un tempo ducato e oggi sperduto borgo nel basso Lazio, ha ripreso vita tra il 2 e il 6 agosto per la volontà di Livia Antonelli, Chiara Aquaro, Anna Ida Cortese e Niccolò Matcovich, un gruppo di teatranti e organizzatori romani che stanno lavorando costantemente per ridare linfa a un territorio che – come tanti in Italia – avrebbe molto da raccontare ma manca di un megafono per farsi sentire.
“Un festival diventa sostenibile nel momento in cui si trovano alleanze in un territorio per diventare un motore in funzione della valle; un evento di comunità capace di far crescere tutti gli attori coinvolti per il benessere del territorio” afferma Anna Ida, nell’incontro promosso assieme al progetto C.Re.S.C.O., il coordinamento nazionale degli operatori della scena dedicato a connettere territorio e istituzioni.
Inserito all’interno del parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, il festival verte tutto sull’idea di comunità: non solo quella degli operatori teatrali, molti dei quali assidui frequentatori della scena tra cui Oliviero Ponte di Pino che ha presentato assieme a Giulia Alonzo la nuova edizione di In giro per festival, agile guida ad alcuni dei tanti festival italiani, ma anche e soprattutto degli abitanti del posto, quegli stessi alvitani che, intervistati, lamentano “una calma piatta durante tutto l’anno interrotta solo per pochi giorni dal festival”, per i quali gli organizzatori sono riusciti a pensare un programma capace di bilanciare momenti di aggregazione a un programma vario e articolato.
Ed è così che al torneo di biliardino e alle lezioni di scherma per bambini si sono susseguiti i PranzinAria, resi possibili grazie al sostegno degli agricoltori locali che hanno messo a disposizione materie prime e spazi a prezzi altamente vantaggiosi, per rendere il festival sempre più economicamente sostenibile.
La traiettoria principale attraverso cui si snodano gli spettacoli di questa edizione è quella del dialogo intergenerazionale, volto al confronto e alla contaminazione tra vecchia e nuova guardia del teatro italiano. È questo il caso del monologo vincitore del Mario Fratti Award 2017 portato in scena da La Confraternita del Chianti: Il paese delle facce gonfie. Scritto da Paolo Bignami per riflettere sulle cause che hanno portato al disastro ambientale di Seveso (1979), vuole denunciare, attraverso gli occhi di Poldo, lo scemo del villaggio, le dinamiche che hanno contribuito a mettere la logica del profitto al di sopra del benessere sociale. Dotato di poco cervello ma con un gran cuore, Poldo (interpretato da Stefano Panzeri), vestito da operaio e armato di pallone, ci racconta dell’amico Zorro, della sua mamma che per smettere “di fare la vita” inizia a lavorare in fabbrica, della bella Olivia di cui si è innamorato e di tutti i personaggi che abitano la fabbrica da cui fuoriuscirà così tanta diossina da rendere l’incidente l’ottavo disastro ambientale più importante della storia, secondo il Times. Le facce gonfie, premonitrici di morte imminente, diventano così la misura degli scherzi che tra il serio e il faceto tratteggiano il destino di persone semplici, abbandonate al loro destino da un sistema giudiziario incapace di proteggere i più deboli.
Tratto dall’opera Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, Talìa, un primo studio di Chiara Aquaro e Lorenzo Leopoldo Egida, è uno spettacolo pensato per la strada e che, una volta ultimato, potrebbe essere capace di divertire e far riflettere un pubblico venuto per ascoltare la storia della ragazzina “morta per una lisca di lino” ma che in realtà parla della tragicità di un mondo in cui violenza e soprusi soffocano le aspirazioni naturali della giovane protagonista. Gli attori/narratori, grazie all’uso di diversi registri linguistici, sono capaci di rompere la quarta parete in un costante gioco dentro e fuori la scena, che diverte e guida lo spettatore. Sempre in strada ma da ormai quarant’anni, il Teatro d’arte dei Burattini nato nella Val di Comino è andato in scena con Le avventure di Pulcinella di Stefania Cocuzzo, figlia d’arte dell’omonima famiglia famosa per il pregio dei suoi lavori.
Recuperano a grande richiesta lo spettacolo perduto l’anno scorso a causa del maltempo Le Ariette che tornano ad Alvito con Trent’anni di grano – Autobiografia di un campo. Lo spettacolo che, come da tradizione, riunisce il piacere della scena con quello del mangiare, è in realtà una veglia all’amato campo di grano di Stefano Pasquini e Paola Borselli. La coppia di contadini e attori emiliani legge per noi un diario lungo tre mesi, quelli dell’estate del 2019. Amore, vita in campagna e impegni di teatro si intrecciano con una filosofia di vita semplice, “di quei tempi” scherza Pasquini, che tanto andati non sono se le Ariette ancora riescono a prepararci delle ottime tigelle che, ben felici, noi tutti assaporiamo nel corso della serata.
