RENZO FRANCABANDERA | Prende il via oggi a Bassano del Grappa B.Motion, la storica costola di Operaestate Festival che raccoglie al suo interno, nel mese di agosto, le visioni e le progettualità indipendenti del contemporaneo, punto d’incontro a livello internazionale per la scena emergente delle arti performative, consolidatosi grazie a una progettazione densa di spettacoli, incontri, residenze, approfondimenti. Oltre alla ricca sezione musicale, focus centrale è quello dello spettacolo, con due sezioni, quella riservata alla Danza la cui direzione artistica è affidata da quest’anno a Michele Mele, e quella di Teatro, che mantiene la storica direzione a cura di Rosa Scapin.
La sezione danza prende il via proprio oggi con un programma ricco di artisti ed eventi. Fra gli ospiti in programma, oltre a Mia Habib che curerà quest’anno il progetto Dance well che coinvolge i senior della città con problematiche legate all’Alzheimer, saranno in programma, fra gli altri, Collettivo Cinetico, Luna Cenere, Andrea Costanzo Martini, Lara Barsacq, Leila Ka, Ioanna Paraskevopolou e tanti altri interpreti delle nuove declinazioni dell’arte coreutica, selezionati dal nuovo responsabile artistico.
Mele arriva a Bassano succedendo a Roberto Casarotto, che negli anni ha impostato un lavoro di networking sulla danza contemporanea di respiro internazionale, rendendo Bassano un centro di promozione artistica fra i primi a sperimentare pratiche di welfare culturale. La scelta su Michele Mele, da sempre attivo sia nella scena artistica indipendente italiana che nella politica culturale dell’arte dal vivo, è quindi emblematica dell’intenzione di voler continuare a praticare sperimentazione e apertura ai linguaggi dell’arte contemporanea, intesi come mescolanza dei codici e delle esperienze in una intersezione con i bisogni della società e del territorio.
Abbiamo rivolto alcune domande a Michele Mele.
Che tipo di poetica e di sguardo politico ha ispirato le tue scelte per questa edizione di B.Motion Danza?
B.Motion è un’esperienza ormai storica, in Italia e non solo, intorno alla quale negli anni si è definita la poetica e la sperimentazione di moltissimi artisti, non solo nell’ambito della danza.
Il mio sguardo ha suggerito che fossero le poetiche degli artisti a determinare la linea. Non ho voluto imporre una mia visione elaborata a priori. Senza dubbio in termini politici il percorso a Bassano è ancora tutto da sviluppare per quanto mi riguarda; senza dubbio è a livello della produzione la sfida che sento più grande.
Arrivi a Bassano a raccogliere un’eredità significativa come quella lasciata da Roberto Casarotto in termini di pratiche di welfare culturale e di costruzione di un network internazionale. Come hai affrontato questo passaggio e quali pensi possano essere le migliori direzioni per sviluppare quanto già fatto?
Roberto Casarotto negli anni ha fatto un lavoro straordinario. Quando all’estero parlando con i colleghi stranieri dico che lavoro a Bassano, è evidente il riconoscimento e la percezione dell’alto profilo della progettazione che Roberto ha saputo sviluppare. Per fortuna è ancora parte integrante del nostro team e a lui fa capo tutta la progettazione europea. La direzione quindi è quella di creare un dialogo sempre maggiore tra il suo profilo come progettista e il mio come manager artistico, diversificando il novero delle competenze che Operaestate riesce a mettere in campo sotto la guida di una direttrice illuminata come Rosa Scapin, che ha sempre stimolato una grande condivisione nel lavoro di curatela.
Quali scelte produttive hai fatto e quali pensi possano essere fatte nei prossimi anni dal festival?
Ho cominciato a lavorare al progetto nello scorso dicembre e consegnato il programma a fine gennaio: sono stati tempi troppo stretti perché il pensiero alla base fosse del tutto leggibile. Quello che ho difeso con forza è stata la libertà di poter programmare pescando dal repertorio degli artisti e non chiedendo a tutti opere nuove o programmando solo novità. Credo profondamente che l’iperproduzione che durante il Covid tutti abbiamo indicato come uno dei “mali” del sistema sia da combattere ora che la pandemia sembra (solo apparentemente) un ricordo.
B.Motion si è sempre distinto per una particolare attenzione alla scena indipendente. Cosa significa oggi produrre e programmare danza e arti performative?
Noto con piacere come negli ultimi tempi intorno al concetto di indipendenza si stia aprendo una riflessione condivisa. Mi riferisco in particolare all’iniziativa promossa da Motus nell’ambito di Supernova (“Annusa i fiori finché puoi”) che è poi approdata a Buffalo a Roma e a Santarcangelo. C’è ovviamente da fare una distinzione importante rispetto al concetto di indipendenza, se parliamo cioè di indipendenza economica, artistica o politica perché sono ambiti che spostano in modo significativo il raggio d’azione e identificano realtà diverse (per esempio, se si ricevono fondi ministeriali o regionali non si è indipendenti da un punto di vista economico, e mi sembra un livello di analisi importante). Parlando di produzione e di programma, lavorare con una compagnia indipendente dovrebbe significare mettere in campo economie diverse, poiché non ci sono finanziamenti che supportano i costi delle strutture.
Il tuo personale percorso dentro le arti sceniche ha una cifra peculiare, essendo tu stato per anni a fianco di Antonio Latella e poi di altre compagnie indipendenti. Quali pensi siano i fondamenti di una professionalità come la tua? Che tipo di esperienza pensi di portare in questo territorio?
Al di là della mia formazione specifica in ambito manageriale, le esperienze al fianco di Latella prima, e di Anagoor e Gruppo Nanou poi, mi hanno permesso di conoscere da vicino il sistema, di interloquire con tantissimi colleghi, non solo con i direttori, e di entrare nei teatri da tutte le porte, quelle principali, quelle sul retro, l’ingresso artisti e quello del pubblico. Antonio Latella in particolare, di cui mi sento totalmente un allievo e che mi ha insegnato prima di tutto a “stare” in teatro, mi ha sempre fatto confrontare con l’errore e con la sua importanza nel processo creativo. Io spero che i miei interlocutori di oggi, artisti e organizzatori, percepiscano una sensibilità specifica: quando per anni hai promosso spettacoli e poi passi dall’altra parte, anche nel prendere la responsabilità di dire un ‘no’ ad un progetto, devi metterci un’attenzione e una premura diversa.
Se fra qualche anno dovessi lasciare questa posizione, quali sono le cose che vorresti rimanessero sul territorio?
Mi piacerebbe che tutti i cittadini di Bassano potessero provare la stessa emozione che provo io quando all’estero dico “Operaestate”: mi piacerebbe fosse più diffusa la consapevolezza di come negli anni Bassano sia diventato, a livello nazionale e internazionale, sinonimo di qualità, di benessere e di welfare culturale.