RITA CIRRINCIONE | Per tre settimane consecutive – da giovedì a domenica – dal 24 agosto al 10 settembre l’Orto Botanico di Palermo è stato animato da Metamorphosis, festival multidisciplinare nel senso più esteso del termine, tra danza, teatro, musica, mostre fotografiche, video art, spettacoli di acrobatica, talk, stand-up comedy, dj set, con uno sguardo specifico alle produzioni artistiche siciliane.
Diretta da Sabino Civilleri e organizzata da Genìa con il supporto del laboratorio del DAMS universitario, che ha curato dei talk tematici con docenti di UNIPA, la rassegna, giunta alla sua seconda edizione, è nata dalla collaborazione tra il SiMuA – Sistema Museale di Ateneo – e CoopCulture, che cura i servizi aggiuntivi dell’Orto Botanico.
Il più grande d’Europa, enorme museo all’aperto e luogo di sperimentazione scientifica e culturale, unico per biodiversità e ricchezza di specie vegetali, l’Orto Botanico di Palermo, con i suoi edifici di fine settecento ispirati all’architettura greca, il complesso di serre dello stesso periodo, l’aquarium, il laghetto di ninfee, i ficus secolari, ha rappresentato la perfetta cornice per accogliere un festival che fa del multigenere e della diversità la sua cifra distintiva.
Emma Dante con La scortecata, Davide Enia con L’abisso, Claudio Collovà, Ubi Ensamble e Waste Band con The Waste land and other poems, TLON insieme a La Rappresentante di Lista e le loro Lezioni di meraviglia, Dario Muratore con il suo Ajnabi, riscrittura de Lo straniero di Camus sui suoni di Angelo Sicurella, Serena Ganci con lo spettacolo musicale Double Trouble, i Masbedo e la loro nuova video scultura; ma anche Lo Scordabolario, studio sulle parole dimenticate di Salvo Piparo, che ha aperto il festival; Trittico Pina Bausch di Giuseppe Distefano, racconto fotografico dei tre capolavori della coreografa tedesca (Café Muller, Le Sacre du Printemps e Bamboo blues); gli spettacoli di danza Vestire la diplomazia di e con Filippo Domini e Erik Zarcone | Compagnia Zappalà e If you were a man di Mauro Astolfi | Spellbound Contemporary Ballet: questi alcuni degli spettacoli e degli artisti della rassegna.
Incontriamo Dario Muratore, attore, autore, regista, cofondatore del gruppo di ricerca teatrale FrazioniResidue, uno dei protagonisti di Metamorphosis, al quale ha partecipato con una sua performance.
Con la sua presenza attiva all’interno della macchina del festival e la sua appartenenza a Genìa – collettivo multidisciplinare che ha messo in rete artisti palermitani nel campo del teatro, della danza e della musica – pensiamo che possa fornirci un interessante sguardo “laterale” sul festival appena concluso.
Dopo una prima edizione un po’ in sordina, sembra che questa edizione di Metamorphosis abbia avuto un exploit. Dario Muratore, come spieghi dal tuo punto di vista il successo della manifestazione?
Il festival quest’anno è cresciuto e in modo anche sorprendente. Gli artisti coinvolti sono stati più della precedente edizione e certamente alcune eccellenze palermitane e siciliane di rilevanza nazionale hanno contribuito alla risonanza del Festival. Inoltre, è aumentato il numero degli spettatori, come si è moltiplicata l’offerta sviluppata in varie forme: alcuni spettacoli diretti alle famiglie e all’infanzia, talk, installazioni e dj set. Il merito è certamente degli enti organizzatori che hanno messo in gioco più risorse, del direttore artistico, dei suoi desideri e di tutto lo staff organizzativo e tecnico, che con grande impegno ha reso possibile tutto ciò.
Scorrendo il programma, oltre all’abbattimento di steccati tra i generi, saltano agli occhi alcune inedite compresenze di artisti siciliani. Secondo te come sono state superate certe incompatibilità o certe gerarchie?
