RENZO FRANCABANDERA | Roberta Bosetti e Renato Cuocolo sono due artisti ormai da anni in pianta stabile in Italia, a Vercelli, ma con un lungo trascorso in Australia, dove hanno dato vita ad un sodalizio umano e artistico che ha dato origine a un codice teatrale originale, fatto di azioni performative in luoghi aperti, case, uffici, di cui la Bosetti è sovente unica interprete.
I loro spettacoli sono fruiti da gruppi di spettatori o anche singoli partecipanti, dotati in diversi casi di una amplificazione sensoriale tecnologica, in grado di aumentare la percezione: cuffie, binocoli a infrarossi e altre piccole diavolerie, per introdurre una sorta di elemento magico che trova naturale commistione con un realismo dato sia dalle drammaturgia che dalle ambientazioni. Dal loro arrivo in Italia hanno poi tessuto relazioni efficaci con altre importanti realtà del teatro indipendente.
È in questa cornice di pensiero che nasce ed arriva quest’anno alla terza edizione #ogniluogoèunteatro, il festival che Teatro di Dioniso (con la direzione artistica di Michela Cescon), IRAA Theatre/CuocoloBosetti e l’altra compagnia vercellese ArteinScacco (Livio Ghisio e Annalisa Canetto) hanno organizzato dall’8 al 21 settembre a Vercelli. L’idea era venuta a margine delle chiusure dei teatri durante il lockdown. Poi si è consolidata con rinnovata forza, portandosi convintamente fuori dagli spazi tradizionalmente deputati alla rappresentazione.
Quest’anno il festival ha ospitato 12 spettacoli ‘messi in scena’ in luoghi che in ossequio al postulato creativo condiviso fra queste realtà sono rigorosamente non teatrali: in un salone di parrucchiere, in un parco, all’interno della Borsa Merci di Vercelli, nei chiostri di un ex chiesa, all’interno della casa vera e propria di CuocoloBosetti, in un locale, in un museo, all’interno di una sala espositiva di una fondazione.
Entrare in questo micro mondo di provincia crea un senso del fare scena assai diverso da quello tradizionale e fornisce peraltro al turista che arriva in città per l’occasione un piccolo approccio sistematico alla realtà territoriale, che viene non solo attraversata ma vissuta per il tramite dell’arte.
Passare qualche giorno immersi nel festival significa, anche per chi quella realtà la vive quotidianamente, osservare la propria società da un altro punto di vista.
In questa prospettiva, le tre realtà che hanno dato vita a questo pregevole sforzo organizzativo, si sono avvalse di compagnie di calibro nazionale, a cui hanno chiesto di portare nella provincia piemontese le loro creazioni, allagando lo spazio abitato, un po’ come si fa con le risaie per far germogliare.
Le compagnie invitate sono state in questa edizione: Il Mulino di Amleto, Frosini/Timpano, Matteo Curatella, Carlo Infante e Gaia Riposati, Massimo Di Leo, Beppe Casales, Francesco Pennacchia e Gianluca Stetur, Babilonia Teatri, Cuocolo/Bosetti e Carlot-ta, Gianluca Mercadante e la Banda Putiferio, Marotta&Cafiero, Vodisca Scampia Teatro e Andrea Cosentino.
C’è anche un ulteriore elemento che contraddistingue la scelta artistica, ovvero quello di non inseguire le frenesie delle prime, dei debutti, preferendo invece rivitalizzare e e dare ulteriore possibilità di espressione al repertorio, uscendo quindi dalla logica consumistico-produttiva che il legislatore nazionale ha forzatamente indotto negli ultimi anni nel sistema teatrale, trasformandolo in uno spettacolificio che sforna merce (è sovente il caso di utilizzare questo termine, purtroppo) a getto continuo.
Questo festival, delicato e ben pensato, ha proprio un altro approccio.
Unica prima del programma è stata OPERA 3.0/ SOLDI di CuocoloBosetti insieme alla musicista e performer Carlot-ta: è lei che funge da alterità dialogica sonora alla partitura testuale, scavata dentro il classico di Bertolt Brecht L’opera da tre soldi, di cui viene ricavata una versione agile, a tratti fiabesca per il modo in cui viene offerta allo spettatore.
È la prima volta che i Cuocoli mettono in scena un ‘classico’: il regista dice che il tutto è nato quasi come un divertissement. Eppure la creazione ha le caratteristiche di un piccolo ma pregevole adattamento del celebre testo del grande drammaturgo tedesco che mantiene sia lo stretto rapporto con la musica che Brecht e Weill vollero, sia il velato ma continuo gioco brechtiano a rompere la quarta parete, a giocare al dentro e fuori la vicenda, pratica a cui IRAA si dedica da anni.
