GIULIA BONGHI | È possibile creare un uomo felice? Questa è la domanda fondamentale del nuovo spettacolo di Armando Punzo, quest’anno vincitore del Leone d’oro alla carriera, e della Compagnia della Fortezza: Atlantis cap. 1 – La Permanenza.
In continuità con una ricerca avviata nel 2015 con Shakespeare. Know Well e terminata otto anni dopo con Naturae – La valle della permanenza – IV quadro, il regista napoletano inizia un nuovo percorso cercando il modo per vivere quella rivelazione. Il fine è permanere nella valle dove avviene la riscoperta di qualità in noi dimenticate e da dove è possibile iniziare la ricerca della felicità e della bellezza della natura umana.
Il sogno di un uomo nuovo inizia da buchi nella realtà. Cerchi bianchi di diverse dimensioni vengono disegnati con il gesso su superfici nere quadrate che gli attori della compagnia, per la maggior parte detenuti del carcere di Volterra, mostrano al pubblico.
L’inizio in medias res è nel cortile sormontato dalle maestose mura rinascimentali, dove Punzo, agendo da demiurgo assieme agli interpreti – una trentina circa – anima l’area. Dalla corte assolata lo spettatore è invitato a percorrere un corridoio interno sul quale si affacciano diverse piccole celle. Le pareti sono tappezzate di appunti, frasi, frammenti di testi, postulati filosofici, disegni esplicativi di formule matematiche e intere pagine su Nikola Tesla o Albert Einstein, tra gli altri. Lo spettatore segue la voce degli attori che in quelle stanze recitano diversi monologhi, danno voce a personaggi storici che possiamo considerare eretici, coloro che hanno mostrato una realtà diversa a quella conosciuta e per questo condannati; pensiamo a Galileo Galilei, Giovanna d’Arco, Ipazia di Alessandria, Giordano Bruno. Una sorta di performance itinerante, un po’ caotica, durante la quale è lo spettatore a scegliere chi ascoltare e cosa soffermarsi a guardare. Curiosa casualità, consapevole o meno: l’etimo del termine ‘eresia’, dal greco, è ‘scelta’.
Lo spettatore è poi guidato nuovamente nel cortile. Prende posto sistemandosi lungo un lato del perimetro chiuso da alte sbarre di ferro, frontalmente agli attori disposti nello spazio. Chi fa roteare grandi strutture sferiche, chi dirige un’invisibile orchestra, chi indossa una struttura di elementi geometrici incastrati tra di loro in un equilibrio apparentemente precario. Molteplici figure si distribuiscono ordinatamente nello spazio, alcune lo attraversano con un incedere lento e quasi solenne. Tutti sorridono, sono volti lieti, serafici. A un certo punto mi accorgo che sto sorridendo pure io, che sono un po’ più felice.
I costumi di Emanuela Dall’aglio prevedono abiti scuri, con camicia e frac a una coda. Solo un attore entra a torso nudo, diversamente da altri spettacoli della Compagnia, per i quali il regista ha utilizzato maggiormente i corpi dei suoi attori come presenze fisiche, atletiche e, sì, portatrici di una personale testimonianza, di una biografia, ma che viene dismessa. Quell’attore sale su una delle strutture rivestite di tela bianca, un grande cerchio appoggiato a terra, e per diversi minuti, con incredibile sforzo e tenacia, cerca di staccarsi da quella superficie. Come se dovesse rinascere, uscire da quel disco con grande fatica. Punzo dirige sempre tutto dall’interno, muovendo e chiamando gli attori, scandendo il tempo delle azioni, diffondendo una grande energia.
Andreino Salvadori, drammaturgo musicale della compagnia, tesse l’universo sonoro seguendo la creazione di quello iconografico passo dopo passo, durante le giornate passate nel carcere. Utilizzando chitarra, percussioni e loop station, Salvadori dà forma a una musica, suonata dal vivo, che riverbera con le parole di Armando Punzo, provvisto di microfono ad archetto. Un testo a tratti sussurrato, a tratti declamato ad alta voce, in parte originale e in parte ricco di citazioni (di Walter Siti, per portare un esempio).
La musica inizialmente costruisce un tappeto sonoro che aiuta a creare una sospensione del tempo, che dà allo spettatore l’idea di fermarsi. Durante il percorso interno le voci degli attori pervadono l’ambiente. In una stanza dalle pareti in legno, una sorta di piccolo teatro, un gruppo improvvisa con strumenti percussivi, ma la musica fuori, anche se lo spettatore non ci fa caso poiché concentrato sui monologhi, continua a disegnare il suo spazio sonoro. Nuovamente immersi in quello spazio le suggestioni musicali e le visioni artistiche, che si concretizzano nei corpi degli attori, raggiungono il culmine emotivo: la voce del regista si sovrappone a frammenti di testo registrati, in equilibrio con le variazioni sonore, vibrazioni e frequenze, tensioni invisibili ma estremamente vitali, che creano un tempo psicologico di attesa, di apnea che si sfoga nella commozione.
Diverse azioni vengono ripetute, come il roteare delle strutture rotonde e il passaggio di alcune di queste figure, sempre eleganti e sorridenti. I gesti, seguendo l’andamento musicale, aumentano di velocità per poi diminuire, come un’onda che giunge al suo apice e poi si mitiga arrivando al termine della rappresentazione.
La ritualità e i suoni che pervadono lo spettatore scatenano le emozioni più intense e genuine: il riso e il pianto. Quei cerchi disegnati sulle tele nere sconfinano nello spazio, e non siamo più all’interno di una prigione medicea, ma tra i corpi celesti oltre la nostra realtà.
Ed è solo l’inizio di un percorso ancora inesplorato. Il debutto del 28 luglio presentava una serie di bozzetti, scene frammentate che l’ultimo giorno di repliche, il 3 agosto, ha raggiunto una forma coerente e più stabile. Come da consuetudine della compagnia: un’inarrestabile creazione ed evoluzione.
Un nuovo anno di lavoro e vedremo un altro frutto di questa ricerca continua e necessaria poiché, con le parole di Ernst Bloch, “è questo distacco, quest’esser giunti al posto giusto, questa pertinenza al regno che in altri mondi ci fa conoscere la quiete più bella e ce la fa conoscere come quanto di meglio esista, così in Giotto, così in Bach”.
Personalmente esco dalla visione di Atlantis con una conferma: le utopie sono possibili.
ATLANTIS CAP. 1 – LA PERMANENZA
Compagnia della Fortezza
drammaturgia e regia Armando Punzo
Fortezza Medicea – Volterra, 28 luglio – 3 agosto 2023