Il festival possiede, sin dalle sue origini, un carattere interdisciplinare e intergenerico: prosa, musica, danza e arte visiva si mescolano creando nuovi linguaggi. All’interno di questo humus generativo, è stato desiderato e pensato un festival che andasse anche oltre alcune abitudini o vezzi che spesso hanno le programmazioni, e cioè tenere separati alcuni generi e quindi anche alcuni ambienti e bacini di spettatori. Quindi, ci sono stati spettacoli di tradizione popolare accanto a performance di ricerca vocale, la presenza di musicisti legati al pop accanto a ensemble jazz o musicisti d’improvvisazione radicale. Insomma, trasformare il senso e aprire orizzonti inclusivi.
Tranne eccezioni, nel programma della rassegna sono presenti molte proposte ben “collaudate”, pensiamo a La scortecata di Emma Dante o a L’abisso di Davide Enia. Metamorphosis non è luogo di sperimentazione?
Metamorphosis è per prima cosa un festival accogliente, generato da grandi istituzioni per certi versi trasversali nel mondo culturale cittadino. Quindi, la scommessa era quella di unire diverse visioni artistiche e una pluralità di offerta e di linguaggi con un’attenzione agli artisti della città. Se poi questi artisti sono portatori di notorietà e qualità, è solo un valore aggiunto. Inoltre, alcune scelte sono ricadute volontariamente su spettacoli di repertorio. Ciò permette alle compagnie di fuggire dalla “prima” a tutti i costi e dalla produzione costante di novità. Replicare e far circuitare le proprie produzioni è, oggi più che mai, uno dei maggiori obiettivi degli artisti.
Tra poco più di un mese, avrà inizio la quarta edizione di Prima Onda fest, una rassegna meno istituzionale, più aperta ai linguaggi della sperimentazione e della ricerca. Come vedi queste due manifestazioni con tanti punti di contatto, ma anche con notevoli differenze?
Prima Onda Fest si svolgerà dal 25 ottobre al 5 novembre, e non vediamo l’ora. I due festival hanno certamente una radice comune, ma si sviluppano in modo differente. Metamorphosis è un festival che Genía condivide con altre istituzioni e altre realtà e, nell’incontro con “l’Altro”, vanno trovate delle mediazioni e dei punti di interesse comune. Se dovessimo fare un parallelismo con le fasi della vita, potremmo pensarlo come l’età adulta. PrimaOnda è, invece, una creatura adolescenziale, le cui scelte sono legate a un istinto e a un desiderio che hanno come confine solamente le risorse (che spesso sono limitate). La sperimentazione, la ricerca, la performance, il site specific sono il cuore del festival, e la periferia Sud-Est della Città di Palermo è l’orizzonte che abitiamo.
A Metamorphosis tu hai portato Ajnabi, uno performance inedita, una riscrittura teatrale de Lo straniero di Albert Camus con la musica e i suoni di Angelo Sicurella. Ci racconti brevemente questa scelta?
Ajnabi nasce qualche anno fa come ricerca correlata allo studio affrontato per Tripolis, un mio spettacolo del 2018. Allora, insieme a FrazioniResidue, il collettivo con il quale lavoro, lo abbiamo vissuto senza svilupparlo, ma è sempre rimasto in me il desiderio di portare avanti questo progetto. Durante la prima edizione di Metamorphosis ho capito che il festival poteva essere il contesto giusto per farlo. Ajnabi è prima di tutto una nuova tessitura, un ricamo testuale della grande opera di Albert Camus. Il testo, come la nostra ricerca, pone al centro l’assurdità della vita rispetto alla natura e al modo in cui l’umanità stessa sta progredendo. Oggi, davanti all’oscenità della guerra, della violenza, dell’indifferenza umana, mi sembra più attuale che mai. L’incontro con Angelo Sicurella, le suggestioni e le architetture sonore da lui create, la partitura vocale che ne è derivata e l’installazione di Fulvia Bernacca sono stati gli ingredienti, per me quasi mistici, che hanno dato luce a uno spettacolo di cui siamo orgogliosi e che speriamo possa ritornare presto in scena.