L’ambientazione cittadina prescelta è quella dell’atrio interno della Borsa Merci del capoluogo di provincia, un edificio di stile razionalista dalla imponente architettura dove tutte le settimane, al martedi e venerdi, viene definito il prezzo delle varie qualità di riso, vero tesoro della zona. Nel grande salone dalla volta prossima ai 10 m di altezza, cosa che se per un verso non facilita un’acustica perfetta, per altro dona alla creazione una algida immanenza sacrale, arrivano le vicende del furfante Macheath (Mackie Messer, o Mack the Knife) che sposa Polly Peachum, figlia dell’uomo che gestisce il racket dei mendicanti e che, avendo preso male il matrimonio, vuol far fuori lo sposo.
Le due donne sono vestite di nero, lo spazio dell’azione scenica è delimitato per tre quarti dalle sedie degli spettatori che hanno alla sinistra il pianoforte e la postazione sonora della musicista, e sulla destra un leggio, quasi che si tratti di un reading; una sedia è l’unica ulteriore dotazione, in questa versione iniziale, per la Bosetti, che inizia proprio andando al leggio, quasi a voler principiare un racconto.
Alla sua abilità interpretativa e vocale viene affidato il compito di dare corpo e voce a otto dei personaggi che Brecht volle in questa celebre drammaturgia che come noto in Italia ha conosciuto particolare e grandissimo successo anche grazie a Giorgio Strehler, che ne fece uno degli spettacoli simbolo del Piccolo Teatro di Milano negli anni d’oro.
Nell’ora e 15 minuti di recita, al centro di tutto c’è solo il teatro, perché anche la icastica componente sonora di Carlot-ta, coerentemente con l’originale, ha una sua densità che si fa drammaturgia, fatta di gesti, suoni e rumori che accompagnano e intervallano la precisa scansione del testo.
L’operazione di adattamento ha una sua fedeltà composta di amorevoli tradimenti, in grado di creare un’atmosfera specifica, di favolistica drammaticità dentro uno spazio ora algido ora intimo, fruito dagli spettatori all’imbrunire, così che lo spettacolo nasce con la luce naturale e si chiude con la luce artificiale delle lampade della Sala Merci. Arriverà la grazia per il malvivente condannato all’impiccagione in questo riadattamento?
Il risultato finale è apprezzabile e ha il potenziale per essere proposto non solo in spazi non convenzionali ma anche nella programmazione teatrale in sala.
Nel pomeriggio di domenica, invece, in un piccolo salone da parrucchiere, insieme a una decina di altri spettatori, abbiamo assistito e ad una creazione in forma di narrazione cabaret, proposta da Gianluca Mercadante e la Banda Putiferio.
L’ambientazione non è casuale perché il testo offerto agli spettatori da Mercadante ha come protagonista proprio un parrucchiere che, con la sua attività chiusa ai clienti dai celebri decreti Conte, deve attraversare i duri mesi del COVID.
Lo spettacolo è una parodia del clima dei divieti e delle chiusure, della nevrosi sociale e personale che fiorí in quei mesi per un verso drammatici per altro tragicomici. È proprio su questa cifra che insiste il narr-attore che anche in questo caso intervalla la sua recita con la proposta musicale della piccola banda, di chiara ispirazione cabarettistico-popolare, ma che non disdegna il cantautorato impegnato, con cover che riportano filologicamente a Gaber e al suo Lo Shampoo, ma anche a una esilarante versione in dialetto di Psycho Killer, il grandissimo successo dei Talking Heads, riadattato in chiave umoristica: un tradimento, ma anche in questo caso fedele.
Da questa considerazione, forse è possibile desumere che esistono moltissimi modi di declinare la fedeltà, e che la libertà di pensiero resta un motore straordinario per riuscire a innovare, anche utilizzando il classico, o a rinverdire la tradizione e il codice popolare con la nuova drammaturgia. Farlo poi in una provincia dove prima d’ora non si è mai esplorata la strada del festival teatrale ha un che di pionieristico e affascinante.
La rassegna vale, ha visto partecipe la città, con le sue intelligenze: artisti, docenti e drammaturghi del territorio, impegnati a dare vita in modo tumultuoso all’opportunità di gettare un seme e farlo davvero germogliare: vale la pena tenerla d’occhio.