Sfortunatamente però, anche quest’anno il maltempo ha mietuto delle vittime. Si tratta della sonorizzazione dal vivo del film Il pianeta selvaggio di Laloux. La performance a cura di Barbara De Dominicis & Cristian Maddalena non è stata realizzabile per via di un nubifragio abbattutosi sulla piazza del castello, cuore pulsante della manifestazione. È stato invece possibile ascoltare i concerti proposti con l’intenzione di far circolare i nuovi protagonisti della giovane scena musicale nazionale. Her Skin, il trio Intercapedine e un dj set curato da Dario Costa sono state le scelte fatte per andare incontro anche al gusto di chi, meno interessato allo spettacolo dal vivo, voleva comunque godere della vivace atmosfera di CastellinAria.
Musica e parole hanno preso forma anche ne I racconti della porta accanto del giornalista alvitano Vittorio Macioce. Violino, tastiere e voce ci hanno raccontato di un mondo, quello dell’Appenino degli anni ’80 che, sebbene non esista più, non smette di influenzare l’immaginario di tanti artisti italiani.
All’apice della fama, dopo la sua interpretazione ne Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, Giuseppe Scoditti è riuscito a divertire, giocando sul filo del rasoio dell’imprevedibilità, in un one-man-show senza soluzione di continuità. La stand-up-comedy di 1e95 ha infatti fatto ridere e anche infuriare più di un alvitano, in una cascata dirompente di battute ardite e pungenti.
Sagace e malinconico, Io muoio e tu mangi di quotidiana.com è invece un rimprovero al figlio da parte di un padre morente. La scena, tutta girata al momento del rientro a casa dall’ospedale, si snoda tra cinismo e grottesco. Il tempo misurato dalla mimica degli attori scandisce il resoconto di un’altra giornata passata in geriatria, metafora di un limbo tra vita e morte in cui passato e futuro perdono senso di fronte alla degradazione di un corpo che muore. Lui e lei, nel salone di casa, si sussurrano lo sfaldarsi di un corpo così come le piccole manchevolezze morali degli infermieri, ormai immuni alla sensibilità. Con il passare del tempo, la pietà umana lascia spazio all’insensatezza del dolore, consumando sia nello scambio di battute che nell’immaginario dei protagonisti una vita ormai marcia.
Chiudono il cerchio che connette Alvito e la sua valle con il mondo del teatro due laboratori aperti. Il primo pensato per i bambini e curato da Cie MF. L’esito, integrato nello spettacolo Playfulness ha dimostrato come spettacolo e pedagogia possano essere integrate con successo quando a lavorare sono dei ragazzi preparati e professionali come Maxime&Francesco. Il secondo, generato dalla domanda “qual è il primo suono che ricordi della tua infanzia?” è un’autobiografia sonora pensata da Fabiana Iacozzlli e Luca Lòtano per aprire nuove memorie, un laboratorio teatrale che speriamo possa un giorno trasformarsi in spettacolo compiuto.
Sempre Iacozzilli, assieme a Compagnia Lafabbrica ha poi portato ad Alvito Quando saremo grandi, una riflessione sul tema dell’infanzia e della sua spietatezza. Tre adulti vestiti da bambini sono seduti su altrettante sedie in attesa dell’arrivo della mamma. Costretti in un quadrato da cui non osano usciere dovranno trovare un modo per rispettare regole e desideri nel momento in cui il bambolotto di una dei tre viene inavvertitamente lanciato oltre il confine del loro spazio d’azione. In un gioco che racchiude in sé tutti i prodromi della spietatezza dell’età adulta, i tre personaggi si contendono dolori e aspirazioni in uno spettacolo che ci ricorda la spietata attualità de Il signore delle mosche.
Attraverso spettacoli che varcano i confini del tempo e della generazione, CastellinAria s’illumina come un faro di cultura e partecipazione: nel cuore dell’antica Alvito, le voci del teatro e della musica si mescolano alle storie degli abitanti, intrecciando passato e presente in un abbraccio vibrante di passione e rinascita. Il castello di Cantelmo, guardiano silente di questo festival arroccato, testimonia con le sue mura la vitalità di un evento che si fa eco dell’anima di un territorio e proietta la sua luce oltre i confini, richiamando tutti coloro che cercano l’autenticità di una comunità che si celebra nell’arte.